Tsvetaeva, una cometa sulla terra

Settant’anni fa moriva la grande poetessa che scriveva: Non c’è posto per me nel presente e nel futuro. Così sono passati decenni prima che il mondo la riscoprisse

Vorrei essere sepolta nel cimitero dei Khlysti a Tarussa, sotto un sambuco, in una di quelle tombe con le colombe argentate, lì, dove crescono le fragoline più grosse e più rosse. Marina Tsvetaeva scrisse questi versi in esilio. Tarussa sul fiume Oka, 100 chilometri a Sud di Mosca, era il paese della sua infanzia, con quelle estati floride e selvagge che terminarono bruscamente in una disgrazia: a 14 anni restò orfana di madre, colpita dalla tubercolosi. Desiderio rimasto irrealizzato, considerato che, alla sua morte, la tomba fu tumulata nella tatarica Elaburga, lontanissimo dall’idillio della sua infanzia. Tsvetaeva era giunta in questo desolante luogo dopo lunghi anni di odissee e vi rimase fino al suicidio, a fine estate del 1941.

Un’indagine
sull’anima

Gli occhi apertamente non offusco.
Tra lo scroscio – fisso.
Bambole di Venere,
affissate lo sguardo!
Questa unione più stretta
che attrarsi e giacere.
Lo stesso Cantico dei Cantici
cede la parola
Per noi, sconosciuti
intercede
Salomone perché il pianto
comune è più che il sonno.
Nelle onde cave
dell’oscurità – curva e uguale –
senza traccia, silente
come affonda la nave.

Il poema della fine
Milano, Polena, 1985
Traduzione: Nadia Cicognini

Nata nel 1892 da un professore di storia dell’arte e da una pianista di origine tedesca, Marina trascorse l’infanzia a Mosca. Parlava fluentemente il francese e il tedesco e accompagnava la madre malata in Italia oltre a frequentare collegi in Svizzera e a Friburgo in Germania.

Nel 1919 scrisse nel suo diario: “Dentro di me vivono tante anime ma la principale è tedesca. Dentro di me ci sono tanti fiumi ma il principale è il Reno”. Heine, Hölderlin, Goethe e Rilke erano i suoi poeti di riferimento. Ma neanche nell’esilio di Berlino, Praga e Parigi, dove fu spinta dai cataclismi in Russia nel 1922, la nostalgia della sua terra l’abbandonò mai.

Dovunque e in qualunque condizione vivesse, la poetessa combattè contro la volgarità e i dettami dell’epoca, obbedendo soltanto alla sua coscienza. I suoi grandi temi furono l’amore innanzitutto, quindi l’arte, il conflitto passionale tra l’esistenza terrestre e l’essere metafisico. Fu una cometa precipitata sulla terra. Rilke lo sapeva e le dedicò queste parole: Oh le perdite nello spazio, Marina, le stelle precipitanti.

La Tsvetaeva non condensava soltanto mondi interiori, ma anche l’essenza del suo tempo in neologismi e ritmo per creare immagini poetiche universali e forti. Dopo 17 anni di esilio, nel giugno del 1939, la poetessa tornò insieme al figlio sedicenne Gheorghi nell’Unione Sovietica, tormentata da tetri presagi. Due anni prima, sua figlia Ariadne, una comunista convinta, era tornata con il marito Sergei Efron che era finito nella trappola dei servizi sovietici.

Anima che non conosce misura,
anima di flagellante e fanatico,
che ha nostalgia della sferza.
Anima – incontro al carnefice
come farfalla dalla crisalide!
Anima, che non ingoia l’offesa
che più gli stregoni non brucino.
Come colonna di resina
fumante sotto il cilicio…
Eretica crepitante,
- sorella del Savonarola -
Anima, degna del rogo!

Anima che non conosce misura in Poesia del Novecento in Italia e in Europa a cura di Edoardo Esposito Milano, Feltrinelli, 2000 Traduzione: Nadia Cicognini

Nessuno della famiglia poteva immaginare la dimensione del terrore stalinista. La realtà li fece ricredere: nell’agosto del 1939 venne arrestata Ariadne, nell’ottobre Sergei Efron. La Tsvetaeva vagò con Georghi da un’abitazione provvisoria all’altra. La quotidianità era dominata dall’angoscia esistenziale, dalla responsabilità per il figlio straordinariamente dotato e dall’impossibilità di pubblicare anche solo una riga di poesia. Poi arrivarono le bombe tedesche su Mosca e la decisione di andar via, fino al Tatarstan.

Fu trovata impiccata da una contadina, con i capelli grigi, il volto segnato dagli stenti, le mani consumate e ingiallite dalla nicotina. L’arresto dei parenti, le umiliazioni da parte di autorità e colleghi e le liti con il figlio adolescente avevano consumato le forze della poetessa.

Ma il colpo finale arrivò dai servizi, che volevano costringerla a collaborare. Tsvetaeva rifiutò. “ Il suicidio non esiste, esistono solo gli assassini”, scrisse a proposito dei suoi colleghi poeti Esenin e Maiakovski, che si congedavano dalla vita. O ci venivano spinti.

A cominciare dagli anni Sessanta, la poetessa viene rivalutata e partono le pubblicazioni delle sue opere, fino alle celebrazioni in occasione del 100esimo dalla nascita. Da quel momento, è un crescendo di interesse per la sua produzione, di cui continuano ancora oggi ad affiorare opere. Alla sua scarcerazione nel 1955, Ariadne Efron non ha trovato neanche una tomba.

Oggi esiste un luogo commemorativo a Elaburga, e anche una lapide a Tarussa, il paese verso il quale era diretta la nostalgia della poetessa. Perché il percorso dei poeti somiglia a quello delle comete, imprevedibile e senza misura in un mondo fatto a misura...


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