La maschera funeraria del poeta Sergej Esenin conservata nel Museo-riserva di Konstantinovo, nella regione di Ryazan
Aleksandr Chernykh/Global Look PressVsevolod Garshin: la malattia mentale e il suicidio imperfetto
Conosciuto per poche storie brevi (ne ha scritte una ventina in tutto) Vsevolod Garshin (1855–1888) rimane uno degli scrittori russi di più grande talento ma poco letti, noto quasi più per un racconto per ragazzi, “La rana viaggiatrice”. Morì ad appena 33 anni.
La vita di Garshin era stata tragica fin dagli inizi. Già da bambino soffriva di disturbi schizoaffettivi, una malattia mentale che causa lunghi periodi di depressione e allucinazione. Quando stava bene, Garshin aveva sempre paura di quando sarebbe arrivata la nuova crisi.
Il ritratto di Vsevolod Garshin realizzato da Ilya Repin
Metropolitan Museum of ArtNegli ultimi anni della sua vita, il quadro clinico peggiorò. Nel 1880 dovette passare diversi mesi in un ospedale psichiatrico, ma le cure mediche lo aiutarono solo temporaneamente. Uno dei suoi racconti più belli, “Fiore rosso”, del 1883, si ambienta proprio nel giardino di un manicomio. Nel 1888 confidò al suo amico, il pittore Ilja Repin (che aveva anche realizzato un suo ritratto): “Sono così spaventato di perdere ancora una volta la lucidità. Vorrei avere un amico vicino, che mettesse fine alla mia vita, se dovesse succedere di nuovo!”).
Alla fine, ci pensò da solo, incapace ormai di tollerare la paura e la malattia. Saltò a testa in giù nella tromba delle scale di casa sua, dal quarto piano. Ma non morì subito. Tra atroci sofferenze, l’agonia durò cinque giorni.
Daniil Charms: morto di fame in manicomio dopo essersi finto malato
A differenza di Garshin, Daniil Charms (1905 – 1942), scrittore famoso per i poemi assurdi, i racconti surreali e l’acuto sperimentalismo linguistico, non aveva problemi mentali. Ma, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, per scampare al fronte (lui stesso aveva origini tedesche, ed era un rigoroso pacifista) decise di simulare la schizofrenia.
Daniil Charms
Russian Archives/Global Look PressFin dal 1939, due anni prima che l’Unione Sovietica fosse coinvolta nel conflitto, riuscì a ottenere, simulando gravi problemi mentali, un certificato che attestava il suo essere non abile alle armi. Ma aveva comunque pensieri cupi, apocalittici, dettati dal conflitto. Al suo conoscente Pavel Zaltsman, che lo cita nelle sue memorie, disse: “Dovremo strisciare con le nostre gambe amputate, arrampicandoci su muri in fiamme”.
Non finì bene per lui. Rinchiuso nel manicomio di Leningrado, morì di fame nel 1942, durante l’assedio della città, quando non c’era più cibo per dar da mangiare ai malati.
Sergej Esenin: l’alcol, il cappio e una poesia scritta con il sangue
“Quando provai a convincerlo a non bere così tanto e a pensare un po’ di più alla sua salute, lui diventò subito nervoso: ‘Non posso! Ma come puoi non capire? Non posso non bere! Se non bevessi, come potrei sopravvivere a tutto questo?’”. Così ricorda Vladimir Chernjavskij le parole dell’amico poeta Sergej Esenin (1895-1925), durante il loro ultimo incontro.
Era una delle stelle più luminose della cosiddetta “Epoca d’argento” della letteratura russa (l’inizio del XX secolo). Ma nel 1925 Esenin era totalmente solo, disperato e beveva moltissimo. Non è chiaro se fosse l’alcolismo a portare alla depressione, o viceversa, ma è chiaro che l’abuso stava uccidendo il poeta.
Sergej Esenin
Viktor Gritsuk/Global Look Press“Tutti i pensieri del malato scorrono come se fossero tinti di nero”. Con queste parole un altro suo amico, Matvej Rojzman, descrisse lo stato psicologico del poeta. E ricordò come, nel marzo 1924, Esenin si fosse volontariamente fatto ricoverare in una clinica psichiatrica, ma anche come, poco dopo, se la fosse data a gambe e lui stesso lo avesse trovato a bersi una birra in un bar.
Verso la fine del 1925, Esenin sembrò raggiungere la disperazione totale. Il 28 dicembre, il suo corpo fu trovato impiccato in una stanza dell’Hotel Angleterre di Leningrado. Il giorno prima aveva dato a un amico una lettera con gli ultimi versi, scritti con il sangue (non c’era inchiostro in camera): “In questa vita, morire non è una novità, ma, di certo, non lo è nemmeno vivere.” Ma c’è anche un’altra versione dei fatti, supportata da alcuni esperti, che vorrebbe Esenin ucciso dai servizi di sicurezza sovietici.
Osip Mandelstam: morto di stenti nel gulag
Osip Mandelstam
Vadim Nekrasov/Global Look PressUn altro famoso poeta dell’Epoca d’argento, Osip Mandelshtam (1891-1938) di fatto mise fine alla sua vita nel 1933, scrivendo, e quel che è peggio declamando, una breve poesia intitolata “Epigramma di Stalin”, in cui lo definiva “montanaro del Cremlino” dalle “dita grasse come vermi” e “i baffi da scarafaggio”. Il suo amico Boris Pasternak disse che “non era una poesia, ma un atto suicida”.
La punizione in effetti non tardò. Le autorità arrestarono Mandelshtam e spedirono lui e la moglie in esilio in un luogo remoto, Cerdyn, nella regione di Perm, sugli Urali. Il poeta tentò il suicidio, ma fallì. Gli fu permesso di stabilirsi nella città di Voronezh. Ma nel 1938 fu di nuovo arrestato e stavolta venne spedito nel Lontano Oriente, con la condanna a cinque anni di lavori forzati. Morì a fine dicembre nel gulag di Vtoraja Recka, un campo di transito presso Vladivostok. Il corpo non è mai stato ritrovato; probabilmente fu seppellito in una fossa comune.
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