Come si sono evolute le tute spaziali russe da Gagarin a oggi? Le foto

Aleksej Filippov/Sputnik
Da due semplici strati di tessuto gommato a uno sportello tipo frigorifero, ecco come sono andati nel cosmo i sovietici e i russi nei decenni

Il primo uomo nella storia dell’umanità sta per essere inviato nello spazio: ma cosa deve indossare per una maggiore sicurezza in un viaggio così pericoloso? Quasi sessant’anni fa, gli esperti sovietici credevano seriamente che Jurij Gagarin potesse volare nel cosmo senza una tuta spaziale, in una normale tuta!

E se, all’ultimo momento, il capo designer sovietico Sergej Korolev (1907-1966) non fosse intervenuto nella disputa e si fosse imposto, probabilmente sarebbe andata così. Ma per fortuna di Gagarin, nacque la prima tuta spaziale al mondo. E da allora la moda spaziale ha avuto molti modelli.

La prima tuta

Un cane cosmonauta nello scafandro

Realizzare una tuta spaziale per una persona era ben altra cosa rispetto al realizzare una tuta spaziale per gli animali, vale a dire per i cani che i sovietici avevano inviato nello Spazio molte volte a partire dagli anni Cinquanta. Come prototipo di partenza per la prima tuta spaziale al mondo (fu Gagarin a indossarla), la “SK-1”, venne usata la tuta “Vorkutà” dei piloti dei caccia Sukhoi Su-9. Solo il casco, a cui erano collegati i sensori di pressione, dovette essere completamente riprogettato: in caso di brusca caduta, il meccanismo avrebbe immediatamente fatto chiudere la visiera trasparente.

La tuta spaziale “SK-1”

Si trattava di una tuta di salvataggio in caso di avaria, e veniva indossata dai cosmonauti durante il decollo e l’atterraggio, e integrava tutti i sistemi di supporto vitale, nel caso in cui la navicella avesse avuto problemi tecnici seri o il pilota si fosse dovuto catapultare fuori. Le prime tute spaziali sovietiche vennero cucite su misura, per gli astronauti selezionati, Gagarin e i suoi due sostituti, e nel caso, ad esempio, di depressurizzazione della cabina di pilotaggio, la “SK-1” li avrebbe supportati per 5 ore. A proposito, anche in questo primo “scafandro”, c’era già un dispositivo di smaltimento dei liquami, in modo che non fosse necessario togliersi la tuta in caso di una impellente necessità di andare al bagno.

Jurij Gagarin con indosso la tuta “SK-1”

Nel frattempo, l’Unione Sovietica comprese che la conquista dello Spazio non poteva limitarsi agli stretti confini del veicolo spaziale e che era necessario un tipo fondamentalmente diverso di tuta per la prima “passeggiata spaziale”: una tuta autonoma, adatta per uscire dalla navicella, fungendo da piccolo veicolo spaziale. Nacque così la tuta “Bérkut” (il nome significa “aquila reale”).

La tuta per le passeggiate spaziali

La tuta spaziale per attività extraveicolari “Berkut”

A differenza dell’SK-1, la Berkut aveva un secondo involucro ermetico e uno zaino con bombole di ossigeno. Anche lei veniva cucita su misura per una persona specifica, ma ciononostante non consentiva una buona mobilità. Quando Aleksej Leonov (1934-2019) fece la prima storica passeggiata di un uomo nello spazio nel 1965, il suo completo, a causa della differenza di pressione tra l’interno e l’esterno, praticamente si gonfiò e diventò praticamente impossibile per lui muoversi; le maniche si allungarono e i guanti si staccarono parzialmente le mani. Per tornare sulla navicella, dopo circa 12 minuti all’esterno, l’astronauta fu costretto ad abbassare la pressione dell’ossigeno all’interno della tuta, a rischio di decompressione. E già prima di uscire nello spazio, la tuta spaziale internamente era completamente bagnata per il sudore e la condensa, perché il regime della temperatura non era regolabile.

Aleksej Leonov con indosso la “Berkut”

Anche i cosmonauti sovietici puntavano ad arrivare sulla Luna, e a questo scopo fu progettata la tuta “Kréchet” (il nome significa “girfalco”). Era una tuta spaziale semirigida con un portello sulla schiena: il cosmonauta non non la indossava, come facevano gli americani nella missione Apollo 16 con la tuta spaziale EMU (Extravehicular Mobility Unit), ma letteralmente vi entravano. La tuta spaziale aveva un sistema di cavi speciale, che permetteva di chiudere il coperchio dietro di sé. E sebbene la “Krechet” non sia mai arrivata sulla Luna, i suoi risultati furono poi utilizzati in modelli successivi di abbigliamento per lo spazio.

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La tuta spaziale “Krechet”

Dopo la “Krechet”, la successiva generazione di tute spaziali fu la “Jàstreb” (il nome significa “sparviero”). Anch’essa era progettata per uscire dalle navicelle spaziali ed era molto simile alla “Krechet”, ma fu usata sul nuovo veicolo spaziale, la Sojuz, che iniziò i voli nel 1967. La “Jastreb” fu utilizzata nella pratica una sola volta.

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La tuta spaziale “Jastreb”

Il fatto è che per un breve periodo l’Unione Sovietica continuò a inviare gli astronauti alla stazione orbitale senza tuta spaziale di sicurezza! Avevano smesso di usare la SK-1 nel 1964 e la Jastreb non era adatta per le fasi di decollo e atterraggio e il design della Sojuz allora non prevedeva lo spazio per le tute spaziali dell’equipaggio. Nel 1971 si verificò una tragedia: durante l’atterraggio sulla Terra, la cabina fu depressurizzata e tutti e tre gli astronauti, che erano senza tute spaziali, persero la vita. Divenne ovvio che erano necessarie tute di salvataggio d’emergenza e si iniziò lo sviluppo a tempi record della tuta “Sókol” (il nome significa “falco”). Dal 1973 a oggi, andando nello spazio sulla Sojuz, gli astronauti usano sempre le tute spaziali “Sokol”.

Le tute per stare in orbita

La tuta spaziale “Sokol”

Tutte le varianti della Sokol avevano sempre requisiti rigorosi di mobilità e resistenza: ad esempio, sul petto hanno un regolatore di pressione in modo che l’astronauta possa sempre facilmente abbassare la pressione e diventare più mobile. Il casco della Sokol è realizzato in metallo (e i progettisti russi ne sono ancora molto orgogliosi, e ritengono che il nuovo casco in plastica di SpaceX, la società di Elon Musk, realizzato con una stampante 3D, non possa essergli neanche lontanamente paragonato in termini di resistenza). I numerosi nastri e cavi della tuta spaziale mirano a garantire che la tuta spaziale non si gonfi durante la depressurizzazione, la manica non si estenda e la punta delle dita non smetta di toccare la punta del guanto (come accadde a Leonov).

L’equipaggio della Sojuz. Tutti i cosmonauti indossano la tuta “Sokol”

Per quanto riguarda la “Jastreb” che fu usata una sola volta nello spazio, ne è stato sviluppato un sostituto migliorato: la tuta spaziale “Orlàn” (il nome significa “aquila di mare”). 

Una tuta che pesa 115 chili!

La tuta spaziale “Orlan”

La “Orlan” è la più massiccia e impressionante tra tutte le tute spaziali russe attualmente esistenti. Il suo compito principale è proteggere l’astronauta nello spazio esterno da micrometeoriti e radiazioni. La “Orlan”, robustissima e multistrato pesa circa 115 kg! Naturalmente, non è pensata per camminare; fuori dalla stazione spaziale, gli astronauti lavorano principalmente solo con le loro mani. E anche far questo non è semplice.

La tuta “Orlan” nello Spazio

Questa tuta spaziale semirigida è stata realizzata sulla base della “Krechet”, che era studiata per la Luna, quindi anche il suo retro, che sembra uno zaino, si apre come la porta di un frigorifero. A differenza del “Krechet”, la “Orlan” è universale e non cucita su misura per il singolo cosmonauta: le gambe e le maniche sono adattabili. Anche il regime di temperatura all’interno della tuta è regolato e in tale tuta si può essere indipendenti dal resto dell’attrezzatura della Stazione Spaziale Internazionale (Iss) fino a 7 ore.

Per la prima volta la “Orlan” è andata nello Spazio nel 1977 e, in varie versioni modificata, è rimasta fino a oggi in uso sulla Stazione spaziale internazionale.


Perché in Russia gli astronauti vengono chiamati “cosmonauti”? 

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