Ma è vero che la letteratura russa è depressiva?

L'attrice Tatiana Samoilova in una scena del film "Anna Karenina" del 1967

L'attrice Tatiana Samoilova in una scena del film "Anna Karenina" del 1967

Aleksandr Zarkhi/Mosfilm, 1967
È uno dei luoghi comuni più ripetuti, e noi abbiamo cercato di verificare quanto ci sia di vero in una affermazione così categorica

“La narrativa è come una tela di ragno che se se ne sta attaccata in maniera forse lievissima, ma pur sempre attaccata, alla vita, con tutti e quattro gli angoli”, disse la grande scrittrice e pensatrice inglese Virginia Woolf.

I russi sono stati a lungo campioni nel descrivere lo stato della mente umana in modo inimitabile. Provate a (ri)leggere “Anna Karenina”, “Delitto e castigo” o “Il gabbiano”. Siamo onesti, se siete già a pagina 140, siete in buona forma. Ma anche se non vedete la luce alla fine del tunnel, non gettatevi sotto un treno! Andate avanti e vedrete che forse le luci si sono spente solo brevemente e per un qualche motivo. 

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I russi hanno un’ottima reputazione nella narrativa: sono considerati un’eccellenza. Fidatevi di loro, altrimenti dovrete andare a letto senza mai sapere cosa sia successo all’aspirante attrice Nina Zarechnaja, un personaggio de “Il gabbiano” di Anton Chekhov. Tuttavia, “nella letteratura, come nel sesso, le cose più interessanti sono tra una parola e l’altra” (“В литературе как в сексе, всё самое интересное между словами”), ha detto una volta il popolare satirico russo Mikhail Zhvanetskij (1934-2020).

Sebbene l’affermazione che la letteratura russa sia “deprimente” all’inizio suoni categorica, è convincente solo superficialmente. Con la stessa logica, quando l’investigatore pone al sospetto una domanda trabocchetto, si aspetta che glielo rovescino accidentalmente. Non c’è alternativa!

Non è un’esagerazione affermare che la letteratura russa classica ha reso felici generazioni di topi di biblioteca. Se è vero che la felicità e la sanità mentale sono una combinazione impossibile, è anche possibile affermare che un dramma serio può essere edificante e corroborante per tutte le parti coinvolte. L’autore di “Lolita”, Vladimir Nabokov (1899-1977), ad esempio, ha osservato che Chekhov ha scritto “libri tristi per persone divertenti”, perché “solo un lettore con senso dell’umorismo può apprezzare veramente la loro tristezza”.

Allo stesso modo, coloro che condividono l’idea che leggere “L’idiota” di Dostoevskij a volte sia frustrante, dovranno convenire che non è un romanzo deprimente di per sé, ma, paradossalmente, è pieno di speranza. Forse è perché la sofferenza e la solitudine possono anche insegnare gioia e ottimismo.

“La letteratura russa è deprimente” è  un’affermazione piuttosto superficiale e retorica. I russi hanno semplicemente un debole per il dramma, e la letteratura russa ha generosamente toccato temi come:

– solitudine (“Le tre sorelle” di Anton Chekhov) ed esilio (“Memorie dalla casa dei morti” di Fjodor Dostoevskij);

– sofferenza (“Vita e destino” di Vasilij Grossman) e tormento (“Una giornata di Ivan Denisovich” di Aleksandr Solzhenitsyn); 

– debolezza (“Le anime morte” di Nikolaj Gogol) e crudeltà (“Mumù” di Ivan Turgenev),

– fede (“I fratelli Karamazov” di Fjodor Dostoevskij) e cambiamento (“Guerra e pace” di Lev Tolstoj);

– sopravvivenza (“Il dottor Zhivago” di Boris Pasternak), accidia (“Oblomov” di Ivan Goncharov) e stupidità (“Il villaggio” di Ivan Bunin); 

– morte (“I racconti di Kolyma” di Varlam Shalamov) () e disperazione (“Lo sterro” o “Nel grande cantiere” di Andrej Platonov). 

Generazioni di russi hanno attraversato decenni di disordini interni nel corso della loro storia, tra cui la guerra napoleonica, due devastanti guerre mondiali, la rivoluzione bolscevica, gli orrori dei gulag sovietici, solo per citare il passato non così lontano…

Ma, sorpresa sorpresa, dalla sofferenza umana sono emersi i più grandi narratori, poiché il tumulto è servito da catalizzatore per l’inquietudine intellettuale. Contrariamente alla credenza popolare, quando le tragedie colpiscono, i più grandi geni letterari russi hanno intorpidito il loro dolore emotivo non con bottiglie di vodka a buon mercato, ma con enormi dosi di saggezza. Le delusioni e le angosce non li hanno privati della loro dignità, ma hanno plasmato le loro anime. La sofferenza e la miseria incoraggiarono molti a mettere nero su bianco quello che provavano. 

Alcuni dei più venerati scrittori russi, tra cui Mikhail Bulgakov, Anton Chekhov e Vasilij Aksjonov, sono passati alla letteratura dalla medicina. Sapevano in prima persona che una diagnosi medica raramente cattura la reale esperienza di una persona.

Invece di mettere etichette alla letteratura russa, supponiamo che possa effettivamente combattere il fuoco con il fuoco, aiutare ad alleviare la depressione, curare le fobie e talvolta anche curare i traumi infantili. “Si guarisce da una sofferenza solo vivendola appieno”, ha detto Marcel Proust. L’uomo che ha trascorso la sua vita “Alla ricerca del tempo perduto” non era mai stato in Russia, ma promise di “rimanere sempre fedele” alla patria di Tolstoj e Dostoevskij.

Ricordate: “Non si raggiunge mai alcuna verità senza commettere quattordici errori e molto probabilmente centoquattordici”, ha scritto Dostoevskij in “Delitto e castigo”, uno dei più grandi romanzi mai scritti.

E in realtà, accusare la letteratura russa di essere “deprimente” è ingiusto quanto fare body-shaming.


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