Conosciamo tutti l’espressione “cane di Pavlov”, ma chi era Pavlov e cosa fece nella sua vita?

A. Sverdlov/Sputnik
Grande fisiologo, premio Nobel per la Medicina nel 1904 (per i suoi studi sulla digestione), costruì il primo villaggio scientifico in Russia e contribuì al progresso dell’umanità con le sue scoperte, che non si limitarono certo, al pur importantissimo, “riflesso condizionato”

Mi dicono che gli abitanti di Kòltushi, un paesino (216 abitanti) a soli venti chilometri da San Pietroburgo, non siano a conoscenza di chi abbia piantato gli alberi nell’amato parco cittadino. Ci arrivo di sabato e il parco è pieno di persone che fanno una passeggiata con familiari e amici. La mia guida, Irina Aktuganova, continua il suo racconto, dicendo che in non molti sanno neppure che gli edifici in legno sparsi nel verde fanno parte del patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco, e sono di fatto un monumento diffuso allo scienziato più famoso di Russia, che dette al Paese l’onore del suo primo premio Nobel (per la medicina; nel 1904): Ivàn Petròvich Pàvlov (1849-1936).

Un uomo all’ombra dei suoi cani

Quando gli stranieri pensano a Ivan Pavlov, ci sono maggiori probabilità che pensino ai suoi esperimenti con i cani, rispetto ai parchi che ha coltivato. In effetti, è verosimile che non sappiano quasi nulla di quest’uomo: uno strano destino per uno scienziato il cui nome appare nei libri di testo delle scuole superiori di tutto il mondo. Poco si sa dello stagno in cui il ricercatore ormai avanti con gli anni nuotava ogni mattina, o della banja dove invitava gli ospiti, o dell’amata bicicletta che aveva comprato in Svezia prima della rivoluzione di Lenin. O di come sia sopravvissuto alla Rivoluzione.

Prima di arrivare a Koltushi non avevo idea che le stesse mani che suonavano campanelle per i cani coltivassero anche interi frutteti di meli, o che dei giovani scimpanzé fossero usi far baccano qui, tra gli alberi e i busti di scienziati come Cartesio, Mendel o Sechenov. La Aktuganova, curatrice di una nuova mostra permanente di arte e scienza situata nel seminterrato del laboratorio storico di Pavlov, racconta che fu lo stesso scienziato a sviluppare questa terra, che un tempo era un paesello sperduto, a maggioranza finlandese (lo chiamavano Keltto), facendolo diventare ufficialmente il primo Villaggio accademico russo.

Dalla fioritura tardiva al Premio Nobel

Nato nel 1849 in quello che era ancora l’Impero russo, Pavlov era il maggiore di undici figli cresciuti da un prete ortodosso russo e da sua moglie. A causa di un incidente subito da bambino, poté iniziare la scuola solo a undici anni. Nonostante ciò, mostrò fin da subito una grande intelligenza: leggeva da solo dall’età di sette anni, e dopo essere passato dalla teologia alla fisiologia (spostando i suoi studi dalla natia Rjazan a San Pietroburgo) vinse prestigiosi premi mentre era ancora studente.

Il suo premio più importante, tuttavia, doveva ancora arrivare. Dopo essere stato per un periodo di studi in Germania, dove conseguì il dottorato, rientrò a San Pietroburgo e, nel 1891, gli venne chiesto di organizzare il Dipartimento di Fisiologia presso l’Istituto di Medicina Sperimentale, cosa che fece, trasformandolo poi in un centro di caratura mondiale per la ricerca fisiologica. Fu nominato al Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina ogni anno dal 1901, fino a quando non lo vinse nel 1904, non per il suo lavoro con i cani, ma “in riconoscimento del suo lavoro sulla fisiologia della digestione, che ha permesso di aprire nuovi orizzonti nella conoscenza dei fenomeni biologici”.

Fu proprio su questa base, tuttavia, che il suo esperimento più famoso sarebbe diventato possibile.

Il celebre esperimento

I “riflessi condizionati” per cui Pavlov è noto in tutto il mondo si riferisce a come qualsiasi organismo con un sistema nervoso sufficientemente sviluppato possa sviluppare riflessi speciali in risposta al suo ambiente. Per scoprirlo, Pavlov progettò camere insonorizzate in cui tenere i cani, dove l’unico stimolo era il cibo o il suono di una campana. La campana veniva regolarmente suonata prima che al cane fosse data la carne, e così gli animali alla fine impararono ad associare la campana con l’alimentazione. Usando la sua esperienza con il sistema digestivo, Pavlov era in grado di misurare i livelli di saliva dei cani per confermare che, sì, le loro ghiandole alla fine producevano saliva in risposta alla campana anziché alla vista o all’odore del cibo.

Fu questa scoperta che lo portò a diventare un nome noto. La curiosità, unita al mistero associato ai suoi esperimenti, fece ottenere al suo complesso di laboratori il soprannome  di “Torre del silenzio” (in russo: “Bàshnja molchànija”). I suoi laboratori erano situati nel centro della vecchia capitale imperiale, sull’isola Petrogradskij, ma le forze della storia non dettero a Pavlov  la pace e il silenzio di cui aveva bisogno. Lo scoppio della Prima guerra mondiale e la Rivoluzione che la seguì, trasformarono la città in un palcoscenico caotico di disordine e violenza.

Il primo villaggio scientifico in Russia

Pavlov espresse critiche molto aperte all’ideologia comunista, ma i suoi lavori e la sua fama scientifica gli valsero il rispetto nientemeno che di Lenin. “Non poteva lavorare in quel trambusto”, racconta la Aktuganova, “e così Pavlov scrisse a Lenin una lettera in cui diceva ‘mi dia un posto dove lavorare in pace, o emigrerò’.” Il piano funzionò, e lo scienziato ricevette circa un milione di rubli d’oro per trasferire il suo laboratorio. Scelse la località di Koltushi.

Costruì un complesso per la medicina sperimentale e lo circondò con quello che divenne il primo villaggio scientifico della Russia. Ciò includeva il suo laboratorio, una casa (che usava raramente), un complesso con un hotel, una caffetteria e un circolo, cinque cottage per i dipendenti e, naturalmente, canili e locali per gli scimpanzé e gli altri animali con cui lavorava. Ciò costituì il nucleo di una serie di edifici che alla fine si espansero con gli anni, fino a diventare un sobborgo funzionale della metropoli in crescita di Leningrado (ora San Pietroburgo).

“A guardare questo posto adesso”, mi dice la Aktuganova, “non si direbbe che una figura di fama mondiale abbia vissuto qui. Con lo status di patrimonio dell’Unesco, ci si aspetterebbe che ci fossero più turisti e più infrastrutture”.

L’eredità di Pavlov

Ma ricordare Pavlov e i suoi contributi alla scienza non è stato a lungo nella lista delle priorità nazionali. Dopo la sua morte per polmonite nel 1936, il sostegno economico al villaggio continuò fino alla Perestrojka, negli anni Ottanta. Con le riforme di Gorbachev una maggiore attenzione venne data alle discipline umanistiche, che avevano subito varie limitazioni in epoca sovietica, e il denaro tipicamente investito nelle scienze venne reindirizzato.

Detto questo, esiste ancora un museo che racconta come Pavlov abbia vissuto gli ultimi anni della sua vita. Ci sono foto di lui con sua moglie Serafima, o Sara come la chiamava lui, e con i loro figli (due dei quali purtroppo sono morti mentre Pavlov era ancora vivo). Accanto a loro ci sono foto di visitatori internazionali come Niels Bohr e H.G. Wells. Si possono anche trovare foto con famosi artisti russi, come Iljà Repin, a riprova del fatto che nell’epoca in cui Pavlov ha vissuto, l’arte e la scienza non erano necessariamente così lontani. La mostra permanente nel seminterrato, una collaborazione tra giovani artisti e scienziati, cerca di rivitalizzare questa tradizione.

Da allora, degli asteroidi, dei crateri lunari e dei principi scientifici hanno preso il suo nome, ma per via dell’espressione “cane di Pavlov” e dell’aggettivo “pavloviano”, usati in molte lingue anche nel linguaggio extrascientifico, è diventato fin troppo facile sentir parlare di Pavlov senza sapere nulla di chi fosse. Detto questo, questi edifici, proprio come i suoi famosi cani, rappresentano un’eredità che non sarà presto dimenticata. Ciò che rimane è la testimonianza di uno scienziato straordinario che ha cambiato il modo in cui pensiamo al nostro comportamento, ai nostri desideri e agli altri segreti ancora racchiusi nel nostro cervello.


I cani nella letteratura e nella cultura russa 

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