Cinque scrittori ebrei russi che hanno raccontato la vita della comunità ai tempi dell’Impero

Alena Repkina
Con l’annessione della Polonia del 1772 la Russia si ritrovò sul suo territorio la gran parte della popolazione ebraica mondiale. Il XIX secolo non fu semplice, tra pogrom e accuse antisemite di sacrifici umani. Poi sarebbero arrivati il Novecento e il dramma della Shoah. Così, quello che troviamo in questi splendidi libri è il racconto di un mondo perduto per sempre

In quanto stato multietnico e multireligioso, la Russia ha beneficiato nella sua letteratura anche delle menti creative degli esponenti dei molti e differenti popoli del Paese. Ad esempio, importante è il contributo degli autori ebrei. Alcuni di loro hanno scritto in russo, mentre altri in yiddish. In effetti, la composizione etnica altamente diversificata della Russia fa spesso dubitare su quale identità “nazionale” definisca un autore.

“Molti credono che la lingua determini la letteratura nazionale, e nella maggior parte dei casi questo è vero”, dice l’autore ebreo nato a Mosca nel 1938 Semjon Reznik. Vive negli Stati Uniti dal 1982 e ha anche la cittadinanza americana, ma scrive ancora in russo. “Pasternak era ebreo, ma si considerava uno scrittore russo. Lo stesso vale per Mandelshtam e molti altri”.

Alla fine del XVIII secolo, con l’annessione delle terre polacche, l’Impero russo acquisì la maggior parte della popolazione ebraica mondiale. Nella Russia del XIX secolo, mentre gli ebrei prosperavano economicamente e contemporaneamente dovevano affrontare la persecuzione e i pogrom, pochi furono attivi come scrittori di lingua russa. Importanti autori ebrei dell’era zarista, come Sholem Aleichem (1859-1916), di solito scrivevano in yiddish, loro lingua nativa. Successivamente, nel periodo sovietico, gli scrittori ebrei scrissero quasi esclusivamente in russo.

Il fondatore della letteratura ebraico-russa è Löb Nevakhovich (1776/78-1831), che nel 1803 scrisse un libro intitolato “Vopl dshcheri iudejskoj” (“Вопль дщери иудейской”; ossia “Il grido della figlia degli ebrei”), un trattato inteso come una difesa della comunità ebraica.

Gli autori ebrei russi affrontarono spesso argomenti difficili e scomodi, come l’isteria di massa dell’antisemitismo nella Russia imperiale. Ecco un breve elenco di alcuni eminenti romanzieri ebrei ispirati dalla dura esperienza del loro popolo, prima della Rivoluzione bolscevica del 1917.

1 / Löb Nevakhovich – “Il grido della figlia degli ebrei” (scritto in russo)

Verso la fine del regno di Caterina la Grande (che fu sul trono dal 1762 al 1796), Löb (spesso russificato “Lev”) Nevakhovich (nato tra il 1776 e il 1778 a Letychiv, in Podolia; località oggi in Ucraina) andò a San Pietroburgo come uomo d’affari, ma alla fine divenne uno scrittore, ed è considerato il fondatore in Russia della Haskalah, “l’illuminismo ebraico”. È uno dei primi ebrei ad aver padroneggiato la lingua russa. Patriota ebraico, voleva dimostrare all’imperatrice che gli ebrei erano cittadini onesti e affidabili. “Il grido della figlia degli ebrei” (“Вопль дщери иудейской”; “Vopl dshcheri iudejskoj”) era una sorta di appello al popolo russo, chiamato a mostrare tolleranza e amore fraterno verso gli ebrei.

Nevakhovich ha scritto: “Per secoli, gli ebrei sono stati accusati dai popoli della terra… Accusati di stregoneria, di irreligione, di superstizione… Tutte le loro azioni sono state interpretate a loro svantaggio, e ogni volta che si è dimostrata la loro innocenza, i loro accusatori hanno inventato contro di loro nuove accuse… Giuro che l’ebreo che preserva la sua religione incontaminata non può essere né un uomo cattivo né un cattivo cittadino”. Non è tradotto in italiano.

2 / Bernard Malamud – “L’uomo di Kiev” (scritto in inglese)

Il romanzo di Bernard Malamud (1914-1986) è stato pubblicato in inglese negli Stati Uniti (dove l’autore è nato) nel 1966 con il titolo “The fixer”. Nella traduzione italiana è diventato “L’Uomo di Kiev”; venne pubblicato da Einaudi nel 1968, e quella storica traduzione di Ida Omboni è stata riproposta da minimum fax nel 2014. Il romanzo è anche inserito nel Meridiano Mondadori su Malamud, uscito sempre nel 2014. Sebbene sia un racconto fittizio di un uomo ebreo nella Russia imperiale, descrive accuratamente come gli ebrei vivevano in una società profondamente antisemita. L’ispirazione del libro è la storia vera di Menahem Mendel Beilis, ingiustamente accusato e imprigionato in quello che divenne noto come il famigerato “processo Beilis” del 1913.

Beilis si era trasferito a Kiev e nel 1911 fu accusato di aver ucciso un ragazzo cristiano per usare il suo sangue nella preparazione della matzah pasquale. Anche se incarcerato per oltre due anni in attesa di processo, Beilis resistette alle pressioni psicologiche che volevano fargli ammettere che lui e altri ebrei erano colpevoli. Nel 1913, una giuria tutta cristiana lo assolse.

Più tardi, il figlio di Beilis, David, si lamentò del fatto che Malamud avesse plagiato il libro di memorie di suo padre, un’accusa audace considerando che “The Fixer” aveva vinto il Premio Pulitzer come miglior romanzo e il National Book Award. Inoltre, il figlio di Beilis riteneva che Malamud avesse infangato la memoria di suo padre. Il protagonista del romanzo, Yakov Bok, è infatti “un bestemmiatore arrabbiato, sboccato, un cornuto, senza amici e senza figli”. Secondo David Beilis, suo padre era invece “un padre di famiglia dignitoso, rispettoso, benvoluto, abbastanza religioso e con una moglie fedele” (dal libro: “Blood Libel: The Life and Memory of Mendel Beilis”, Jay Beilis, Jeremy Garber e Mark Stein, 2011; non tradotto in italiano).

Malamud negò le accuse, ma lo storico Albert Lindemann ha poi lamentato: “Verso la fine del XX secolo, la memoria del caso Beilis ormai è finita inestricabilmente fusa (e confusa) con… il romanzo ‘The Fixer’”.

3 / Shalom Aleichem – “La storia di Tewje il lattivendolo”/ “Tewje il lattaio” (scritto in yiddish)

Il più popolare di tutti gli scrittori yiddish, Shalom Aleichem (1859-1916) nacque in un villaggio ebraico vicino a Perejaslavl, nell’attuale Ucraina. Ha scritto con umorismo e calore sugli ebrei di lingua yiddish dell’Impero russo, ed è considerato una sorta di “Mark Twain ebreo”.

La serie di 8 racconti di Aleichem su “Tevé der milkhiker” (“Tewje il lattaio” nell’edizione italiana di Bollati Boringhieri del 2020; “La storia di Tewje il lattivendolo” nella traduzione di Lina Lattes per Formiggini del 1928, e per Feltrinelli, 1982 e 2000) è ambientato nella Russia imperiale alla fine del XIX secolo. Oggi quelle vicende sono meglio conosciute per il musical americano che ne è stato tratto, “Fiddler on the Roof” (“Il violinista sul tetto”) andato in scena per la prima volta a Broadway nel 1964, e per l’omonimo film del 1971 diretto da Norman Jewison, che ha reso celebri in tutto il mondo canzoni come “If I were a Rich Man” e “Sunrise, Sunset”

Tewje il lattaio è uno dei personaggi più vividi della tradizione letteraria ebraica. Nel romanzo, è sconcertato dal fatto che Dio gli abbia dato sette figlie, ma nessun figlio maschio. Tewje le ama tutte teneramente e le figlie amano il loro padre, ma mentre crescono in un mondo in rapido cambiamento, questa famiglia deve affrontare vari dilemmi generazionali.

L’antisemitismo e i pogrom alla fine portano alla dissoluzione definitiva del loro mondo. Tewje, insieme ad alcuni membri della sua famiglia e ad alcuni vicini, emigra negli Stati Uniti. A proposito, tale è stato anche il destino dell’autore, che è sepolto a New York City.

4 / Aleksandra Brushtein – “La strada si allontana all’orizzonte…” (scritto in russo)

Scritta in Unione Sovietica nel 1956, questa trilogia autobiografica dell’autrice ebrea Aleksandra Brushtein (1884-1968) è poco conosciuta al di fuori del mondo di lingua russa, e non è tradotta in italiano. Il titolo originale russo, che può essere reso come “La strada si allontana all’orizzonte…” è “Doroga ukhodit v dal…” (“Дорога уходит в даль…”). Ambientata a Vilnius (allora Vilna), quando l’attuale capitale della Lituania faceva parte dell’Impero russo, è considerata un’avventurosa storia di formazione, oltre che un racconto storico e sociale.

“Con umorismo pungente, abbondante autoironia e un profondo apprezzamento del suo passato, Brushtein racconta la storia della sua infanzia e adolescenza nella Vilna dell’inizio del XX secolo”, ha scritto un recensore del quotidiano israeliano “Haaretz” nell’ottobre 2019. Il libro è stato tradotto in ebraico.

La protagonista della storia, Sasha Janovskaja, affronta il sistema delle quote che limita l’iscrizione degli ebrei nelle scuole, ma ciononostante trova il modo di essere ammessa in una prestigiosa scuola femminile. Incontra decine di personaggi affascinanti, tra cui la domestica della famiglia, Yozefa, una pia donna polacca, o Hannah, un’anziana venditrice ebrea di pretzel. Da adolescente, nel secondo libro della trilogia (intitolato “V rassvetnyj chas”; «В рассветный час», ossia “Nell’ora dell’alba”) Sasha assiste al processo antisemita contro contadini ebrei falsamente accusati di compiere sacrifici umani.

“È difficile capire quanto il romanzo autobiografico di Aleksandra Brushtein su Aleksandra (Sasha) Janovskaja, una giovane ragazza ebrea cresciuta a Vilna all’inizio del secolo, sia stato amato da generazioni di bambini sovietici”, dice la critica Elena Furman. “In Unione Sovietica, dove è stata ripubblicata in molte edizioni di decine di migliaia di copie ciascuna, la trilogia ha raggiunto lo status di cult”.

5 / Semjon Reznik – “Khaim-e-Marja” (scritto in russo)

Basato sulla storia di un pogrom antiebraico nell’Impero russo del 1820, questo romanzo storico di Semjon Reznik (1938-), pubblicato in russo a Washington nel 1986, fin dal titolo è pieno di arguzia e sarcasmo. “Ivàn-da-Màrja” (Иван-да-марья) è in russo il nome di alcuni fiori i cui petali sono caratterizzati da due colori molto differenti tra loro, di solito giallo e azzurro o giallo e viola; per esempio la spigarola violacea (Melampyrum nemorosum). Questo tipo di fiori nella tradizione russa simboleggia l’Amore. L’autore ha sostituito al nome russo per eccellenza, Ivan, un tipico nome ebraico: Khaim. Ed ecco dunque “Хаим-да-Марья. Историко-документальная фантасмагория” (“Khaim-da-Marja. Istoriko-dokumentalnaja fantasmagorija”; Khaim-e-Marja. Fantasmagoria storico-documentale”.

Semjon Reznik ha scritto il romanzo a Mosca negli anni Settanta, ma non è riuscito a trovare un editore nell’Urss. Il libro è stato finalmente pubblicato in russo a Washington nel 1986 e tradotto in inglese all’inizio del 2020. Durante l’era sovietica, Reznik era meglio conosciuto come autore di diversi libri sugli scienziati, inclusa la biografia “ideologicamente dannosa” di grandi biologi sovietici, come Nikolaj Vavilov (1887-1943), agronomo, botanico e genetista morto in carcere durante l’era di Stalin (la genetica era infatti considerata dal partito comunista una “pseudoscienza borghese” e la dottrina ufficiale era il lysenkoismo).

Reznik, emigrato negli Stati Uniti nel 1982, scelse i fatti di Velizh come soggetto del suo romanzo, perché si trattava di uno dei più grandi tra i quasi 200 casi di “diffamazione del sangue” (accuse di sacrifici umani) ai danni degli ebrei nell’Europa del XIX secolo. Nell’aprile 1823, Fjodor, un bambino russo di tre anni, fu trovato assassinato in un campo fuori Velizh, una piccola città nella regione di Smolensk, 500 chilometri a ovest di Mosca. Più di 40 ebrei furono accusati ingiustamente dell’omicidio e arrestati. Alla fine molti morirono in prigione; altri sopravvissero, ma le loro vite erano ormai distrutte.

“I pregiudizi e la persecuzione degli ebrei in Russia non sono state tanto un problema ebraico, quanto piuttosto un problema russo. Hanno danneggiato lo spirito, la cultura e la statualità russa”, ha detto Reznik. “È fin troppo banale dimostrare che gli ebrei soffrono quando vengono perseguitati. Ma che dire dei persecutori? Anche loro ci rimettono da questo comportamento. Questo è il motivo per cui ho cercato di rappresentare tutti gli strati della società russa, dall’inizio alla fine”.

Mentre i tragici eventi del caso Velizh sono descritti in modo umoristico e cupo, il finale di “Khaim-e-Marja” lascia profondamente turbati. L’isteria di massa può spesso derivare dalla logica semplice e primitiva del popolo rurale, e quindi può essere facilmente promossa da burocrati corrotti, che perseguono i propri interessi mercantili e politici.


Perché l’Urss non fu mai la Terra Promessa per i tanti ebrei russi? 

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