Marina Tsvetaeva, la principessa guerriera: esce in libreria la sua fiaba in versi inedita in Italia

Pubblicata da Sandro Teti Editore nella traduzione di Marilena Rea, con testo e illustrazioni originali a fronte, questa fiaba ci accompagna nel mondo del folklore russo, stravolgendone però i canoni e reinventando il ruolo della principessa, che diventa amazzone e guerriera. Un'opera moderna, che rende omaggio alla cultura popolare e celebra il carattere indomabile della poetessa

La tradizione folclorica, il ribaltamento dei ruoli, l’elevazione della donna a guerriera audace, impavida, quasi rivoluzionaria. A 100 anni dalla sua stesura, esce il 22 ottobre in tutte le librerie e negli store online la fiaba in versi di Marina Tsvetaeva (spesso traslitterata come Cvetaeva) “La principessa guerriera” (titolo originale “Царь-Девица”, Tsar-Devitsa), tradotta dal russo da Marilena Rea e pubblicata per la prima volta in Italia da Sandro Teti Editore in versione integrale, con testo e illustrazioni originali a fronte. Un poema che fiorisce dalla cultura popolare russa e le rende omaggio, prendendo in prestito personaggi fiabeschi e costrutti folclorici, ma a sorpresa rovesciandoli, dipingendo così un mondo tanto familiare quanto estraneo per un lettore abituato a prìncipi-eroi e fragili fanciulle da riscattare. 

Un vecchio zar, la matrigna, lo tsarevich, una guerriera. Fin qui figure ricorrenti, personaggi della tradizionale fiaba russa che Marina Tsvetaeva ripensa in chiave nuova, per certi versi più moderna, in un’inversione di ruoli che stravolgono l’andamento classico della favola.

Lo tsarevich - il figlio dello zar - è un ragazzo inetto, “di lotta e guerre inesperto”, esplicitamente paragonato a una vergine, la cui mano è “buona a tessere”. La protagonista dal nome androgino, alla quale Tsvetaeva dedica il titolo dell’opera, è invece una donna determinata, coraggiosa, audace, attratta da un uomo che “non esige cose da femmine”. Zar-fanciulla (Царь-Девица, Tsar-Devitsa) è un'amazzone russa, una principessa totalmente fuori dai canoni che snobba l’abito nuziale e dimostra una solida considerazione di sé, quando, prima di partire alla conquista dell’innamorato, dice alla balia, frastornata di contentezza e rincuorata perché “finalmente l’aquila farà il nido”: “Sono stata il signore di un esercito, riuscirò a spuntarla su un uomo solo!”. Ad accompagnare le vicende di questi personaggi, un vecchio zar ubriacone e una matrigna dilaniata dall’incontenibile amore e appetito sessuale verso il figliastro. Un’opera per certi versi moderna, al di là della disomogeneità metrica e dei “ghiribizzi linguistici” (come li definisce la stessa traduttrice), che premiano i lettori più dediti e pazienti.

Scritto in un periodo di stenti, miseria, lutto e sofferenza (la guerra civile in Russia, un marito al fronte di cui non si hanno notizie, la morte della figlia Irina schiacciata dalla fame), “Tsar-Devitsa” appare oggi la sintesi di un'epoca di rivoluzionario cambiamento: da un lato, la celebrazione dell’arte popolare e delle radici folcloriche della Russia, paese che la Tsvetaeva amava tanto; dall’altro, una visione nuova su un mondo che sta per scomparire, con quel potente - quasi ribelle - rifiuto del ruolo convenzionale della donna. 

Il poema si svolge in un tempo “astorico”, tipico della tradizione folclorica, e si divide in tre Notti e tre Icontri, più una breve Notte ultima e una Fine. Quando uscì a Mosca, pubblicato nel 1922 da GIZ, fu accolto con scarso entusiasmo e numerose critiche per via di un “russo eccessivamente pesante”, “barocco”, “noioso e sconveniente da far leggere ai bambini”.

Noi che oggi abbiamo la fortuna di riprendere in mano l’opera e assaporarla senza i filtri della sua contemporaneità, intravediamo una delle tante anime della Tsvetaeva: quella più combattente e critica nei confronti dei dettami dell’epoca, alimentata da uno “spirito virile, alacre, risoluto, battagliero, indomabile”, come la definì Boris Pasternak. Ma scorgiamo anche l'anima romantica della poetessa, con l'amore punto fisso all'orizzonte; il suo, però, è un amore che si manifesta nella "tragedia del mancarsi" e del passarsi accanto, paradigma tsvetaeviano per eccellenza che non risparmia nemmeno i due protagonisti del poema.

Una fiaba immancabile sulla libreria di coloro che apprezzano l’opera della grande Marina.

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