Uno dei maggiori successi russi nella conservazione architettonica e culturale degli ultimi decenni è stato il restauro della tenuta di Khmelíta, nella Regione di Smolensk, legata alla vita di uno dei più amati drammaturghi russi. No, non si tratta di Anton Chekhov, ma di Aleksandr Griboedov (1795-1829), autore di un’unica commedia in versi, “Che disgrazia l’ingegno!” (“Горе от ума“; “Gore ot umá”), che per i russi è forse la più conosciuta e amata di tutte.
Khmelita si trova circa 35 km a nord-ovest di Vjazma, luogo che il pioniere della fotografia a colori russa Sergej Prokudin-Gorskij (si veda il paragrafo a fondo articolo) visitò nell’estate del 1912 nell’ambito di un progetto di documentazione dei siti legati al centenario dell’invasione napoleonica della Russia. Pur non avendo scattato foto a Khmelita, Prokudin-Gorskij salì sul campanile di Vjazma e fotografò i campi ondulati che portavano a nord della tenuta. Le mie visite a Khmelita si sono svolte tra il 1992 e il 2014.
Una tenuta che ispirò l’artista
La tenuta di campagna russa, l’usádba, è stata a lungo associata ai classici della letteratura russa. Pochi sono gli scrittori del XIX secolo che non hanno avuto un legame intimo con questo ambiente, dall’amata Jásnaja Poljána di Lev Tolstoj alla modesta Darovoe della famiglia Dostoevskij. Tra questi scrittori amanti del “buen retiro” in campagna va annoverato anche Aleksandr Griboedov (1795-1829), stretto conoscente di Aleksandr Pushkin (1799-1837) e autore della commedia satirica “Che disgrazia l’ingegno!”, uno dei classici imperituri della letteratura russa.
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In effetti, la tenuta di campagna ha svolto un ruolo importante nella storia e nella cultura russa in generale. Con i cataclismi del XX secolo molte case di campagna, grandi e piccole, sono scomparse, per distruzione, vandalismo o incuria. E le perdite sono continuate fino ai nostri giorni.
Tuttavia, ci sono esempi in cui la perseveranza e la dedizione, l’abilità e la fortuna hanno portato alla resurrezione di una usadba abbandonata. È il caso della tenuta della famiglia Griboedov di Khemlita, situata vicino a Vjazma, nella provincia di Smolensk. Oltre che per le sue caratteristiche architettoniche, la magnifica tenuta è nota proprio per il suo ruolo nella letteratura russa.
Le origini della tenuta
Di proprietà della famiglia principesca Buinosov-Rostovskij nel XVI secolo, la tenuta fu acquistata alla fine del XVII secolo da Semjon Griboedov, un comandante militare. Nel 1747, Khmelita passò nelle mani di Fjodor Griboedov, anch’egli ufficiale militare, che iniziò un’importante ricostruzione nel 1753.
Il grande palazzo è un raro esempio sopravvissuto dello stile barocco predominante durante il regno dell’imperatrice Elisabetta di Russia (Elizaveta Petrovna; 1709-1761), con facciate in mattoni stuccati dipinte in un colore pastello con finiture bianche. Le facciate sono caratterizzate da colonne appaiate, frontoni curvi, finestre circolari e ovali. Il piano principale dell’interno era costituito da una enfilade di stanze di rappresentanza, con un salone a due piani al centro.
La facciata del parco si apre su una terrazza centrale con una graziosa scalinata curvilinea che scende su entrambi i lati fino al parco panoramico. Oltre al palazzo, l’ampio complesso comprende quattro dependance di servizio annesse e una chiesa dedicata all’icona della Vergine di Kazan (1759).
All’inizio del XIX secolo, Khmelita era di proprietà di Aleksej Fjodorovich Griboedov, la cui sorella Anastasija aveva sposato Sergej Griboedov, un ufficiale dell’esercito in pensione di scarse risorse. Anastasija Griboedova riponeva grande fiducia nell’autorità del ricco fratello Aleksej, che pare sia stato una sorta di padre per Aleksandr, nato nel gennaio del 1795.
“Che disgrazia l’ingegno!”
Il giovane Aleksandr Griboedov era quindi un ospite frequente a Khmelita, soprattutto in estate. Grazie alla posizione dello zio nella società moscovita, Griboedov poteva osservare le maniere e i costumi della nobiltà russa e applicò queste conoscenze per ottenere un abile effetto satirico nella sua commedia in versi “Che disgrazia l’ingegno!”, completata nel 1824, ma pubblicata solo in brevi frammenti durante la sua vita, a causa della censura. Nonostante la disapprovazione della censura, il manoscritto circolò ampiamente tra l’élite letteraria russa e fu acclamato da Pushkin.
Pubblicata per la prima volta con ampi tagli della censura nel 1833, la commedia apparve a stampa nella sua versione completa e originale solo nel 1861. Scritto in versi giambici rimati, questo capolavoro è considerato un grande classico. Il suo incisivo ritratto delle manie umane è reso con un linguaggio apparentemente naturale e con frasi spiritose che sono note a ogni russo colto e sono diventate dei modi di dire.
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Il destino di Griboedov, tuttavia, avrebbe preso una piega tragica. Dopo il servizio militare durante la guerra contro Napoleone, Griboedov si trasferì a San Pietroburgo nel 1815 e, nell’estate del 1817, entrò nel corpo diplomatico. Grazie ai contatti nell’alta società, fu accolto nel vivace ambiente letterario e fece la conoscenza di scrittori influenti come Aleksandr Pushkin.
Prove e difficoltà
Nel mezzo di questo turbinio sociale, nel 1818 a Griboedov fu offerto un incarico diplomatico negli Stati Uniti. Declinò e accettò invece un incarico presso la missione diplomatica in Persia, le cui relazioni tese con la Russia sarebbero sfociate in una guerra. Negli anni successivi, il suo servizio si alternò tra la Persia, che visitò per la prima volta nel 1819, e Tiflis (oggi Tbilisi), capitale della Georgia recentemente acquisita dall’Impero Russo.
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All’inizio del 1823, Griboedov si congedò dal servizio diplomatico e si trasferì nell’area di Mosca, dove continuò a lavorare al suo capolavoro, “Che disgrazia l’ingegno!”. Tornato in servizio nell’estate del 1825, intraprese un lungo viaggio nel Caucaso.
All’arrivo a Tiflis, nel gennaio 1826, fu messo agli arresti per sospetta complicità nella rivolta decabrista, avvenuta nel mese precedente. Sebbene Griboedov conoscesse i partecipanti alla cospirazione, alla fine fu rilasciato per mancanza di prove di un coinvolgimento diretto.
Ripreso il servizio diplomatico a Tiflis, Griboedov svolse un ruolo importante nei negoziati diplomatici durante la guerra russo-persiana (1826-28), che si concluse con il trattato di Turkmenchay del 1828. Tornato da San Pietroburgo dopo aver illustrato il trattato, arrivò a Tiflis nell’estate del 1828 e, alla fine di agosto, sposò la quindicenne principessa Nina Chachavadze, figlia del poeta georgiano Aleksandr Chachavadze (1786-1846). Poche settimane idilliache furono l’unico periodo trascorso con la sua amata.
Il tragico destino di Griboedov
Nel gennaio 1829, Griboedov tornò in Persia come capo della missione diplomatica russa. Griboedov lasciò la moglie, ormai incinta, nella residenza russa di Tabriz, ma accompagnò il gruppo diplomatico nella capitale Teheran, dove le tensioni erano ancora vive per i termini del trattato di Turkmenchay, con il quale i persiani avevano perso tutta la zona nord dell’Impero, popolata da armeni e azeri. Il 30 gennaio, l’ambasciata russa fu presa d’assalto da una folla inferocita che sospettava i russi di ospitare un eunuco fuggito da un harem locale.
Dei 38 russi, tutti morirono tranne uno, che sopravvisse nascondendosi. Griboedov fu ucciso durante gli scontri e, a quanto pare, defenestrato. Prima decapitato, il suo cadavere fu sottoposto a prolungate mutilazioni che lo resero irriconoscibile. Per una straordinaria coincidenza, Pushkin ne vide i resti in un carro sulla strada caucasica di ritorno in Georgia. L’unico elemento riconoscibile era un dito deformato da una ferita riportata in duello nel 1818.
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I resti di Griboedov furono sepolti nella chiesa di San Davide sul monte Mtatsminda a Tbilisi. Nina, tornata al sicuro a Tiflis, venne a sapere della morte nonostante i tentativi di nascondergliela. Lo choc per la terribile notizia portò a un travaglio prematuro e alla perdita del bambino. Nina Griboedova visse fino al 1857 e rimase devota alla memoria del marito.
Questo fu il destino doppiamente tragico di un brillante scrittore russo che, durante la sua giovinezza, aveva goduto di tante piacevoli visite a Khmelita. Durante la seconda parte del XIX secolo, la grande tenuta di Khmelita entrò in un periodo di declino fino al 1894, quando fu acquistata dal conte Pjotr Gejden (1840-1907), un importante nobile di convinzioni politiche liberali. Egli non solo restaurò con cura il palazzo e i suoi arredi, ma lo arricchì con una vasta collezione di dipinti europei.
I problemi nel XX secolo
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, la tenuta fu nazionalizzata e il suo contenuto fu disperso. L’insieme architettonico è sopravvissuto non solo ai turbolenti anni del conflitto rivoluzionario (quando molti altri furono distrutti), ma anche alle terribili battaglie nella zona di Vjazma tra l’autunno del 1941 e la primavera del 1943. Per gran parte di questo periodo, il palazzo servì come quartier generale tedesco durante i mesi di occupazione.
Dopo la guerra, una serie di errori da parte del kolkhoz locale portò a un grave incendio e alla minaccia di una demolizione totale, seguendo il destino di molte altre tenute. Fortunatamente, alla fine degli anni Sessanta, il noto esperto di restauro Pjotr Baranovskij (1892-1984) pose fine alla distruzione totale.
Tuttavia, il lungo processo di restauro è iniziato solo con il coinvolgimento di Viktor Kulakov, un ex meccanico, che per caso ha conosciuto Baranovskij e il progetto Khmelita. Grazie agli sforzi incessanti degli anni Novanta, la resurrezione della villa e dell’insieme della tenuta ha preso il suo avvio sotto la direzione di Kulakov.
Una tenuta per l’ispirazione futura
Oggi la villa è stata restaurata in modo eccellente e funge da museo dedicato ad Aleksandr Griboedov. All’interno sono stati conservati, ove possibile, i dettagli decorativi originali e le stanze del piano nobile sono state elegantemente ristrutturate nello stile del primo Ottocento. La facciata della villa, come un tempo, si apre su un incantevole parco monumentale. I lavori di ricostruzione hanno interessato anche gli edifici di servizio del complesso e la chiesa dell’Icona della Vergine di Kazan.
Uno dei vicini edifici di servizio è stato trasformato in un museo dedicato all’ammiraglio Pavel Nakhimov (1802-55), noto soprattutto per i suoi eroici sforzi nella difesa di Sebastopoli durante la Guerra di Crimea. Nakhimov era nato nella vicina tenuta di Gorodok che, come la maggior parte delle tenute di campagna, non è sopravvissuta alle turbolenze del XX secolo. A maggior ragione, quindi, possiamo apprezzare la rinascita di Khmelita come museo, magnificamente ubicato e accessibile a tutti i visitatori interessati alla ricca storia culturale di questa tenuta di campagna russa.
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Prokudin-Gorskij, il suo metodo e la sua eredità
Nei primi anni del XX secolo il fotografo russo Sergej Prokudin-Gorskij inventò un complesso procedimento per ottenere fotografie a colori. Tra il 1903 e il 1916 viaggiò per l’Impero Russo e scattò oltre 2.000 foto con il nuovo metodo, che comprendeva tre esposizioni su una lastra di vetro. Nell’agosto del 1918 lasciò la Russia con gran parte della sua collezione di negativi su vetro e si stabilì in Francia. Dopo la sua morte, a Parigi, nel 1944, i suoi eredi vendettero la collezione alla Biblioteca del Congresso Usa. All’inizio del XXI secolo, la Biblioteca del Congresso ha digitalizzato le immagini di Prokudin-Gorskij, rendendo le foto pubblicamente e gratuitamente disponibili al pubblico mondiale. Un gran numero di siti russi ora ha una copia della collezione. Nel 1986 lo storico dell’architettura e fotografo William Brumfield organizzò la prima mostra delle foto di Prokudin-Gorskij alla Biblioteca del Congresso. In un lungo periodo di lavoro, cominciato agli inizi degli anni Settanta del Novecento, Brumfield ha rifotografato la gran parte dei luoghi visitati da Prokudin-Gorskij. Questa serie di articoli mette a confronto questi complessi architettonici a circa un secolo di distanza.
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