Osip Mandelshtam nacque nel 1891 a Varsavia (città allora parte dell’Impero russo) in una famiglia di mercanti ebrei che in seguito, quando lui aveva sei anni, si trasferì a San Pietroburgo. Nella capitale, frequentò una scuola prestigiosa e poi fu mandato a studiare all’estero, prima alla Sorbona e poi all’Università di Heidelberg. I primi passi creativi li mosse assieme ai poeti acmeisti (Anna Akhmatova e Nikolaj Gumilev), fu affascinato dall’antichità e dai poeti francesi Verlaine, Baudelaire e Villon, ed ebbe una breve storia d’amore con la poetessa Marina Tsvetaeva.
Per molti intellettuali russi contemporanei, la coppia di poeti “Mandelshtam e Brodskij” ha assunto un carattere quasi sacrale. Entrambi hanno una figura paragonabile a quella dei martiri cristiani; hanno sofferto per i loro versi: uno è morto per mano delle autorità, l’altro è stato costretto a emigrare. Ma se la vita di Brodskij, nato più tardi, nel 1940, è stata comunque costellata di soddisfazioni, tra cui il Premio Nobel nel 1987 e la fama mondiale, il non meno geniale Mandelshtam è finito vittima della repressione ed è rimasto per molti anni nell’oblio.
Nel 1933, proprio al culmine del culto della personalità di Stalin, Mandelshtam scrive una poesia, “Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese”, che contiene una critica inimmaginabile al potentissimo leader sovietico, che viene definito “il montanaro del Cremlino”. Quanto a chi circonda Stalin al potere, il poeta scrive: “Ha intorno una marmaglia di gerarchi dal collo sottile / i servigi di mezzi uomini lo mandano in visibilio”, e “Ogni esecuzione, con lui, è una lieta cuccagna”.
Come si può facilmente immaginare, la poesia non fu pubblicata né durante la vita di Mandelshtam, né a lungo dopo la sua morte, avvenuta in un campo di smistamento vicino a Vladivostok nel 1938. Persino metterla nero su bianco era troppo pericoloso: Mandelshtam la recitava a voce solo ai compagni più fidati, e Pasternak, che la definì un tentativo di suicidio, lo pregò di non declamarla più a nessuno. Negli archivi della sicurezza nazionale si è conservata solo una copia autografa della poesia.
Mandelshtam era pronto alle peggiori conseguenze, ma all’inizio fu solo mandato al confino (dove tentò il suicidio) e poi gli fu permesso di risiedere a Voronezh. Quando lo arrestarono la seconda volta, nel 1938, il trasferimento verso il gulag nel Lontano Oriente russo, gli fu però fatale.
La poesia, comunque, in qualche modo si conservò e nel 1963 fu pubblicata in Occidente sull’almanacco “Mosty”, a cui fu consegnata dallo studioso di letteratura Jurij Oksman (è grazie a lui se molte poesie dell’Epoca d’argento, non pubblicate in Unione Sovietica, sono arrivate a noi). Così iniziò la fama postuma di Mandelshtam in Occidente.
Al giorno d’oggi Mandelshtam è ritenuto uno dei più grandi poeti del XX secolo, ma non è sempre stato così. Quando era in vita, rimase sempre all’ombra dei grandi dell’Epoca d’argento, in particolare di Aleksandr Blok; come sostiene lo studioso di letteratura e autore della biografia di Mandelshtam, Oleg Lekmanov. Poi le sue poesie furono proibite per lunghi anni, e il primo ritorno di interesse si ebbe appunto solo con la pubblicazione della poesia contro Stalin in Occidente.
Ma il vero grande interesse nei confronti di Mandelshtam lo crearono due libri di memorie della moglie Nadezhda, usciti nel 1970. In Occidente questi libri ebbero una diffusione maggiore che le sue poesie. Nelle sue memorie la vedova descrive non solo la vita del marito, ma fa anche il ritratto di molti contemporanei del poeta.
Gli studiosi occidentali hanno iniziato a studiare seriamente l’opera di Mandelshtam solo dopo che negli Stati Uniti fu pubblicata la sua opera omnia. Kirill Taranovskij, studioso di letteratura di origini russe, professore ad Harvard, formulò allora la teoria del “sottotesto”. Questo vuole indicare il fatto che la chiave di comprensione per quei passi incomprensibili dell’opera di Mandelshtam (così come della Akhmatova) vada ricercata nei testi di altri poeti: antichi, francesi, in Pushkin e nei suoi contemporanei. Leggendo queste poesie, si aprono nuove sfumature di senso.
Mandelshtam è stato molto studiato, ma ancora non esiste una raccolta accademica delle sue opere né un libro di memorie dei contemporanei su di lui.
La grandezza di Mandelshtam, tra l’altro, è stata riconosciuta dallo stesso Vladimir Nabokov, che, come noto, disprezzava praticamente tutti.
Una sua composizione è stata definita dalla poetessa Anna Akhmatova “la più bella poesia d’amore del XX secolo”.
Questa poesia è appunto piena di sottotesti: vi si trovano elementi biblici, con Maria e i pesci come simboli del Cristo, ed elementi delle fiabe orientali, nelle quali i pesci rappresentano un’allegoria del sesso. Ecco il testo originale russo, seguito da una traduzione italiana, tratta dalla rivista “Slavia” (04/2007).
Мастерица виноватых взоров,
Маленьких держательница плеч,
Усмирен мужской опасный норов,
Не звучит утопленница-речь.
Ходят рыбы, рдея плавниками,
Раздувая жабры. На, возьми,
Их, бесшумно окающих ртами,
Полухлебом плоти накорми!
Мы не рыбы красно-золотые,
Наш обычай сестринский таков:
В теплом теле ребрышки худые
И напрасный влажный блеск зрачков.
Маком бровки мечен путь опасный…
Что же мне, как янычару, люб
Этот крошечный, летуче-красный,
Этот жалкий полумесяц губ…
Не серчай, турчанка дорогая,
Я с тобой в глухой мешок зашьюсь;
Твои речи темные глотая,
За тебя кривой воды напьюсь.
Ты, Мария, — гибнущим подмога.
Надо смерть предупредить, уснуть.
Я стою у твердого порога.
Уходи. Уйди. Еще побудь. (1934)
***
Maestra nel rivolgere sguardi colpevoli,
dalle piccole spalle,
domato è il pericoloso temperamento mascolino,
non riecheggia la parola annegata.
Si muovono i pesci, le pinne rosseggianti,
le branchie enfiate. Toh, prendi,
e – le bocche “o” silenziose –
nutrile della pastura della tua carne!
Noi non siamo pesci rosso-aurati,
e è questo il nostro uso da sorelle:
nel trepido corpo le gracili costoline
e le vane umide pupille rilucenti.
Del papavero del ciglio è segnato l’infido cammino…
Che farci, a me, come un giannizzero, è dolce
questa tenue, rosso volatile,
questa dolente mezzaluna delle labbra.
Non avertene a male, cara turca,
io mi cucirò con te entro un sacco cieco,
e sorbendo il tuo parlare oscuro
per te mi disseterò con acqua maligna.
Tu, Maria, sei il sostegno dei perituri.
Occorre prevenire la morte, assopirsi.
Me ne sto ritto sulla salda soglia:
va’ via, vattene, rimani ancora qui…
Quattro poeti e scrittori russi morti in modo atroce
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