Quando chiediamo a voi lettori di Russia Beyond quale libro russo consigliereste a un amico che voglia avvicinarsi alla letteratura russa, la stragrande maggioranza di voi di solito sceglie i grandi classici: Fjodor Dostoevskij, Lev Tolstoj, il “Maestro e Margherita” di Mikhail Bulgakov, i racconti di Anton Chekhov, Ivan Turgenev e i suoi romanzi considerati “ritratti veritieri e realistici della vita di provincia russa durante l’epoca zarista”, o talora le poesie del geniale Osip Mandelshtam, morto nel sistema dei Gulag.
Ma alcuni lettori (nelle varie edizioni in diverse lingue di “Russia Beyond”) ci hanno sorpreso con scelte insolite e non possiamo non condividerle con voi.
Millwall Alan: “È solo un racconto breve, ma uno dei migliori di qualsiasi autore, di qualsiasi nazionalità. Interamente narrato da un cane”.
Un Gulag in Siberia viene smantellato. I cani da guardia vengono liberati, ma uno di loro, soprannominato Ruslan, non capisce cosa accada. Vede un ex prigioniero nelle vicinanze e inizia a seguirlo ovunque. L’uomo pensa che il cane gli stia dimostrando fedeltà, ma in realtà Ruslan continua a fargli la guardia, come era stato addestrato a fare.
Una volta, un gruppo di operai arriva alla stazione ferroviaria e si dirige verso un ex lager per organizzare la costruzione di un edificio. Tutti gli ex cani da guardia li vedono e li sorvegliano pensando che si tratti di una nuova mandata di prigionieri…
“Il fedele Ruslan” (“Vernyj Ruslan”; “Верный Руслан”) è stato scritto a metà degli anni Sessanta nello “stile asciutto” comune all’arte realistica dell’epoca. Fu pubblicato inizialmente in Occidente (in Italia nel 1976, con il titolo “Il fedele Ruslan: storia di un cane del lager”, da Mondadori nella traduzione di Sergio Rapetti). In Russia vide invece la luce solo durante la Perestrojka. Georgij Vladimov era un dissidente sovietico e fu costretto a lasciare il Paese nel 1977 (visse poi in Germania). Di questo libro l’autore diceva di aver voluto mostrare “l’inferno attraverso gli occhi di un cane che pensa di essere in paradiso”. In effetti, è riuscito a riflettere come il seguire ciecamente le regole possa portare a una visione del mondo perversa.
Oliver: “Racconti di prima mano sulla vita della Chukotka, nell’Estremo oriente russo. Bisogna considerare che la maggior parte delle sue opere è stata scritta durante l’era sovietica. Ci sono elementi positivi e critici sulla vita in Urss, il che lo rende ancora più interessante”.
Sanzanipolo: “Conoscere meglio le proprie radici può aiutare a comprendere la grande diaspora siberiano-americana”.
Questo scrittore sovietico di origine ciukcia è stato quasi dimenticato in Russia. Jurij Rytkheu ha scritto molti romanzi e racconti in cui ha descritto la sua penisola natale dell’Estremo Oriente, la Chukotka, con il suo clima rigido, le sue acque fredde e le sue realtà rurali.
Jurij Rytkeu è un raro esempio di autore appartenente a un’etnia indigena, che ha scritto principalmente in lingua ciukcia (luoravetlan) e che è stato acclamato dalla critica in tutta l’Unione Sovietica. I suoi romanzi sono stati pubblicati nelle più importanti riviste letterarie e, già dopo il crollo dell’Urss, è stato fortemente promosso in Chukotka dall’allora governatore Roman Abramovich.
Inoltre è stato tradotto in numerose lingue straniere, tra cui inglese, tedesco, francese e giapponese. In italiano si trovano due opere: “Un sogno ai confini del mondo” (titolo originale russo: “Сон в начале тумана”; “Son v nachale tumana”, ossia “Il sogno all’inizio della nebbia”), edito nel 1982 da Mursia nella traduzione di Sergio Leone e nel 1997 da Tranchida nella traduzione di Raffaella Vergombello, e la sceneggiatura per il film “Quando le balene se ne vanno” (“Когда уходят киты”; “Kogda ukhodjat kity”) edita da Tranchida nel 1999 (traduzione di Claudia Zonghetti).
David Truman: “Una previsione incredibilmente preveggente della prospettiva totalitaria del bolscevismo”.
Il romanzo distopico “Noi” (“Мы”) (1920) di Zamjatin descrive uno Stato totalitario che ricorda molto il periodo del cosiddetto “comunismo di guerra”, in cui anche la vita privata di una persona è sotto il controllo delle autorità. I censori sovietici videro il romanzo come una parodia del sistema sovietico (e avevano ragione) e percepirono alcuni dei suoi riferimenti agli eventi della guerra civile come poco lusinghieri nei confronti dei bolscevichi.
Il libro fu vietato in Urss fino al 1988, nonostante fosse stato pubblicato in Occidente negli anni Venti. In Italia fu pubblicato nel 1955 dall’editore Minerva Italica, nella traduzione di Ettore Lo Gatto. Negli ultimi anni ha avuto diverse nuove traduzioni ed edizioni: nel 2022 da RBA editore con illustrazioni di Santi Arcas; 2021 da Newton Compton (traduzione di Chiara Gualandrini) e da Fanucci (Alessandro Cifariello), nel 2018 e 2020 da Mondadori e nel 2013 e 2015 nella traduzione di Alessandro Niro. E andando più indietro anche da Lupetti, Feltrinelli e Garzanti
Zamjatin fu persino arrestato per questo libro, ma, grazie al sostegno di alcune persone influenti, Stalin permise allo scrittore di lasciare il Paese. Si dice che il romanzo distopico abbia influenzato notevolmente George Orwell e Aldous Huxley nella stesura di “1984” (1949) e “Il mondo nuovo” (1932).
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Paul B.: “Assolutamente mozzafiato. Personaggi, prospettiva in prima persona, l’odore della terra e dell’erba nella steppa, scene incredibilmente vivide con Hitler e i suoi ufficiali, e ogni personaggio rivelato in modo fedele e completo. […] I censori hanno fatto del loro peggio, ma fortunatamente questo non ha impedito al romanzo di essere finalmente consegnato al mondo nella sua interezza”.
Come corrispondente militare, Vasilij Grossman fu testimone oculare della battaglia di Stalingrado e scrisse una serie di resoconti di prima mano. Nel 1942, nel bel mezzo dell’epica battaglia sul Volga, che fermò l’avanzata tedesca in Unione Sovietica, Grossman concepì un romanzo che si sarebbe chiamato “Stalingrado” (“Сталинград”).
Grossman viene talvolta definito il “Lev Tolstoj del XX secolo”. Nel frattempo, scrisse anche altri libri sulla Seconda guerra mondiale, tra cui “Il popolo immortale” e “Vita e destino”, che descrivono non solo gli orrori della guerra, ma anche come le vite della gente comune siano stravolte da eventi storici molto turbolenti e più grandi di loro, di cui Grossman stesso soffrì, essendo sua madre stata uccisa dai nazisti nel ghetto ebraico della città sovietica di Berdichev (nell’odierna Ucraina).
In Italia è uscito nel 2022 da Adelphi, nel nuovo testo originale a cura di Robert Chandler e Jurij Bit-Junan e nella traduzione di Claudia Zonghetti.
Martin Edasi: “Una lettura che cambia la vita”.
Sarah Diligenti: “Evgenij Vodolazkin… tutti i suoi libri sono straordinari e Lauro, che ho riletto 4 volte, è un capolavoro”.
L’ambientazione è nella Russia medievale. La promessa sposa del giovane Arsenij muore durante il parto. Egli ritiene che la colpa ricada su di lui, poiché non erano sposati, e decide di dedicarsi a una vita di preghiera per la salvezza dell’anima della fidanzata. Prendendo il nome di Lauro, Arsenij diventa un vagabondo e va in pellegrinaggio a Gerusalemme, prima di stabilirsi infine come monaco eremita nella foresta, dove accoglie e cura i malati.
Vodolazkin è stato il primo autore della letteratura moderna ad affrontare il tema degli “stolti in Cristo”, gli jurodivye, che hanno avuto un ruolo importante nella storia medievale della Russia. Dopo l’uscita del libro nel 2012, Vodolazkin, filologo ed esperto di Russia medievale, è stato definito “l’Umberto Eco russo”. Tuttavia, nonostante l’evidente influenza dell’autore de “Il nome della rosa”, “Lauro” è un romanzo straordinariamente originale, grazie anche a un’abile stilizzazione della parlata russa antica (che ha rappresentato un vero e proprio rompicapo per i traduttori!). In italiano è stato pubblicato da Elliot nel 2013 nella traduzione di Emanuela Bonacorsi e Nodar Ladaria.
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