Sydney, insegnante e attrice italiana a Mosca: “Imparate a guardare la Russia con altri occhi”

Isola Russkij, Vladivostok

Isola Russkij, Vladivostok

Archivio personale
Vive nella capitale da otto anni e per quattro ha tenuto un blog sulla vita russa molto amato in rete. Ci racconta la vita al tempo della pandemia e ci dà qualche consiglio su cosa visitare una volta che riapriranno le frontiere

Sydney Vicidomini, classe 1985, è nata a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, e dopo dei periodi in Inghilterra e in Germania, si è stabilita a Mosca, dove è direttrice accademica in una scuola di lingue (in cui insegna anche inglese e italiano), traduce, e ha persino ritrovato la sua vecchia passione per la recitazione.

Sul campanile della Cattedrale di Cristo Salvatore

Sydney, la prima domanda è sempre d’obbligo: ma come è finita in Russia?

Il mio avvicinamento è cominciato con lo studio della lingua, all’Università di Salerno. All’inizio la scelta è stata un po’ incosciente. Sapevo molto poco del mondo russo, al di là di quello che si studia nel programma scolastico. Visto che come prima lingua avevo scelto la più inflazionata, l’inglese, ho pensato che, come seconda, fosse una buona idea andare su una che mi potesse offrire qualche sbocco in più. Era il 2003, e il russo era molto meno gettonato di oggi. A quel tempo, per quanto riguarda l’inglese, l’Erasmus era già ben sviluppato, e in generale si poteva scegliere tra un sacco di programmi di scambio. Per il russo, no. E mi pareva un’ingiustizia. Perché andare in Inghilterra sì, ma andare in Russia sembrava a tutti una follia? Così mi sono organizzata da sola, nel 2007. Ho preso tutti i miei risparmi, forza e coraggio, e mi sono trovata un corso estivo di un mese all’Università Statale di San Pietroburgo. Avevo 22 anni non compiuti. È stato bellissimo. Era agosto e c’erano 35 ºC, ma ovviamente sono arrivata tutta attrezzata, con piumino e sciarpa…

Quindi è stata la volta della laurea specialistica, con una tesi sulla raccolta di racconti “La valigia” di Sergej Dovlatov. A Mosca sono arrivata nel 2012 (allora era completamente un’altra città rispetto a oggi), per un periodo di prova di tre mesi al Centro italiano di cultura, un istituto privato. Mosca mi ha subito affascinata e sbalordita con la sua offerta, sia professionale che culturale: qui c’è un numero incredibile di eventi interessanti, anche gratuiti. E da allora sono rimasta. 

Finora era rimasta per scelta, ma ora deve restare, volente o nolente, anche per via della chiusura delle frontiere. Come vive questo periodo di pandemia e di lockdown?

Non sono particolarmente provata psicologicamente dalla chiusura delle frontiere. Sono stata da poco in Italia. Ero proprio lì nei giorni in cui è scoppiato il primo focolaio in Lombardia, e sono rientrata in Russia poco dopo. Di sicuro, quello che pesa è l’impossibilità di fare programmi oltre una settimana. Per il resto, la cosa che mi preoccupa è che non sono per niente fiduciosa che tutto possa tornare come prima. Eventi di questo genere portano un domino di cambiamenti. Penso che presto le frontiere russe riapriranno, ma se un volo costerà 450 euro sola andata, invece dei 200 a/r con cui, finora, rifacendomi per tempo, compravo i biglietti per Napoli, questo inciderà sulle mie abitudini.

I corsi della scuola di cinema

Com’è cambiata la sua vita con il Covid-19?

Beh, sono ormai due mesi che non vado in centro… E poi è totalmente cambiata al lavoro. A scuola, alla “Me School” dove sono direttrice accademica e insegnante, siamo dovuti passare all’insegnamento online. Una cosa che non avevamo mai fatto prima. Se ne parlava da tempo di organizzare corsi via internet, anche perché era un tema “di moda”, ma non credo che sarebbe diventata una cosa concreta a breve. Invece, grazie allo sforzo di tutti, docenti e tecnici, siamo riusciti in appena cinque giorni a trasferire un istituto totalmente offline sul web.

Festival di Kurkino, Meschool

E come va l’esperienza?

Mah… per i bambini è molto difficile. Noi abbiamo very young learners dai 5 ai 7 anni e young learners fino ai 13. Soprattutto i bimbi di 5 o 6 anni non sono propensi all’insegnamento teorico. Lo studio per loro avviene vivendo la lingua; con il gioco, l’attività. E via webcam non è la stessa cosa. Non possono toccare gli oggetti; non possono giocarci. Non hanno gli stessi stimoli che avrebbero in classe. Fissano il monitor come se guardassero la tv, e non capiscono perché mai dovrebbero interagire. Noi lo facciamo solo perché lo dobbiamo fare, in questo periodo di difficoltà. Ma come insegnante, posso dire che la didattica a distanza, per queste fasce d’età, anche con l’aiuto di un genitore, non va bene. Con gli adolescenti, già può funzionare, perché sono più abituati allo studio individuale. Speriamo di poter riaprire a settembre. In ogni caso, avremo perdite, perché alcuni hanno disdetto. Le lezioni di lingua sono un lusso, non una necessità di base, e qualcuno ha dovuto tirare la cinghia. D’estate di solito eravamo attivi con i campi di lingua, che quest’anno, ovviamente non possiamo organizzare. Stanno però nascendo dei club di lingua online, con attività ricreative oltre che didattiche. Diciamo che il risvolto della medaglia è che innoviamo, e troviamo nuovi format…

Omsk

Cosa le è mancato di più di Mosca in questi ormai due mesi di auto-isolamento domestico?

Le serate danzanti al Gorky Park! E pensare che prima non ci andavo poi così spesso, e ora invece ci andrei subito! E poi i grandi eventi di massa, come le maratone e le gare podistiche (una volta ho corso chilometri!) o le parate in bicicletta. Chiudono il traffico e puoi vedere Mosca come di solito non la vedi quando ci sono le macchine. E poi, ovviamente, il teatro, soprattutto il riunirsi per le prove.

In scena a Kamergerskij pereulok

Perché lei è anche attrice…

Sì. In Italia con degli amici avevamo creato una nostra compagnia teatrale e per anni siamo andati in giro in tournée per la Campania. Dopo essermi trasferita a Mosca, avevo un po’ perso questa importante componente della mia vita. Ma poi ho tradotto per Brioschi editore il libro “Il mondo secondo Savelij”, [per Russia Beyond uno dei “Dieci libri russi più importanti usciti dal 2010 a oggi, ndr] e l’autore, Grigorij Sluzhitel, è uomo di teatro; un attore. E ho capito quanto mi mancasse recitare, e di dover fare un tentativo per riprendere. E ho ricominciato. Questo mi ha fatto anche ristudiare la lingua russa in modo diverso, perché salendo sul palcoscenico ti accorgi che, pur parlando ormai bene, ci sono tante tante piccole cose che vanno aggiustate, soprattutto nella pronuncia. In pochi mesi ho avuto l’opportunità di fare già un bel po’ di cose: ho seguito i corsi di cinema del regista Aleksandr Mitta, ho iniziato a lavorare nello studio Yellow Panda, dove si registrano programmi per bambini che vanno su YouTube, ho recitato nella pubblicità natalizia della birra Stella Artois, ho preso parte a un musical… giusto in tempo. Poi hanno chiuso i teatri per l’emergenza coronavirus…

Il video di Yellow Panda

Anche i teatri, come le scuole, cercano di sopravvivere online. A lei che fa entrambe le cose, cosa sembra più difficile: recitare o insegnare via web?

Insegnare. Pure nel teatro è importantissimo il feedback del pubblico, e dal palcoscenico lo senti se l’attenzione sta calando e devi fare qualcosa per riconquistartela, però la distanza è più d’ostacolo per le lezioni. Con gli studenti, hai bisogno che interagiscano; devi stimolarli continuamente. Mi sono sempre più resa conto che insegnamento e recitazione sono molto interconnesse. E che forse io usavo un po’ lo stare in cattedra per guarire la nostalgia dello stare in scena. Questo si rifletteva sul mio stile di insegnamento, che è pantomima; una performance in cui si canta, si balla, si ride, si trovano codici comuni… Noi seguiamo a scuola la metodica del total physical response. I bambini apprendono la lingua nello stesso momento in cui apprendono lo spostamento del loro corpo nello spazio. Come fai a farlo online? Le arti, invece, secondo me troveranno più rapidamente nuovi modi di esprimersi. Un teatro su Zoom lo vedo più possibile di una scuola.

In scena con Flying Banana Children's theatre

Per anni lei ha tenuto un blog molto seguito e amato sulla vita in Russia, “Russaliana”. Perché lo ha chiuso?

Perché mi pesava che la mia identità fosse confinata nell’essere l’“italiana in Russia”. Io sono molte cose. E la vita è lunga. Magari un giorno potrei decidere di vivere in un altro Paese. E poi, dopo tanto tempo che vivi in un posto, anche se non sei a casa, ti senti a casa. E non hai più la distanza necessaria per notare delle cose, e raccontarle. Ti diventano normali, quotidiane. Persino scontate. Quando ho aperto “Russaliana”, nel 2014, era una cosa piccola, per gli amici e i parenti. Mi facevano sempre tutti le stesse domande allarmate, e mi chiedevano perché non fossi andata in un “posto normale”; “negli Stati Uniti”, per esempio. E se quando ero in Inghilterra o in Germania avevo la fila di quelli che mi venivano a trovare, qua no. Nessuno. E non solo per una questione di visto. Ma per uno stereotipo politico e culturale. La Russia la vedevano come un Paese severo, dove non si può fare niente, nessuno si diverte e fa sempre freddo. A me piace raccontare storie e mostrare posti che per gli altri sono poco accessibili. Ma poi il blog è cresciuto sempre più, specie dopo la grande Transiberiana in couchsurfing che ho organizzato nel 2017, e sono arrivata al punto di dover decidere se fare un salto ulteriore per espanderlo, coinvolgendo anche altre persone e collaboratori. Nel 2018 ho iniziato a lavorarci su. Ma poi trovavo sempre meno tempo per il blog, e ho capito che quando non trovi il tempo per qualcosa, è perché non ti interessa più abbastanza. E a inizio 2019 l’ho chiuso.

Couchsurfing a Ulan Ude

Così, senza rimpianti?

Non so… È che prima sentivo molto di più questa esigenza di tradurre la Russia, di provare a farla capire agli italiani, e di spiegare cosa ci trovassi di così importante da aver deciso di vivere qui. Ne facevo una questione personale. Mi sembrava che fosse trattata diversamente dagli altri Paesi, e in effetti è molto meno conosciuta e molto più stereotipata. Gli Stati Uniti li sentiamo molto vicini a noi. Nella realtà li conosciamo pochissimo, ma crediamo di conoscerli bene, perché vediamo continuamente il quadro che ci viene proposto, con i film di Hollywood, le serie tv, la musica… Forse, se per radio, in Italia, passassero ogni tanto qualche canzone russa; se in tv dessero qualche serie russa, e se, oltre agli hamburger, in ogni città ci fosse almeno un posto dove mangiare i bliny, la Russia non ci sembrerebbe così strana; un posto tanto alieno. Però, per un retaggio culturale, è associata a una determinata storia politica, fa parte di una certa mappa del mondo. Siamo abituati a vederla e a trattarla in un solo modo, e nessun’altra prospettiva è presa in considerazione. Io ho cercato di dimostrare con “Russaliana” che è un posto che può essere trattato normalmente, come tanti altri, e l’ho fatto finché non ho capito che non sapevo più dove finiva il mio essere italiana e iniziava il mio essere russa (il che non è una questione di passaporto).

Piantando un bosco nella oblast' di Mosca con Greenpeace

Per chi come lei vive questa doppia appartenenza, “da cosa inizia la patria”, per citare una vecchia canzone sovietica?

La patria? Fin da piccola ho avuto una grande curiosità di sapere come vivevano gli altri. Più che altro mi sento una “cittadina del mondo”, anche se in questo c’è un po’ di ipocrisia, perché ci sono Paesi e circostanze in cui non avrei piacere di ritrovarmi. Dopo tanto tempo all’estero, mi rendo conto di quanta fatica, o lavoro su se stessi, per dirla con Stanislavskij, richieda “mimetizzarsi” in una nuova realtà. Se penso all’Italia come alla “patria”, mi è ben chiaro che non è un luogo fisico, ma della memoria. Devo ancora compiere 35 anni e ho vissuto 2 anni in Inghilterra, sei mesi in Germania e 8 anni in Russia. Se anche ritornassi in Italia, non sarebbe certo il Paese di quando me ne sono andata. La patria per me è l’infanzia, ma quello è un Paese dove non si torna. Per il resto: sono più italiana o più russa? Per tante cose più italiana, ovviamente, ma poi, per fare un piccolo esempio, divento come i russi se si tratta del cappuccino: lo ordino anche alla sera e lo bevo con l’insalata. E non per un gesto di ribellione. Semplicemente, non ho mai capito perché non si possa fare. E qui torniamo al guardare il mondo anche con altri occhi.

Bajkal

Uno dei modi migliori per imparare a farlo è viaggiare. Quando sarà possibile tornare in Russia, quali sono tre posti che consiglierebbe di visitare agli italiani?

In primo luogo la Crimea. Adesso che c’è il Ponte di Kerch, è anche molto comodo raggiungerla. È la Russia che non ti aspetti: con il sole, il mare, scogliere a strapiombo e pini marittimi, e panorami che non hanno nulla da invidiare alla Costiera Amalfitana. In secondo luogo, consiglierei di fare la Transiberiana. E non stando sempre in treno, ma con soste, in qualche città e sicuramente sul Lago Bajkal. Se non hanno così tanto tempo, consiglierei almeno un’esperienza su un treno a lunga percorrenza. E qui torna buono l’esempio della Crimea: da Mosca sono 36 ore. Il terzo consiglio è di non fermarsi alle solite Mosca e San Pietroburgo e di uscire dalle metropoli. Meglio andare anche al di fuori dell’Anello d’Oro, che è comunque molto turistico. E raggiungere un piccolo villaggio o una cittadina di provincia. È un’esperienza che non dimenticheranno.

Marta, che lavora alla scuola italiana di Mosca: “Com’è cambiata la vita in Russia con il Covid” 

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