Andrej Platonov: amatelo o odiatelo, ma non potete non conoscere questo scrittore sovietico

Andrej Platonov, 1948

Andrej Platonov, 1948

Sputnik
Sono pochi gli autori che hanno avuto un simile impatto sulla letteratura, e una simile franchezza nel non idealizzare quello in cui affermavano di credere a livello politico e sociale

Il poeta vincitore del premio Nobel (nel 1987) Joseph Brodsky (1940-1996) ha descritto Andréj Platónov (1899-1951) come uno “scrittore eccezionale del nostro tempo” e una delle principali figure della letteratura del XX secolo, mettendo l’autore sovietico accanto a nomi come Marcel Proust, Franz Kafka, Robert Musil, William Faulkner e Samuel Beckett.

Il punto è che Platonov sostenne la Rivoluzione bolscevica ed entrò nel Partito Comunista, ma i suoi libri, ricchi di sfumature e di livelli, non mostravano pietà, e spesso smascheravano la società totalitaria e le sue menzogne. I personaggi di Platonov si gettano totalmente nel comunismo, ma non ne trovano sollievo esistenziale.

Gli inizi della carriera letteraria

Figlio di un ferroviere e di una casalinga, Platonov nacque nella città di Voronezh (520 chilometri a sud di Mosca) nel 1899. Il suo vero nome era Andrej Klimentov; lo pseudonimo “Platonov” se lo scelse nel 1920, per rendere omaggio a suo padre, Platon Klimentov.

Andrej, il più anziano di una famiglia di undici figli, iniziò il suo primo lavoro come fattorino all’età di 13 anni. Intorno a quell’età, iniziò anche a scrivere poesie. Seguendo le orme del padre, l’adolescente lavorò come assistente per la ferrovia sud-orientale, un simbolo della potenza industriale del tempo. Una delle figure retoriche più ricorrenti in Platonov, indicando metaforicamente il tema della rivoluzione e dell’utopia, divenne non a caso quella del treno o della locomotiva.

Andrej Platonov, 1925

Come molti altri giovani della sua generazione, Platonov accolse con palpabile entusiasmo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Quando scoppiò la Guerra civile, fu assistente macchinista sui treni che trasportavano munizioni per l’Armata Rossa.

Chi avrebbe mai pensato che, neanche vent’anni dopo, il più sovietico, e il più sincero di tutti gli scrittori sovietici, sarebbe finito per essere cancellato come un paria, perseguitato dal regime sovietico? L’unico vero genio sovietico che credeva sinceramente nell’utopia comunista alla fine ne divenne una vittima.

Il rapporto di amore-odio di Platonov con la letteratura

Il primo libro di Platonov, “Elektrifikatsija” (“Электрификация”; “Elettrificazione”) uscì nel 1921. Per tutti gli anni Venti, i suoi racconti furono pubblicati sulle principali riviste letterarie sovietiche. Iniziò a prendere piede sulla scena letteraria, lavorò come giornalista e prese parte a discussioni pubbliche su questioni filosofiche e politiche.

Nonostante il successo iniziale, la letteratura non fu però mai l’unica occupazione di Platonov. Dopo la laurea in un istituto politecnico, lavorò come ingegnere elettrico, introducendo l’elettricità nell’agricoltura locale, sulla scia della terribile siccità che aveva colpito il Distretto del Volga nel 1921.

Avendo assistito alle conseguenze della carestia, in buona parte provocata dall’uomo con le sue decisioni sbagliate, Platonov disse che non poteva più godere unicamente di una “attività contemplativa”, come la letteratura. Molte delle sue storie degli anni Venti hanno personaggi contadini affamati e impoveriti.

Nel tentativo di prevenire simili siccità in futuro, lo scrittore accettò un incarico nella filiale di Voronezh dell’Agenzia di gestione del territorio. Fece scavare 763 stagni, oltre 315 pozzi, costruire diversi ponti e dighe e installò tre centrali elettriche.

Verso la fine degli anni Venti, Platonov ridusse il suo impegno nel campo dell’ingegneria elettrica a favore della scrittura. Il romanziere si trasferì a Mosca, dove la sua carriera letteraria era però destinata al fallimento.

L’ambivalenza dello scrittore

Mentre Platonov era in prima persona impegnato negli obiettivi del piano sovietico per la costruzione di una società socialista, i suoi romanzi e i suoi racconti mantennero una vita parallela, non di rado deridendo i disastri burocratici dell’ideologia sovietica. Questo dualismo era pericoloso e alla fine costò a Platonov la carriera.

Gli scrittori sovietici “giusti” dovevano celebrare i risultati dell’industrializzazione e della collettivizzazione, e non certo criticare apertamente il sistema. Questo era un punto fermo per Stalin, che reagì con una serie di insulti alla vista della rivista “Krasnaja Nov”, dove era stato pubblicato il racconto “Vprok” di Platonov nel 1931 (in Italia è stato pubblicato nel 1963 da Bompiani con il titolo di “A buon pro. Cronaca dei contadini poveri” nella raccolta “Narratori russi moderni”).

Andrej Platonov, 1947

Paradossalmente, Platonov non era un nemico dell’utopia comunista, del regime sovietico, della collettivizzazione, ecc. E usava magistralmente il linguaggio dell’utopia sovietica come arma. A differenza della maggior parte dei suoi contemporanei, come Isaak Babel, Jurij Olesha, Evgenij Zamjatin, Mikhail Bulgakov e Mikhail Zoshchenko, che avevano scelto di giocare con il linguaggio e sfidare le convenzioni, Platonov si rassegnò alla lingua cruda e agli stilemi della sua epoca, non di rado sacrificando la complessità della trama e la ricercatezza dello stile.

Le opere più notevoli

Non a caso questo autore è ritenuto “il maestro del realismo socialista”. La sua opera più massiccia e importante, “Chevengùr” (l’unico romanzo che abbia completato) è uno sguardo dietro le quinte della vita sovietica durante la Nuova politica economica, ideata da Lenin negli anni Venti. Ed è uno di quei libri che va letto più di una volta per capire fino in fondo l’idea che sta alla base.

In italiano è stato pubblicato da Einaudi nel 2015 (nella traduzione da Ornella Discacciati) con il titolo di “Čevengur”, uguale all’originale, dopo essere apparso in passato, nella traduzione di Marija Olsufjeva, nel 1972 per Mondadori con il titolo “Il villaggio della nuova vita” e nel 1990 per Theoria come “Da un villaggio in memoria del futuro”.

Chevengur è una città utopica in cui il comunismo viene introdotto a un ritmo record. Il risultato è una catastrofe che Platonov, che assistette in prima persona alla collettivizzazione di Stalin, descrive con arguzia diabolica.

Il romanzo, scritto tra il 1926 e il 1928, era già pronto in tipografia per essere stampato, quando la censura sovietica impose lo stop all’ultimo minuto per motivi ideologici, sostenendo che mettesse a repentaglio l’idea dell’edificazione del socialismo. Platonov sostenne di aver scritto il suo romanzo con “intenzioni diverse”, ma nessuno lo ascoltò. In Unione Sovietica non venne mai pubblicato in versione completa fino al 1988.

La sua fatica successiva, “Kotlovàn”, scritto tra il 1929 e il 1930, è un romanzo oscuro e inquietante che si legge come Kafka, ma racconta i benefici del comunismo sovietico. Un gruppo di umani sta scavando le fondamenta di un edificio in mezzo al nulla affinché tutti possano viverci felici un giorno.

In italiano è stato pubblicato nel 1969 da Il Saggiatore con il titolo “Nel grande cantiere” e nel 1992 da Marsilio come “Lo sterro”.

Platonov descrive in modo asciutto la fame e la morte mentre ritrae operai, ingegneri e contadini che continuano il loro lavoro senza fine fino a barcollare esausti, come in un film dell’orrore di George Romero.

“Kotlovan” è una satira rovente sullo stalinismo e sull’opprimente sistema burocratico che distrugge la speranza, la fede e l’umanità. Pur sostenendo il proletariato nella sua lotta di classe per il socialismo, Platonov mostra il vero volto del collettivismo, privo di emozioni e sentimenti umani, in un modo che ricorda “1984” di George Orwell. In effetti, i destini dei due scrittori si intrecciano in modo strano. La tubercolosi si portò via Orwell nel 1950, a soli 46 anni. Platonov sarebbe morto della stessa malattia l’anno successivo a 51.

Leggere Platonov è una sorta di sfida difficile da sopportare. Il suo linguaggio è irritante, persino inquietante, e colpisce alcuni lettori, che lo trovano complesso o difficile da capire. Platonov si occupa con piglio quasi filosofico del futuro spirituale della nazione sotto il sistema sovietico.

Durante la Seconda guerra mondiale, Platonov lavorò come corrispondente di guerra per il quotidiano sovietico “Krasnaja Zvezdà” (“Stella Rossa”) e riuscì a pubblicare alcuni dei suoi racconti. Dopo la guerra, tuttavia, la sua opera finì di nuovo nel dimenticatoio. Uno dei suoi capolavori incompiuti, “Schastlivaja Moskvà”, è stato pubblicato solo nel 1991. In Italia, con il titolo di “Mosca felice” è uscito per Adelphi nel 1996.

Per qualche oscura ragione, Platonov non è mai stato arrestato. Ma suo figlio, il quindicenne Platon, venne incastrato con false accuse e mandato in un gulag. Il ragazzo fu rilasciato dopo due anni di prigionia, nel 1940, ma morì di tubercolosi, contratta nel campo di lavoro stalinista. Andrej Platonov prese la tubercolosi che lo avrebbe portato alla morte proprio da suo figlio.


I cinque libri fondamentali della letteratura sovietica 

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