Nel febbraio del 1801, oltre 22 mila cosacchi sotto il comando dell’atamano Matvej Platov partirono dalle steppe del Don per una spedizione senza precedenti, attraverso tutta l’Asia centrale e l’Afghanistan, fino in India.
Grazie al desiderio dell’imperatore Alessandro I di far dimenticare il nome di suo padre, Paolo I, assassinato in una congiura di palazzo di cui lui era a conoscenza il 23 marzo del 1801, la spedizione indiana venne poi dipinta come un’avventura e come la follia di un monarca pazzo.
Molti dettagli dell’operazione militare vennero fatti cadere di proposito nel dimenticatoio. Così, a pochi è noto che quella marcia dei 22 mila cosacchi era solo una piccola parte delle manovre previste in un vasto piano russo-francese di invasione dell’India, pensato da Napoleone Bonaparte in persona.
Nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo, gli sforzi di tutti i monarchi d’Europa erano diretti verso un solo obiettivo: sconfiggere la Francia rivoluzionaria, affinché le sue idee non contagiassero anche le popolazioni degli altri Stati.
A queste guerre partecipava anche l’Impero Russo. Suvorov realizzò le sue brillanti Campagne d’Italia e di Svizzera, e la flotta dell’ammiraglio Fjodor Ushakov rendeva dura la vita ai francesi nel Mare Mediterraneo.
Tuttavia, con il passare del tempo, l’imperatore Paolo I si convinse sempre più che alla Russia non venisse nulla di positivo dallo scontro con i francesi. Mentre le truppe russe versavano il loro sangue, gli inglesi e gli austriaci rimanevano nell’ombra alle loro spalle e si godevano i risultati delle vittorie.
L’ultima goccia fu l’occupazione di Malta da parte della Gran Bretagna nel 1800. Dopo aver scacciato dall’isola la guarnigione francese, gli inglesi non solo non la riconsegnarono ai Cavalieri dell’Ordine di Malta, ma la trasformarono subito in una loro colonia e ci impiantarono una base navale. Paolo I, che era Gran Maestro dell’Ordine, visse la cosa come un’offesa personale.
Così Paolo I fece saltare l’alleanza con i britannici e iniziò a cercare un avvicinamento nei confronti dell’ex nemico: la Francia, che ben volentieri venne incontro ai suoi desideri.
Il Primo Console della Repubblica Francese Napoleone Bonaparte (titolo che avrebbe conservato dal 1799 al 1804, quando si dichiarò Imperatore dei francesi) liberò seimila soldati russi prigionieri, e in parata con le loro insegne e le armi, li rimandò a casa. Questo gesto fu molto apprezzato dall’imperatore russo, che, come risposta, espulse dal Paese Luigi XVIII di Francia, che aveva ottenuto rifugio in Russia nel 1798 e viveva nel Palazzo Jelgava, in Curlandia (nell’attuale Lituania).
Russi e francesi si accordarono su azioni congiunte contro la Gran Bretagna, responsabile, secondo loro, di un gran numero di intrighi e della destabilizzazione dell’Europa. “Assieme con il vostro sovrano cambieremo faccia al mondo!”, disse Napoleone al console russo a Parigi
Un’invasione via mare della Gran Bretagna venne esclusa a priori: nemmeno unendo le forze, le flotte russa e francese sarebbero state all’altezza di competere con gli inglesi.
Allora Napoleone ideò il piano di un colpo congiunto delle due potenze alla principale fonte delle ricchezze dei britannici: l’India. Un chiodo fisso del corso, che sulla sua conquista fantasticava fin dai tempi dell’inizio della Campagna d’Egitto (1798-1801).
Secondo i piani, un contingente di 35 mila soldati francesi, dotati di artiglieria leggera, sarebbe dovuto arrivare ad Astrakhan, dove si sarebbe unito ad altrettanti miliari russi (15 mila fanti, 10 mila cavalieri e 10 mila cosacchi).
Attraverso il Mar Caspio le truppe franco-russe avrebbero lasciato Astrakhan alla volta di Astrabad (l’attuale Gorgan, in Iran). La prima fase della spedizione, dalla frontiera francese alla Persia richiedeva 80 giorni.
Con la seconda fase dell’operazione, della durata prevista di 50 giorni, i militari avrebbero dovuto marciare da Astrabad fino alle città afgane di Herat, Farah e Kandahar e da nord penetrare nel territorio dell’attuale Pakistan, per poi scendere in profondità nel subcontinente indiano.
Oltre all’armata franco-russa di 70 mila uomini, alla spedizione avrebbe dovuto prendere parte anche la flottiglia russa del Lontano Oriente e un altro contingente di cosacchi, che furono in fin dei conti quegli unici 22 mila uomini che si spostarono verso l’India.
Su proposta personale di Paolo I, la spedizione sarebbe dovuta essere comandata dal generale (dal 1804 maresciallo) Andrea Massena.
La spedizione dei cosacchi dell’atamano Matvej Platov risultò essere la prima fase dell’operazione congiunta. E non fu, come venne poi detto ed è spesso abitudine pensare, una decisione avventata dell’imperatore. Anzi fu preparata a lungo e scrupolosamente.
Il 28 febbraio del calendario giuliano (13 marzo attuale) del 1801, i cosacchi iniziarono lo spostamento dal Don in direzione di Orenburg. Da là dovevano proseguire attraverso le steppe del Kazakistan, le terre del Khanato di Khiva e dell’Emirato di Bukhara (gli attuali Turkmenistan e Uzbekistan) e, dopo aver superato l’Afghanistan, arrivare sul territorio dell’attuale Pakistan.
A differenza di quanto si dica spesso, un simile percorso non era per niente terra incognita per i cosacchi. La diplomazia russa aveva lavorato per creare relazioni amichevoli con le popolazioni nomadi delle steppe kazake.
Sospettando che l’atteggiamento dei governanti di Khiva e Bukhara verso i cosacchi non fosse altrettanto amichevole, la Russia stabilì relazioni di alleanza con il loro vicino, lo Stato di Tashkent, che era pronto a fornire provvisioni alle truppe e guide per arrivare in Afghanistan.
Al momento della spedizione cosacca, il controllo britannico sull’India non era certo molto stabile. La Compagnia delle Indie Orientali, che si occupava della colonizzazione della regione, controllava solo i territori orientali e meridionali della Penisola indiana.
Rispettando i piani, i cosacchi sarebbero dovuti entrare sul territorio dell’Impero Sikh e su quello del più grande Stato della regione, l’Impero Maratha. Entrambe le entità da molti anni si battevano contro l’espansionismo britannico, e nei confronti dei nuovi arrivati potevano, se non proprio diventarne alleati, almeno avere una posizione benevola o neutrale.
Le truppe britanniche disseminate sui vasti possedimenti indiani della Compagnia delle Indie Orientali corrispondevano al numero dei cosacchi di quel primo contingente: poco oltre 22 mila unità, se non si contavano le deboli milizie formate da popolazione locale.
Contro i cosacchi di Platov e il corpo di spedizione da 70 mila unità di Massena, gli inglesi avrebbero avuto poche chance di resistere. Inoltre, Paolo I e Napoleone contavano di aumentare le proprie truppe grazie a corpi di volontari che si sarebbero formati tra le popolazioni locali che volevano liberarsi dal dominio britannico.
Dopo aver sconfitto la Compagnia delle Indie Orientali, i francesi si sarebbero consolidati nella parte meridionale della penisola, e i russi avrebbero stabilito la loro influenza nel nord.
L’invasione, tuttavia, non è mai avvenuta. L’11 marzo (23 marzo) 1801, l’imperatore Paolo I fu ucciso in una congiura di palazzo, in cui la Gran Bretagna giocò un ruolo attivo. I cosacchi di Platov furono rimandati a casa con uno dei primi decreti del nuovo imperatore Alessandro I.
Napoleone si infuriò per la morte dei suo alleato russo: “Non ce l’hanno fatta con me il 3 di Nevoso (il 24 dicembre del 1800 secondo il calendario rivoluzionario, quando a Parigi c’era stato un attentato ai suoi danni, di cui erano sospettati gli inglesi, ndr) ma mi hanno colpito a San Pietroburgo”.
La storia vide poi un’inversione di rotta completa. La Russia si unì di nuovo alla coalizione antifrancese e avrebbe dovuto patire un bel po’ di amare sconfitte e sacrificare Mosca, prima di avere la meglio su Napoleone e vedere i soldati russi conquistare Parigi.
Nei decenni successivi gli inglesi sconfissero definitivamente l’Impero Sikh e l’Impero Maratha, garantendosi il completo controllo sull’India fino alla metà del XX secolo.
Cinque fattori che portarono alla sconfitta di Napoleone in Russia
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