Cinque fatti sul poeta Anna Akhmatova che dovete conoscere

Global Look Press
Non amava essere chiamata “poetessa” al femminile, e ha scritto alcuni dei versi più penetranti sull’amore, il dolore, la Russia e il suo tragico destino nel Novecento e nella storia

Anna Akhmatova (1889-1966) non amava essere chiamata “poetessa”. Insisteva nel dire che era “un poeta”. La profondità della sua personalità, e, di riflesso, delle sue poesie è semplicemente stupefacente. La fatuità dell’aspetto e un sacco di storie d’amore, si univano in lei a un’incredibile forza d’animo e alla fermezza del carattere; elementi che le permisero di sopravvivere ai terribili anni della repressione, alla perdita del marito, fucilato dai bolscevichi, all’arresto di suo figlio e alla proibizione di stampare le sue poesie. 

1) È stata la musa dei più grandi pittori dell’epoca 

I ritratti di Anna non si contano. L’aspetto particolare della Akhmatova faceva impazzire i pittori e tutti volevano ritrarla: con quel suo collo sottile, gli occhi languidamente socchiusi, la celebre piccola gobba del naso e, naturalmente, la frangia. Le fecero ritratti passati alla storia della pittura Nathan Altman, Kuzma Petrov-Vodkin, Zinaida Serebrjakova, Jurij Annenkov. E tutte le immagini sono gonfie di tragedia. Lei stessa aveva creato con le sue poesie l’immagine di una donna fragile e triste, come per esempio in questi versi tra i più famosi: 

Strinsi le mani sotto il velo oscuro

Perchéoggi sei pallida?

Perchédagra tristezza

lho abbeverato fino ad ubriacarlo. (1911) 

L’italiano Amedeo Modigliani (1884-1920) riuscì persino a fare un disegno della Akhmatova nuda. Ci sono state voci su una loro storia d’amore, tuttavia, con tutta la reciproca simpatia, Anna ha affermato che erano solo amici. Si incontrarono a Parigi durante il viaggio di nozze della Akhmatova e del poeta Nikolaj Gumiljov, e in seguito vagarono molto assieme per la città. 

Con l’artista Boris Anrep, Anna ebbe invece davvero una relazione. Lei gli dedicò più di una poesia, e lui la immortalò in uno dei suoi famosi mosaici nella hall della National Gallery di Londra, nei panni della “Compassione”, circondata dagli orrori della guerra. 

2) Ha tramandato il ricordo delle file delle donne alle porte della polizia segreta 

Questa donna èmalata,

Questa donna èsola,

Il marito nella tomba, il figlio in prigione.

Pregate per me. 

Così scrisse la Akhmatova in una delle sue poesie del ciclo “Requiem” (1934-1963). Il testo riflette generalmente l’intero XX secolo con i suoi terribili eventi: la rivoluzione, la repressione e la guerra. 

Il marito della Akhmatova, il poeta Nikolaj Gumiljov, era una delle figure di spicco dell’epoca d’argento della poesia russa. Nel 1921 fu arrestato per presunta partecipazione a una cospirazione anti-bolscevica e giustiziato. 

Il figlio della Akhmatova e di Gumiljov, Lev (1912-1992), che sarebbe in seguito diventato uno storico di primo piano, fu arrestato durante il grande terrore staliniano, denunciato per “agitazione controrivoluzionaria” e finì nel gulag. Si sono conservate delle memorie dell’Akhmatova, dove descrive l’inizio delle code fuori dalle prigioni. Sotto il caldo e il gelo, centinaia di donne se ne stavano in fila alla porta degli uffici della polizia segreta di Leningrado per avere notizie dei loro mariti e figli arrestati, e spesso dovevano attendere mesi solo per sapere che l’informazione era stata negata e che il luogo in cui si trovava il recluso non sarebbe stato comunicato. Con particolare fortuna, lei riuscì a lasciare un messaggio, ma non è chiaro se abbia mai raggiunto il destinatario. “Requiem” è in realtà un inno funebre a queste terribili code di donne con le labbra blu dal freddo, che si gettavano ai piedi del boia per scoprire il destino dei loro parenti.

La Akhmatova, proprio ispirata dalla deportazione del figlio, scrisse uno dei più potenti poemi contro Stalin, anche se meno noto di “Viviamo, senza sentire il Paese sotto di noi” di Mandelshtam.  

Imitazione dellarmeno (1931) 

Ti appariròin sogno come pecora nera

Su zampe instabili e secche,

Mi avvicinerò, inizieròa belare, mi metteròa ululare:

Hai avuto una buona cena, pascià?

Tu reggi luniverso come una perla

Protetto dalla luminosa volontàdi Allah

Mio figlio èstato di tuo gusto?

Èpiaciuto a te e ai tuoi figliocci?

3) Le sue poesie sono state vietate e non pubblicate a lungo 

Durante l’assedio di Leningrado, Akhmatova rimase in città e persino cucì sacchi per la sabbia che servivano per la protezione delle trincee. Insieme alla poetessa Olga Berggolts, la Akhmatova lesse poesie alla radio, per rialzare lo spirito della popolazione di Leningrado (Sul nostro orologio suonòlora del coraggio,/e il coraggio non ci abbandonerà”). 

Dopo la guerra, il partito decise che Akhmatova era una rappresentante di “una poesia vuota, vuota, senza principi, estranea al nostro popolo”. Ai comunisti non piaceva lo spirito decadente e l’eccessivo estetismo. Zhdanov, che si occupava del rispetto delle direttive di partito in campo letterario, definì la sua poesia lontana dal popolo, per le sue “esperienze insignificanti e l’erotismo mistico-religioso”. 

Di conseguenza, le sue poesie non furono pubblicate da nessuna parte, e circolarono solo distribuite tra l’intellighenzia in una sorta di prima forma di samizdat: la gente le imparava a memoria, le riscriveva, le faceva imparare dagli amici e poi bruciava gli appunti. Anche conservare “cattive” poesie era pericoloso. 

La stessa Akhmatova sfuggì miracolosamente all’arresto. Apparentemente, la sua posizione in vista ebbe un peso. 

4) È stata la madrina artistica di Brodsky 

La Akhmatova era già anziana, quando molti dei suoi fan erano ansiosi di conoscerla, di avvicinare un rappresentane della mitica generazione dell’Epoca d’argento della poesia russa; l’unica ancora in vita negli anni Cinquanta. 

Tra i suoi amici giovani c’erano quattro poeti che in seguito divennero famosi: Dmitrij Bobysev, Anatolij Nayman, Evgenij Rein, e forse il più famoso di tutti: Joseph Brodsky. Si definirono poi, scherzosamente, “orfani della Akhmatova”: lei era per loro non solo un’autorità poetica, ma anche spirituale, e la sua morte nel 1966 fu una tragedia per tutti. 

Brodsky, a proposito, all’inizio non era un fan e semplicemente approfittò dell’occasione di incontrarla per conoscerla, ma questi versi “Come un fiume, / mi ha deviato unepoca cupa. / Hanno scambiato la mia vita. Ha preso a scorrere / in un nuovo letto, da unaltra parte, / e non conosco le mie rive” gli fecero capire la grandezza della sua figura poetica, e, come disse in un’intervista, “Nessuno e niente non mi ha insegnato a capire e a perdonare tutto in questo modo: le persone, le circostanze, la natura, l’indifferenza delle alte sfere, quanto lei”. 

È famosa la sua frase sull’arresto di Brodsky e la condanna nel 1964 per parassitismo sociale a cinque anni di lavori forzati in esilio al nord: “Che biografia stanno facendo al nostro rossiccio”. Disse anche che era uno dei poeti più talentuosi che “lei stessa aveva cresciuto”. Brodsky era molto lusingato da questa frase. 

5) Ha ricevuto una laurea honoris causa a Oxford 

Un anno prima della sua morte, all’età di 75 anni, quando le sue poesie non erano pubblicate da 18 anni nella sua terra natia, Akhmatova fu invitata in Inghilterra e le fu conferita una laurea honoris causa dall’Università di Oxford. Nel discorso solenne fu detto: “Questa maestosa donna è giustamente chiamata da alcuni la seconda Saffo.” 

I giornali inglesi dettero un ampio risalto alla presenza nel Paese di un così grande poeta, “reietto nell’era di Stalin”, scrivendo di quanto la Akhmatova fosse rimasta colpita dal riconoscimento internazionale.

 

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