La figura di Napoleone in Russia nei secoli: tra odio per l’invasore e ammirazione per il genio

"Nel palazzo Petrovskij (Aspettando la pace)". Dalla serie di dipinti "Napoleone in Russia" di Vasiliij Vereschagin

"Nel palazzo Petrovskij (Aspettando la pace)". Dalla serie di dipinti "Napoleone in Russia" di Vasiliij Vereschagin

Vasiliij Vereschagin
Da oltre duecento anni l’imperatore dei francesi ha un ruolo di primo piano nell’immaginario storico-politico dei russi, con più sfumature e cambiamenti di mode di quanto ci si potrebbe immaginare

Nel 1806, il Santissimo Sinodo (il più alto organo di governo della Chiesa ortodossa russa tra il 1721 e il 1918), definì Napoleone Bonaparte “nemico della pace e della beata concordia” e lo inserì tra i “persecutori della Chiesa di Cristo”. Ciò avvenne sullo sfondo della formazione della Terza Coalizione anti napoleonica (che univa Impero russo, Gran Bretagna, Impero austriaco, Regno di Napoli, Regno di Sicilia e Svezia) e con un conflitto che pareva imminente tra l’esercito russo e quello francese. In queste condizioni, gli ideologi russi decisero di dare alla futura guerra un carattere di guerra santa. Ma nel 1807 Russia e Francia firmarono i trattati di pace di Tilsit (città che è l’attuale Sovetsk, nella Regione di Kaliningrad), e fino al 1812 la Russia ufficiale sembrò “dimenticarsi” del fatto che Napoleone era “l’Anticristo”, ma non il popolo russo.

Il poeta Pjotr Vjàzemskij (1792-1878) registrò una conversazione tra due contadini russi sull’incontro degli imperatori a Tilsit, che si svolse su una zattera nel mezzo del fiume Neman. “Come ha fatto il nostro padre, lo zar ortodosso, a decidersi a venire a patti con questo infedele?”, disse uno. “Ma come puoi, fratello, non capire, il nostro padre ha ordinato di preparare una zattera proprio a questo scopo, per prima far battezzare Bonaparte nel fiume, e poi permettergli di farsi vedere ai suoi occhi regali”, rispose l’altro.

Il genio veniva imitato, il nemico odiato

L'incontro di Napoleone I e Alessandro I sul fiume Nemunas, 25 giugno 1807 (Trattato di Tilsit), di Adolph Roehn

La generazione più anziana, che ancora ricordava il periodo di amicizia tra Napoleone e l’imperatore Paolo I di Russia (sul trono dal 1796 al 1801), apprezzava il francese per alcuni motivi. Per loro, Napoleone, che considerava la Rivoluzione francese del 1789 come l’evento principale della sua vita, era il restauratore della monarchia francese, la personificazione del forte potere autocratico. Nell’usadba dei parenti più anziani del poeta Afanasij Fet (1820-1892), il ritratto di Napoleone era appeso dalla fine del XVIII secolo, e solo dopo il 1812 fu relegato nel ripostiglio.

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In generale, per i russi di quel tempo, l’immagine di Napoleone aveva due facce. Come scrisse il veterano della guerra del 1812 Ilja Radozhitskij (1788-1861): “Pur essendo il nemico di tutte le nazioni d’Europa, Napoleone era pur sempre un genio della guerra e della politica”. Pertanto, “il genio veniva imitato e il nemico veniva odiato”.

“Конец победам! Богу слава!

Низверглась адская держава:

Сражен, сражен Наполеон!”

“Fine delle vittorie! Gloria a Dio!

È caduta la potenza infernale:

È abbattuto, è abbattuto Napoleone!”

Così scrisse nel 1814 Nikolaj Karamzin (1766-1826) nel poema “La liberazione dell’Europa e la gloria di Alessandro I”.

“Исчез, как утром страшный сон!”

“È scomparso come un sogno terribile al mattino!”

Scrisse invece il quindicenne Aleksandr Pushkin (1799-1837) nella poesia “Ricordi di Tsarskoe Seló”.

Tuttavia, con il tempo, l’atteggiamento di Pushkin nei confronti di Napoleone cambiò. Nel 1824 Pushkin definì Bonaparte “Земли чудесный посетитель” (“Meraviglioso visitatore della Terra”). Infine, nell’“Eugenio Onegin” (1823-1830), Pushkin dà dell’imperatore dei francesi una valutazione di questo tipo, quasi esistenziale: 

“Мы почитаем всех нулями, 

А единицами – себя.

Мы все глядим в Наполеоны;

Двуногих тварей миллионы

Для нас орудие одно…”.

“Giudichiamo tutti zero:

Noi soltanto siamo unici,

Noi soltanto Napoleoni;

Gli altri, bipedi a milioni,

Sono solo uno strumento…”.

Pushkin nel suo lavoro rifletteva vividamente il cambiamento di atteggiamento nei confronti di Napoleone nella società russa. Questo fu in gran parte influenzato dall’ultima parte della vita di Bonaparte: l’immagine del prigioniero dell’isola di Sant’Elena aggiunse romanticismo alla sua storia. Dopo la morte di Napoleone (5 maggio 1821), i lineamenti del “cattivo per antonomasia” cominciarono a svanire.

Il culto russo di Napoleone

Napoleone all'assedio di Tolone, 1793

In un’epoca in cui, secondo le memorie del famoso avvocato Anatolij Koni (1844-1927), per le strade di San Pietroburgo si aggiravano suonatori di organi italiani, i cui strumenti erano decorati con figure di Napoleone che moriva a letto e generali che piangevano intorno a lui, il nome stesso di Napoleone divenne familiare. Lo scrittore Aleksandr Druzhinin (1824-1864) chiama Goethe “il Napoleone intellettuale del nostro secolo”; mentre Aleksandr Herzen (1812-1870) scrisse che Byron è il “Napoleone della poesia”…

Già nel 1897 lo storico Vasilij Kljuchevskij scriveva: “Oggigiorno si incontra spesso uno scolaro che cammina con l’espressione di Napoleone I, sebbene abbia in tasca un libretto con una sfilza di due, due e due”. Inoltre, anche i principali eventi della biografia di Bonaparte entrano nel linguaggio comune e letterario. Ad esempio, il principe Andrej Bolkonskij nel romanzo “Guerra e pace”, scritto da Tolstoj nel 1863-1869, chiede: “Quale sarà la mia Tolone?”. L’assedio di Tolone (settembre-dicembre 1793), difesa dalle forze monarchiche con l’appoggio degli inglesi, fu la prima grande impresa del capitano d’artiglieria Bonaparte, precedentemente sconosciuto. Da allora, la parola “Tolone” è diventata una metafora di un brillante inizio di carriera.

Gli ultimi giorni di Napoleone di Vincenzo Vela. 1867 circa. Bronzo su base di marmo e legno

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Allo stesso tempo, lo studio delle principali campagne di Napoleone, secondo le memorie del generale Aleksej Ignatiev, “era alla base dell’educazione militare accademica” nell’esercito russo a cavallo dei secoli XIX-XX. E la conoscenza delle fasi principali della biografia di Bonaparte diventò un elemento necessario dell’educazione di qualsiasi persona colta.

Infine, Nicola II, come scrive lo storico Sergej Sekirinskij, “parlando con l’ambasciatore francese Maurice Paléologue nella biblioteca di Tsarskoe Selo, al tavolo su cui poggiavano una dozzina di libri dedicati a Napoleone, ammise di avere un culto per lui”. E questo avvenne all’inizio del 1917, quando il crollo dell’Impero russo era ormai inevitabile!

Uno dei pochi che in quegli anni si oppose all’esaltazione di Napoleone fu l’artista Vasilij Vereshchagin (1842-1904). Nel 1895-1896, si tennero a Mosca e San Pietroburgo mostre del suo ciclo di dipinti “Napoleone in Russia”, in cui Vereshchagin si sforzò “di mostrare il grande spirito nazionale del popolo russo”, nonché “di tirar giù l’immagine di Napoleone dal piedistallo da eroe su cui è stato messo”. Nei dipinti del ciclo, Bonaparte non è mostrato mai come un eroe trionfante. Spera senza successo di ottenere le chiavi di Mosca, in un cupo stupore attende le notizie del trattato di pace nel palazzo Petrovskij, oppure, ridicolo con una pelliccia e un cappello ungheresi, vaga davanti alla Grande Armata in ritirata. “È questo il Napoleone che siamo abituati a vedere?”, si chiedeva il pubblico sorpreso. La prospettiva adottata da Vereshchagin non risultò molto popolare: tra i ricchi russi non saltò fuori nemmeno un acquirente per il ciclo di dipinti. Solo alla vigilia dell’anniversario della Guerra patriottica, nel 1912, il governo zarista, sotto la pressione dell’opinione pubblica, acquistò l’intera serie da Vereshchagin.

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Al momento della Rivoluzione di Febbraio del 1917, il mito napoleonico, il ripristino del potere monarchico da parte di un eroe proveniente dal popolo e precedentemente sconosciuto, prese il volto di Aleksandr Kerenskij (1881-1970). Così di lui scrisse Marina Tsvetaeva (1892-1941):

“И кто-то, упав на карту,

Не спит во сне.

Повеяло Бонапартом

В моей стране”

“E qualcuno, caduto sulla mappa,

Non si culla nei suoi sogni.

Un soffio di Bonaparte

è apparso nel mio Paese”

I russi, vivendo la loro Rivoluzione di Febbraio, non potevano fare a meno di associarla alla rivoluzione più famosa del passato: la Grande rivoluzione francese. Da qui nacque un’ondata di interesse per la personalità del “primo console” e di richiami alla sua figura. Come disse in quei giorni Aleksandr Blok, “La destra (cadetti e senza partito) profetizzano un Napoleone (alcuni Napoleone I, altri Napoleone III)”.

Tuttavia, la Rivoluzione d’Ottobre e le sue conseguenze non si adattavano al mito napoleonico, e la sua figura finì almeno temporaneamente nel dimenticatoio. Si decise poi di far rivivere l’immagine di Bonaparte ai tempi di Stalin.

Napoleone in Urss

Vladislav Strzhelchik nel ruolo di Napoleone nel film

Nel 1936 fu pubblicato il libro dello storico Evgenij Tarle (1875-1955), “Napoleon”, che fino a oggi rimane una delle biografie più popolari di Bonaparte in Russia. Ricco di supposizioni storiche e inesattezze, il lavoro di Tarle fa rivivere l’immagine romantica e persino mistica di Napoleone, un eroe che, come dal destino, era predeterminato alla fama mondiale. “Tutto, sia grande che piccolo, si è sviluppato in modo tale da portarlo irresistibilmente in alto, e tutto ciò che ha fatto, o anche quello che è successo fuori dalla sua volontà, è andato a suo vantaggio”, scriveva Tarle. Sergej Sekirinskij definisce apertamente questo libro un “lavoro su commissione politica”. Del resto, dopo la sua pubblicazione, nonostante le recensioni che lo stroncavano, a Tarle, che era precedentemente caduto in disgrazia, venne restituito il titolo di Accademico dell’Accademia delle Scienze dell’Urss.

Con l’inizio della Grande Guerra Patriottica (come in Russia si chiama la Seconda guerra mondiale), l’immagine di Napoleone, ovviamente, iniziò di nuovo a essere menzionata come aggressore, e il confronto con Hitler aveva lo scopo di motivare e rassicurare il popolo e i soldati. “Non è la prima volta che la nostra gente ha a che fare con un nemico aggressivo e arrogante. Un tempo, il nostro popolo ha risposto alla campagna di Napoleone in Russia con la Guerra patriottica, e Napoleone fu sconfitto, arrivò al collasso. Lo stesso accadrà con l’arrogante Hitler, che ha annunciato una nuova campagna contro il nostro Paese”, disse il commissario del popolo per gli affari esteri Vjacheslav Molotov nel suo discorso del 22 giugno 1941, il giorno in cui è iniziata la guerra.

Il maresciallo Georgij Zhukov

Successivamente, la controffensiva vicino a Mosca del 1941-1942 fu paragonata nella propaganda ufficiale alla sconfitta e alla ritirata delle truppe napoleoniche nell’autunno del 1812. Inoltre, nel 1942 fu celebrato il 130° anniversario della Battaglia di Borodinó. “Guerra e pace” tornò a essere uno dei libri più letti. Questo confronto è venuto in mente, ovviamente, non solo ai russi. Il generale tedesco Günther Blumentritt (1892-1967) scrisse: “Vicino a Mosca, nel 1941, il ricordo della Grande Armata di Napoleone ci perseguitava come un fantasma. C’erano sempre più coincidenze con gli eventi del 1812…”.

Lo stesso Hitler ritenne opportuno rispondere a tali sentimenti nel suo esercito. Parlando al Reichstag il 26 aprile 1942, Hitler, volendo dimostrare che i soldati della Wehrmacht erano più potenti dell’esercito di Napoleone, sottolineò che Napoleone aveva combattuto in Russia a una temperatura di -25 °C, e i soldati della Wehrmacht a -45 ºC e anche -52 °C! Hitler era anche convinto che fosse stata la ritirata a rovina di Napoleone, e l’esercito tedesco aveva ordini severi di non ritirarsi. La propaganda tedesca cercava in ogni modo di “staccarsi” dalla storia napoleonica.

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E in Urss, dopo la guerra, il mito bonapartista fu nuovamente criticato. La figura di Georgij Zhukov, il generale protagonista della guerra, era troppo pericolosa. Nel suo diario, il 10 marzo 1956, l’artista Ljubov Shaporina, ammirando Zhukov, lo definì “il più grande capo militare della storia russa”, e scrisse senza giri di parole: “Vivremo fino a vedere il 18 brumaio?” (il 18 brumaio dell’anno VIII della Rivoluzione, ossia il 9 novembre 1799, venne compiuto da Napoleone Bonaparte il colpo di Stato che segnò la fine del Direttorio). La Shaporina sperava, insomma, nella restaurazione del vecchio ordine “democratico-borghese” per mano di Zhukov. 

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Non sorprende che le accuse mosse contro Zhukov dalla direzione del partito nel 1957 ripetessero le parole “bonapartismo” che gli erano già state rivolte sotto Stalin nel 1946. Il “18 brumaio” non arrivò mai. Dopo essere caduto in disgrazia anche con Khrushchev, il generale non tornò mai più  all’attività politica. E l’immagine di Napoleone?

Negli anni della fine dell’Urss e nella Russia post-sovietica, l’imperatore francese finì sugli scaffali, sotto forma di busti di porcellana e opere storiche. Né la propaganda ufficiale, né gli ideologi dell’opposizione utilizzavano attivamente l’immagine di Bonaparte, ma altrettanto non si può dire dei copywriter, che hanno continuato a sfruttarlo con successo come parte integrante della coscienza storica russa.

L’ultima grande apparizione di Napoleone sugli schermi russi è stata l’uso della sua immagine in una serie di spot pubblicitari, girati dal celebre regista Timur Bekmambetov per la Banca “Imperial”, nel 1992-1997, che avevano al centro alcuni grandi condottieri della storia.

Due degli spot, diventati dei classici della pubblicità russa, avevano per protagonista il Bonaparte, entrambi non in modo negativo. Nel primo video, intitolato “Baraban”, l’imperatore mostra freddezza e coraggio sul campo di battaglia. Nel secondo, intitolato “Napoleon Bonapart”, gli autori rendono omaggio alla capacità di Napoleone di accettare la vittoria e la sconfitta con la stessa dignità. Il video mostra la fuga ingloriosa di Napoleone, ormai a Parigi dopo aver abbandonato molti suoi uomini sulla Beresina. “Volevo solo vedere in faccia il mio imperatore”, dice un’anziana donna francese a Napoleone, avvicinandosi alla sua carrozza. In risposta, Bonaparte dà alla donna una moneta con il suo ritratto e dice: “Guardatemi qui; qui sto molto meglio”.


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