Tre grandi scrittori ebrei russi che dovettero fare i conti con il potere sovietico

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Peggio di tutti andò a Isaak Babel, fucilato nel 1940. Ma anche Grossman e Erenburg ebbero le loro incomprensioni con le autorità dell’Urss. Ben presto, infatti, furono tradite le speranze che con la Rivoluzione si fosse chiusa la triste pagina dell’antisemitismo

1 / Isaak Babel (1894-1940)

Ernest Hemingway disse che gli piacevano “un sacco” i racconti di Babel. Non era l’unico. “Babel ha scritto di ebrei con una conoscenza vivace e a volte sprezzante”, scrisse il romanziere americano John Updike, descrivendo il suo stile strabiliante. Probabilmente è perché, il più delle volte, Babel era tra l’incudine e il martello, e cercava di restare vicino alle sue radici ebraiche, pur senza rimanervi troppo invischiato.

Da bambino, Babel (nato Bobel) sopravvisse al pogrom del 1905 a Odessa, quando suo nonno fu ucciso. “Non ho scelto la mia nazionalità”, disse Babel, secondo lo scrittore sovietico Konstantin Paustovskij (1892-1968). “Sono ebreo. A volte, mi sento come se potessi capire tutto. Ma una cosa che non riuscirò mai a capire è la ragione dietro quella banale meschinità, che è così noiosamente chiamata antisemitismo”.

All’età di sei anni, il ragazzo di Odessa Babel parlava l’ebraico biblico meglio del russo. Aveva anche una buona padronanza della lingua francese (adorava Flaubert e Maupassant) e iniziò a scrivere in russo intorno ai 13 anni. “Mi venivano bene solo i dialoghi”, amava scherzare Babel, con gli occhiali sulla punta del naso.

Accolse la Rivoluzione del 1917 con un misto di speranza e diffidenza. Purtroppo, la persecuzione degli ebrei non si fermò neanche con il cambiamento di regime. Anzi, la religione ebraica fu bandita, come le altre, e alcune sinagoghe vennero demolite, proprio come le chiese ortodosse e altri luoghi di culto, e intanto l’antisemitismo rimase vivo e vegeto.

La morte incombente della cultura ebraica fu il tema principale della famosa raccolta di racconti di Babel, intitolata “L’armata a cavallo” (in russo: “Конармия”; “Konarmija”). Il critico letterario sovietico Viktor Shklovskij ha giustamente osservato che Babel “vedeva la Russia come poteva vederla solo uno scrittore francese che seguiva l’esercito di Napoleone”.

Quando la famigerata cavalleria di Semjon Budjonnyj era in guerra contro l’esercito polacco, entrambe le parti misero in atto pogrom, derubando, violentando e uccidendo la popolazione ebraica della Galizia, proprio come avevano fatto i cosacchi prima di loro. Come sempre, le descrizioni di Babel sono precise e disarmanti.

I suoi famosi racconti di Odessa sui “gloriosi” gangster ebrei e il loro leader Benja Krik hanno ispirato una generazione di autori ebrei americani, tra cui Bernard Malamud, Saul Bellow e Philip Roth.

Babel era un maestro della narrazione. Nei suoi racconti incisivi, vivaci e sinceri, descriveva la crudeltà umana in tutti i dettagli, risparmiando pochissimo al lettore nelle sue raccapriccianti, vivaci, storie.

La sua stessa vita finì in modo crudele e brutale, come spesso accadeva nei suoi laconici racconti. Venne arrestato e poi fucilato in una prigione di Mosca, la Butyrka, il 27 gennaio del 1940. Lo scrittore aveva solo 45 anni. Il suo intero archivio (manoscritti di opere incompiute, opere teatrali, appunti, lettere, fotografie) fu confiscato e distrutto.

2 / Ilja Erenburg (1891-1967)

“Amo la Spagna, l’Italia, la Francia, ma tutti i miei anni sono inseparabili dalla vita russa. Non ho mai nascosto le mie origini. Ci sono stati momenti in cui ci pensavo raramente, e altri in cui ripetevo a ogni piè sospinto: sono un ebreo; anche perché nei miei libri, la solidarietà con i perseguitati è il primo principio dell’umanitarismo”, ha scritto Erenbùrg nelle sue memorie “Uomini, anni, vita” (in russo: “Люди, годы, жизнь”; “Ljudi, gody, zhinzn”). Ma queste parole non sempre corrisposero alle sue azioni, e i critici lo hanno non di rado accusato di mancanza di autocoscienza ebraica.

Nonostante la retorica altisonante che era il suo marchio di fabbrica (trascorse la sua giovinezza a Parigi, dove era amico di Pablo Picasso, Paul Eluard e Louis Aragon), Erenburg era una figura controversa sulla scena letteraria sovietica. Inventò il genere del romanzo picaresco sovietico degli anni Venti e Trenta e prese a riempire la prosa satirica di allusioni bibliche. Uno dei capitoli del suo romanzo più noto, intitolato “Le straordinarie avventure di Julio Jurenito” (in russo: “Необычайные похождения Хулио Хуренито”; “Neobychajnye pokhozhdenija Khulio Khurenito”), è interamente dedicato al futuro della “tribù ebraica”.

Nel 1921 predisse l’Olocausto, dicendo che “nel prossimo futuro” ci sarebbe stata “la solenne eliminazione del popolo ebraico a Budapest, Kiev, Algeri e in molti altri luoghi”. Lui riuscì a cavarsela durante ila campagna contro gli ebrei di Stalin, mentre i suoi coetanei e amici ebrei Isaak Babel e Osip Mandelshtam e l’attore Solomon Mikhoels persero la vita.

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L’autore di “Preghiera per la Russia” (in russo: “Молитва о России”; “Molitva o Rossii”) una raccolta di poesie anti-bolsceviche scritte immediatamente dopo la Rivoluzione, divenne poi uno scrittore completamente sovietico, che sostenne silenziosamente la propaganda stalinista e vinse il premio più importante del tempo, il Premio Stalin, nel 1942.

Ma Erenburg non era un opportunista. Fece quello che poteva. Durante la Seconda guerra mondiale, fu corrispondente per il quotidiano dell’esercito sovietico “Krasnaja Zvezdà” (“Stella Rossa”), mantenendo alto il morale della nazione. I suoi articoli erano così popolari che i comandanti dell’esercito proibivano ai soldati di usare i vecchi giornali con pezzi di Erenburg per accendere il fuoco o come cartina per le sigarette.

Erenburg fu anche nominato membro del Comitato antifascista ebraico e raccolse testimonianze strazianti di ebrei sovietici sopravvissuti all’occupazione nazista. Odiava il fascismo con tutto se stesso. Scrisse, insieme a Vasilij Grossman, “Il libro nero - Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945” (in russo: “Чёрная книга”; “Chjórnaja kniga”), con documenti e resoconti documentari di prima mano sull’omicidio di massa degli ebrei sovietici, compresi i massacri di Babij Jar, vicino a Kiev. Stalin ne proibì la pubblicazione nel 1947 per un semplice motivo: non voleva che gli ebrei fossero individuati come vere vittime; tutto il popolo sovietico nel suo complesso doveva essere considerato la vittima del conflitto. Il “Libro nero” vide la luce solo nel 1980.

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3 / Vasilij Grossman (1905-1964)

Nei romanzi di Grossman, il tema chiave, l’antifascismo, è strettamente intrecciato con la lotta degli ebrei contro il nazismo e la tragedia del popolo ebraico.

Vasilij (nato Iosif) Grossman fu un giornalista di guerra durante la Seconda guerra mondiale, ed è stato tra i primi a svelare le atrocità naziste nei confronti degli ebrei. Visitò la sua città natale, Berdichev, in Ucraina, dove sua madre, un’insegnante di francese, era stata brutalmente uccisa sotto l’occupazione nazista.

Il suo successivo, più potente articolo, “L’inferno di Treblinka”, fu pubblicato nel 1944 e successivamente utilizzato come prova al Processo di Norimberga. Lo scrittore lavorò a lungo come giornalista investigativo, raccogliendo quante più informazioni possibili. Quello su Treblinka è stato il primo articolo mai scritto su un lager nazista, e Grossman vi descrisse nei minimi dettagli gli orrori della macchina dello sterminio hitleriano nella Polonia occupata.

“Gli uomini delle SS hanno esaminato i corpi, chiacchierando tra loro mentre lo facevano. Se qualcuno era ancora vivo, se qualcuno gemeva o si muoveva, veniva finito con un colpo di pistola. Quindi una squadra armata di pinze estraeva tutti i denti di platino e d’oro dalle bocche degli assassinati prima che fossero caricati sui carri…”

Successivamente, Grossman continuò a lavorare sul tema scrivendo con Erenburg “Il libro nero” già menzionato sopra.

Nel 1942, nel mezzo dell’epica battaglia sul Volga, che fermò l’avanzata tedesca in Unione Sovietica, Grossman concepì un romanzo su Stalingrado. Non solo lo scrittore assistette alla grande battaglia con i propri occhi, ma scrisse una serie di resoconti di prima mano su di essa.

A Stalingrado, Grossman scrisse con onestà ciò che pensava fosse sbagliato nel sistema sovietico. E la questione ebraica fu un fil rouge per tutto il romanzo. Censori e critici chiesero revisioni, ordinando a Grossman di ridurre al minimo la presenza del fisico ebreo chiamato Shtrum, e di citare Stalin più frequentemente. Alla fine, il libro, “Per la giusta causa” (in russo: “За правое дело”; “Za pravoe delo”) fu pubblicato solo nel 1954. Dopo l’uscita, il romanzo epico fu criticato per essere “troppo ebreo”, con il romanziere Mikhail Sholokhov, autore de “Il placido Don” e premio Nobel, che lo definì “uno sputo in faccia al popolo russo”.

In quel periodo, il cosiddetto “Complotto dei medici” iniziò a prendere slancio a Mosca. La campagna antisemita prese di mira un gruppo di eminenti medici ebrei falsamente accusati di complottare per assassinare Stalin. Il libro di Vasilij Grossman, con il suo protagonista ebreo, il dottor Shtrum, si trovò al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Temendo per la sicurezza della sua famiglia, Grossman, insieme a decine di importanti figure ebraiche, firmò una dichiarazione contro il sionismo (la lettera era ovviamente un’idea di Stalin). Sebbene, alla fine, la lettera non sia mai stata pubblicata, Grossman non si è mai perdonato di averla firmata e ha descritto il suo atto di codardia nella sua opera più grande e celebre, “Vita e destino” (in russo: “Жизнь и судьба”; “Zhizn i sudbà”).

“Sia gli uomini buoni che gli uomini cattivi sono capaci di debolezze. La differenza è semplicemente che mentre un uomo cattivo sarà orgoglioso per tutta la vita di una buona azione, un uomo onesto è a malapena consapevole delle sue buone azioni, e ricorderà un singolo errore per anni e fino alla fine dei suoi giorni”, ha scritto.

Grossman ha dedicato “Vita e destino” all’amata madre. Il suo romanzo capolavoro parla di ogni aspetto della libertà: libertà di pensiero, scelta e azione. Grossman ha posto la lente sul destino dei suoi personaggi, non tanto solo nel contesto sovietico, ma in modo molto più ampio.

Il libro sulla crudeltà e l’ingiustizia di ogni sistema totalitario fu un duro colpo per le autorità sovietiche, con il capo ideologo del partito comunista sovietico, Mikhail Suslov, che lo paragonò alle “bombe atomiche che i nostri nemici stanno preparando per noi”. Grossman non venne arrestato, ma tutte le copie del libro furono confiscate. In Urss “Vita e destino” uscì solo nel 1988, otto anni dopo la sua apparizione in Europa, grazie alla casa editrice L’Âge d’Homme di Ginevra.


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