Questo è il primo dipinto che portò a Iljà Repin (1844-1930) grande successo. L’idea gli girava in testa fin dai tempi dello studio all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo. Passeggiando lungo la Neva, rimase colpito dalla vista dei burlakì, che, allo stremo delle forze, tiravano un pesantissimo fardello, mentre tutto attorno i cittadini passeggiavano tranquilli.
Lo stesso pittore, nato a Chuguev (oggi Čuhuïv, nella parte orientale dell’Ucraina), veniva da una famiglia modesta, e provava un sentimento di comunanza con i più poveri. Il tema del quadro era in netta contraddizione con tutte le tradizioni della pittura accademica, dove venivano sempre scelti soggetti “elevati”, protagonisti della mitologia o della storia. I suoi burlakì, divennero metafora della dura sorte dell’intero popolo.
Alla Fiera mondiale di Vienna del 1873 il dipinto si guadagnò la medaglia di bronzo e fu acquistata per 3 mila rubli dal Gran Principe Vladimir Aleksandrovich Romanov.
Dopo aver terminato l’Accademia, Repin partì per un Gran Tour all’estero. Nel 1873 si trasferì in Italia, vivendo a Roma, e in seguito si spostò in Francia, dove rimase per tre anni, studiando tutte le ultime tendenze in campo artistico. Non passò all’impressionismo, ma guardò con grande attenzione al nuovo stile, mutuandone in particolare il gusto per il colore vivo e luminoso.
All’estero rifletté sui tratti del carattere nazionale russo e dipinse “Sadko nel Regno Subacqueo”, un quadro nel quale emerge chiaramente il rifiuto del leggendario personaggio russo delle byliny (la forma letteraria dell’epos antico slavo) per le bellezze forestiere. E seppure lo stesso Repin ritenesse l’opera malriuscita, in essa si possono leggere con chiarezza i punti di vista dell’autore sull’arte e sulla vita.
In questo lavoro, l’obiettivo della critica è di nuovo la diseguaglianza sociale. L’immagine colpisce per la varietà di personaggi: più di 70, che forniscono “un quadro completo della vita del popolo”.
Le reazioni dei contemporanei alla “Processione” non furono univoche. Alcuni ritennero che il dipinto “conferisse definitivamente a Repin lo status di pittore più importante della Russia”, altri, invece, vi videro “una molto parziale rappresentazione della realtà russa”.
Si ritiene che Repin abbia pensato questo quadro come parallelo ai fatti tragici del 1881, con l’uccisione dello zar Alessandro II e l’esecuzione dei membri dell’organizzazione terroristica “Volontà del popolo”. Visto che portare sulla tela i reali fatti contemporanei non appariva possibile, il pittore trovò un parallelo storico.
L’opera provocò lo scontento di Alessandro III, che dette personalmente ordine di non esporla in nessuna mostra. La tela, che rappresenta il presunto omicidio da parte dello zar Ivan il Terribile di suo figlio (un evento dibattuto tra gli storici), ha avuto una vita difficile, ed è stata attaccata due volte. Nel 1916 il pittore di icone Abram Balashov la colpì tre volte con un coltello, rovinando il volto dello zar.
Nel 2018 un vandalo ha di nuovo gravemente danneggiato l’opera, usando un palo metallico divelto dalle barriere protettive. L’opera è ancora in restauro.
Questo quadro rappresenta una delle vette nell’arte del ritratto di Repin. Si tratta di un ritratto psicologico, e fu realizzato in un momento tragico della vita del compositore, che, gravemente ammalato, si trovava in un ospedale militare. Repin completò l’opera in quattro giorni, lavorando direttamente nella stanza della casa di cura, essendo convinto che il suo vecchio amico si trovasse ormai “di fronte all’eternità” (in effetti morì pochi giorni dopo, il 28 marzo 1881).
Si tratta di uno dei due ritratti realizzati in vita (1832-1898) del famoso collezionista e fondatore della omonima galleria della capitale russa (l’altro fu dipinto da Ivan Kramskoj nel 1876). Al momento del passaggio dell’istituzione alla città di Mosca, la collezione personale comprendeva già 1.276 dipinti, 471 disegni e 10 sculture, e anche 84 lavori di pittori stranieri. Tretjakov non amava stare in posa, e accettò solo per il grande rispetto che nutriva nei confronti di Repin.
Il collezionista è rappresentato con sullo sfondo dei quadri della sua galleria. Proprio come in un altro quadro di Repin, realizzato già dopo la morte di Tretjakov, nel 1901, dove si possono riconoscere, “Al di sopra della quiete eterna” (1894) di Isaak Levitan e “Bogatyri” (1898) di Viktor Vasnetsov. Nell’anno in cui fu realizzato il primo ritratto, Tretjakov era al picco dell’attività collezionistica, e la sua attività era ormai famosa non solo a Mosca, ma in tutta la Russia. Fu uno dei massimi collezionisti delle opere di Repin e degli altri peredvizhnik, i realisti russi che nei loro lavori esercitavano una forte critica sociale.
Repin lavorò a questo quadro per più di un decennio e l’opera divenne divenne un’espressione di vitalità umana e spirito libero. Lo stesso Repin scrisse dei suoi eroi: “Che popolo straordinario! Nessuno al mondo ha provato così profondamente libertà, uguaglianza e fratellanza”.
Alla base del soggetto c’è la storia di come, nel 1675, in risposta alla richiesta del sultano Mehmed IV di sottomettersi a lui, i Cosacchi dello Zaporozhje mandarono una sfrontata lettera di rifiuto: “Tu, diavolo turco, fratello del demonio e compagno e segretario di Lucifero in persona…”
Si tratta di una delle opere del ciclo di Repin dedicato alla sorte dei primi rivoluzionari populisti russi. Negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento i movimenti rivoluzionari crebbero con forza in Russia ma furono schiacciati con estrema violenza dalle autorità. Repin, come molti altri, idealizzò quei giovani oppositori, e realizzò un parallelo tra il destino dei populisti e il sacrificio di Cristo.
A livello compositivo, i personaggi di “Non lo stavano aspettando” sono simili alle figure della “Resurrezione di Lazzaro” o del “Cristo a Emmaus”. Il ritorno, probabilmente dai lavori forzati, del rivoluzionario condannato, equivaleva alla risurrezione.
Il dipinto fu realizzato da Repin, su commissione del governo, per il centesimo anniversario del Consiglio di Stato, che si festeggiò il 7 maggio 1901. La gigantesca tela misura 400 х 877 cm e, seppure ci lavorasse a gran ritmo, impegnò il pittore per tre anni.
Quasi più preziosi del quadro in sé, furono gli studi e gli schizzi preparatori, realizzati con libertà impressionista, e in alcuni luoghi quasi vicini all’astrattismo. I funzionari posarono per l’artista individualmente: per il dipinto furono realizzati in totale 48 ritratti. Fino al 1917, la tela era conservata a Palazzo Mariinskij. Parte degli schizzi furono acquistati dal Museo Alessandro III per diecimila rubli, soldi che l’artista inviò alla flotta russa per i suoi bisogni.
Nel 1899 Repin acquistò un lotto di terra nella località finlandese (allora la Finlandia era parte dell’Impero Russo) di Kuokkala (ad appena 40 chilometri dal centro di San Pietroburgo). Lì costruì una dacia, alla quale dette il nome di “Penati” (i penati sono gli spiriti protettori della famiglia e della casa nella religione romana). Proprio qui Repin passò gli ultimi anni della sua vita in compagnia della seconda moglie, Natalja Borisovna Nordman.
Dopo la Rivoluzione, cercarono ripetutamente di far convertire Repin alla causa della Russia sovietica, ma lui non apprezzò mai troppo il nuovo corso, e fino alla fine dei suoi giorni rimase a Kuokkala, dove morì nel 1930 all’età di 96 anni. Nel 1948 la località è stata ribattezzata “Repino” in suo onore.
* I 175 anni dalla nascita di questo genio della pittura russa, i cui capolavori sono conservati in vari musei del mondo, vengono celebrati quest’anno con una grande retrospettiva su tre piani alla sede di via Krimskij Val della Galleria Tretjakov di Mosca dal 16 marzo al 18 agosto 2019. Per info
Dieci pittori che sono la summa dell’arte russa
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