Quelle navi da guerra che portarono la Pepsi alla conquista dell’Urss

Thirsty Muscovites gather at a Pepsi Cola machine in Moscow, Friday, Sept. 6, 1991. The soda sells for 20 kopeks, about 10 cents a serving.

Thirsty Muscovites gather at a Pepsi Cola machine in Moscow, Friday, Sept. 6, 1991. The soda sells for 20 kopeks, about 10 cents a serving.

AP
Un’operazione commerciale impossibile, avviata in un’epoca in cui l’Unione Sovietica non aveva accesso alla moneta straniera e il rublo non poteva essere cambiato. Fu così, con tonnellate di vodka e una flotta da combattimento, che la bibita americana riuscì finalmente a sfondare la cortina di ferro, trasformandosi, seppur per pochi giorni, nella sesta potenza militare più grande del mondo

Distributori di Pepsi a Mosca, 1991. Fonte: APDistributori di Pepsi a Mosca, 1991. Fonte: AP

Correva l’anno 1959. Il Presidente americano Dwight Eisenhower sognava che i cittadini sovietici venissero a conoscenza dello stile di vita statunitense e dei benefici del capitalismo sul comunismo. Fu così che il governo degli Stati Uniti organizzò a Mosca l’Esposizione nazionale americana, mandando il vice presidente Richard Nixon in rappresentanza.

Fu proprio durante questa esposizione che Nixon incontrò Khrushchev. I due stavano ammirando le ultime novità tecnologiche e i prodotti di consumo arrivati dall’altra parte dell’Oceano, quando la discussione si spostò sui benefici del consumismo e del capitalismo. Lo scambio di idee si fece talmente acceso che Khrushchev iniziò a sudare abbondantemente sotto la giacca. E visto che il caldo di giugno non aiutava per niente a raffreddare gli animi, Donald Kendall, all’epoca vice presidente del marketing della Pepsi, accortosi della situazione, offrì a Khrushchev un bicchiere di Pepsi. La foto scattata in quell’istante fece il giro del mondo. E si trasformò nella migliore operazione di marketing mai realizzata dalla Pepsi.

Donald Kendall, vice presidente del marketing della Pepsi, offre a Nikita Khrushchev un bicchiere di Pepsi. Al centro, Richard Nixon, all’epoca vice presidente Usa. Fonte: Getty Images Donald Kendall, vice presidente del marketing della Pepsi, offre a Nikita Khrushchev un bicchiere di Pepsi. Al centro, Richard Nixon, all’epoca vice presidente Usa. Fonte: Getty Images

Pepsi in cambio di... vodka

Tredici anni più tardi, nel 1972, Donald Kendall (presidente della Pepsi dal ’63), continuava a porsi la solita irrisolta questione: come si poteva introdurre questa bibita nel mercato sovietico? Decise allora di sfruttare i contatti che aveva con Nixon, nel frattempo diventato Presidente, per cercare di ottenere un accordo commerciale dai risvolti rivoluzionari.

Un bambino osserva un carro armato in miniatura vicino ad alcune bottiglie di Pepsi. Mosca, 1992. Fonte: APUn bambino osserva un carro armato in miniatura vicino ad alcune bottiglie di Pepsi. Mosca, 1992. Fonte: AP

Ma quando finalmente si riuscì ad arrivare a un accordo, al quale mancava solo la firma, venne sollevata una questione tutt’altro che secondaria: come avrebbe potuto l’Urss pagare i rifornimenti di Pepsi? L’Unione Sovietica non aveva infatti accesso alla moneta straniera e il rublo non poteva essere cambiato nel mercato internazionale. La soluzione, allora, era ripagare con della vodka! Visto che la maggior parte delle bibite era di proprietà statale, il governo sovietico all’epoca possedeva grandi quantità di vodka. Fu così che si decise di pagare con Stolichnaya, una famosa marca di vodka creata all’inizio del Novecento dal chimico russo Dmitrij Mendeleev, inventore della tavola periodica degli elementi.

Si trattò ovviamente di un accordo che segnò la storia e che rese la Pepsi il primo prodotto occidentale a essere venduto in Unione Sovietica. Inoltre la Pepsi si trasformò nell’importatore esclusivo della famosa vodka Stolichnaya destinata all’avido mercato statunitense.

La soluzione nella flotta di navi da guerra

Quando nel 1989 l’iniziale accordo tra la Pepsi e l’Unione Sovietica fu sul punto di scadere, si fece di tutto per arrivare a un secondo accordo. In quel periodo la Pepsi in Unione Sovietica vantava già più di venti stabilimenti dove la bibita veniva imbottigliata prima di essere distribuita. Il nuovo accordo commerciale aveva un costo di quasi tre milioni di dollari: un prezzo che la Stolichnaya da sola non era in grado di sostenere. E ancora una volta, di fronte a una moneta difficile da cambiare sui mercati internazionali, si riuscì a trovare una soluzione: se negli anni Settanta l’Unione Sovietica possedeva un’infinità di litri di vodka, negli anni Ottanta vantava un grosso armamento militare ereditato dalla Guerra fredda. L’Urss propose quindi di pagare la Pepsi con una flotta di navi diesel. Per quanto l’offerta potesse sembrare strana, i dirigenti della Pepsi accettarono, ben consapevoli che non ci sarebbe stata alternativa alcuna.

Sottomarino nucleare. Fonte: Semyon Maisterman/TASSSottomarino nucleare. Fonte: Semyon Maisterman/TASS

L’accordo comprendeva 17 sottomarini, un incrociatore, una fregata e un cacciatorpediniere, che vennero poi venduti a una compagnia svedese specializzata nel riciclaggio di rottami. Questi 17 sottomarini fecero in modo che la Pepsi, nei giorni della contrattazione, si trasformasse nella sesta potenza militare più grande del mondo per numero di sottomarini diesel posseduti.

Si narra che un giorno il presidente della Pepsi Donald Kendall, scherzando con il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, gli avesse detto: “Stiamo disarmando l’Unione Sovietica in tempi molto più rapidi di come hai fatto tu”.

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