"Vi racconto quel genio di Dostoevskij che anticipò Freud e credeva nel riscatto delle persone"

Anton Romanov
Il professore Marco Caratozzolo dell’Università “Aldo Moro” di Bari ci guiderà il 25 marzo in un invito alla lettura di “Delitto e castigo” organizzato dall’Istituto di Cultura e lingua russa di Roma e Russia Beyond. Appuntamento alle 18.30 in diretta Facebook

Era un giorno di settembre del 1865 quando Fjodor Dostoevskij propose all’editore della rivista Russkij vestnik di pubblicare un romanzo “su un delitto”. O meglio, sul “resoconto psicologico di un delitto”, così come spiegò in una lettera della quale ci è rimasta solo la brutta copia. Nel gennaio dell’anno successivo verrà pubblicata la prima parte di “Delitto e castigo”, uno dei romanzi russi più famosi e influenti di tutti i tempi, annoverato nell’elenco dei grandi capolavori della letteratura mondiale. 

E sarà dedicato proprio a “Delitto e castigo” l’evento online organizzato dall’Istituto di Cultura e lingua russa di Roma insieme a Russia Beyond: il 25 marzo alle 18.30 (ora italiana), il professore Marco Caratozzolo dell’Università “Aldo Moro” di Bari accompagnerà i nostri lettori in un viaggio attraverso le inquietudini, le perdizioni e i pensieri di Raskolnikov. L’incontro si terrà in diretta Facebook. Per maggiori informazioni, cliccate qui

Professore, cosa ascolteremo durante la sua lezione su “Delitto e castigo?”

Sarà un invito alla lettura fatto con l’obiettivo di suscitare curiosità e invitare le persone a leggere o rileggere il libro. Cercherò di soffermarmi su alcuni punti importanti del romanzo, come la concezione del tempo e dello spazio. 

A proposito dello spazio: che ruolo gioca la città di San Pietroburgo nel romanzo?

Il peso di San Pietroburgo è rilevantissimo: pur essendo nato a Mosca, Dostoevskij è uno scrittore pietroburghese di adozione, e lì ha ambientato quasi tutte le sue storie. “Delitto e castigo” è il romanzo più importante fra i romanzi pietroburghesi che hanno attribuito a questa città un aspetto mitologico.

La Pietroburgo di questo libro è una città afosa. Non siamo nella classica ambientazione russa della Pietroburgo fredda, al contrario: bisogna immaginarsi una città non preparata a questo clima, che fa emergere un grande fastidio fisico, una condizione insopportabile che poi si riflette sulle idee del protagonista. Il caldo afoso, l’umidità, il clima irrespirabile: tutto sembra andare verso una sentenza, una soluzione radicale… E il romanzo parte già come se fossimo sul crinale di qualcosa. Poi c’è una San Pietroburgo più topografica: il quartiere della Piazza del Fieno da dove parte il famoso itinerario di Raskolnikov verso la vecchia usuraia, che è diventato un itinerario turistico. 

Per quanto riguarda invece la concezione del tempo?

Anche questo è un argomento molto studiato e in stretta connessione con lo spazio. I romanzi di Dostoevskij non sono romanzi a epopea che durano anni e anni, ma il più delle volte - nonostante abbiano un tempo del racconto lunghissimo - hanno un tempo della storia molto breve, che in alcuni casi (come in “Delitto e Castigo”) dura solo alcuni giorni. Ciò comporta una concezione del tempo molto particolare, che un grande studioso, Toporov, aveva definito “il punto sacrale del tempo”: noi sappiamo già che nel romanzo ci saranno dei momenti chiave in cui il tempo sembra fermarsi, in cui avvengono scene radicali dove tutte le voci e le istanze provenienti da punti diversi si radunano e si scontrano letteralmente, producendo i grandi terremoti del romanzo (non solo l’omicidio, ma anche altre scene, come la scena isterica della moglie di Marmeladov, le scene dell’interrogatorio e così via). È come se il tempo si fermasse. E in quel preciso momento, che dura un secondo, tutto può ancora essere, niente è deciso… Ed è proprio questo il bello dei romanzi di Dostoevskij: pur raccontando atrocità, vite tragiche e morti, in qualche modo ci suggeriscono che l’uomo deve interpretare la vita in una maniera libera poiché non c’è niente di definito: tutto può cambiare, tutto può ancora essere.

Dostoevskij ha la capacità di esplorare profondità inaudite dell’essere umano. Che cosa possiamo imparare oggi, a distanza di tutti questi anni, dai suoi libri? 

Non credo che ci si debba accostare alla lettura per imparare, ma per capire come i problemi di un tempo, i problemi dell’umanità, sono gli stessi nell’Ottocento, nel Novecento e nel XXI secolo. Sono pochissimi gli scrittori che sanno rendere moderni i problemi di un contesto diverso dal nostro: Dostoevskij è ovviamente uno di loro, uno dei più bravi. Le sue storie, anche se si svolgono in un periodo completamente diverso, ci spingono verso determinate domande. Ed è proprio questo che noi dobbiamo fare: porci delle domande! In un’epoca in cui nessuno si fa più domande perché l’informazione che arriva da internet è già fatta e non conviene approfondirla, è importantissimo leggere un romanzo che solleva interrogativi seri! E il pensiero alla base di questo romanzo è assolutamente contemporaneo: l’idea che ci sono degli uomini più forti e autorevoli che possono permettersi di passare sul cadavere di altri è un’idea che stiamo vedendo anche ai giorni nostri. Dostoevskij era capace di dare a quei fatti una scottante attualità. Insomma, non dobbiamo impararare qualcosa dall’operato di Raskolnikov, credo piuttosto che ci si debba porre delle domande. 

Vasilij Perov, Ritratto di Fyodor Dostoevskij

Secondo lei cosa direbbe Dostoevskij dell’epoca che stiamo vivendo al giorno d’oggi? 

Direbbe che la precedenza di tutto ciò che bisogna fare - le politiche economiche e così via - va data all’essere umano e alla sua dignità, senza nessuna distinzione, non solo a livello di razza e religione, ma anche tra l’individuo che pecca e l’individuo retto: egli infatti non fa distinzione tra l’uomo che pecca e l’uomo che invece segue la retta via poiché lui ritiene che il peccato e lo sbaglio siano un elemento fondamentale della crescita. Ovviamente, se si fosse ritrovato a giudicare Raskolnikov non sarebbe stato d’accordo con quello che lui fa. Ma Dostoevskij è l’uomo che dà una nuova possibilità alle persone. E in un’epoca in cui noi viviamo accanto a società evolute, dove, ad esempio, esiste ancora la pena di morte, è un messaggio di incredibile attualità. 

Secondo Pasolini, Dostoevskij, oltre ad aver aperto la strada a Nietzsche con l’idea del Superuomo, anticipa anche la futura psicoanalisi di Freud. È d’accordo? Quanto conosceva la psicologia Dostoevskij?

Sono d’accordo nella misura in cui ricordiamo che Freud era un lettore di Dostoevskij; ha scritto un importante saggio su di lui e ha tratto molti spunti da lì. La letteratura come tutte le arti non ha lo scopo di rappresentare la realtà, bensì di evocare la realtà attraverso delle strutture simboliche, attraverso delle affabulazioni, che invece non possono essere prese in considerazione dalla scienza. In alcune descrizioni che riguardano il sottosuolo dell’essere umano (la sua coscienza, la sua profondità interiore) e per alcune patologie come l’epilessia (ci sono almeno due personaggi epilettici nell’opera di Dostoevskij, non in “Delitto e castigo”), Dostoevskij dimostra delle enormi capacità di anamnesi. E Freud faceva bene a trarre più che poteva dalle sue opere. 

Inoltre è bene ricordare che c’è un altro aspetto molto importante del subconscio dei personaggi di Dostoevskij: la questione del sogno, che riguarda Freud da vicino. Sembra infatti che nei sogni dei personaggi di Dostoevskij si manifesti la teoria del sogno avanzata da Freud, ossia che il sogno sia il riflesso dei desideri che non sono stati evasi nella realtà. 

Il domestico che prestava servizio nella dacia di Ljublino vicino a Mosca, dove Dostoevskij portò a termine il romanzo, riferì che Dostoevskij scriveva prevalentemente di notte, camminando avanti e indietro per le stanze deserte, agitando le braccia e riflettendo a voce alta in maniera inquietante. Come ce lo dobbiamo immaginare Dostoevskij nella sua catarsi creativa? 

Proprio così: Dostoevskij scriveva principalmente di notte. Si svegliava tardi, verso le 10 del mattino, andava nelle aule dei tribunali dove seguiva la cronaca (lui era anche pubblicista); dopo aver visto un po’ di processi e sedute di tribunale tornava a casa e cominciava a scrivere verso le 4-5 del pomeriggio, e continuava fino a notte fonda; andava a dormire verso le 3-4 di notte. Quindi ce lo dobbiamo immaginare proprio così: l’immagine di Dostoevskij che cammina e recita le parole che sta per mettere sulla carta è quanto mai adatta a un personaggio come lui. I suoi romanzi sono pieni di dialoghi, ed è nel dialogo che si manifesta la sua essenza. 

Qual è il personaggio secondo lei più affascinante di “Delitto e castigo”? 

Trovo molto affascinante l’amico di Raskolnikov, anche se sembra un personaggio piatto: mi piace l’idea (molto presente nella letteratura russa) delle persone che stanno vicino al protagonista, che lo difendono, lo tutelano.

Poi citerei un personaggio che agisce nella seconda parte: Svidrigajlov, che nasce sotto l'immagine assai negativa di sfruttatore, probabilmente pedofilo; tuttavia, nonostante queste marche negative, è un personaggio attratto da Raskolnikov: pur avendo capito ciò che ha fatto, desidera parlare sinceramente con lui, ed è questo il bello di Dostoevskij: non c’è quasi mai un personaggio che alla fine non presenti delle sorprese che ne contraddicono la natura indicata fino a quel punto. Lui comprende la profondità di Raskolnikov, e gli dice apertamente: “Non ti voglio denunciare, voglio capire”. 

Infine non possiamo dimenticare il procuratore: un personaggio assai affascinante per il modo in cui conduce l’inchiesta. Di fatto sta al di sopra di tutto, lui comprende subito che è stato Raskolnikov ma non lo accusa, aspetta che sia lui stesso a confessare. E mi sembra geniale.

Tra l’altro Dostoevskij era solito disegnare i personaggi dei suoi romanzi: nei suoi taccuini ci sono ritratti e bozzetti che la dicono lunga sul processo creativo dello scrittore…

Sì, lui disegnava non solo i volti dei suoi personaggi, ma anche le architetture. Di recente è uscito un interessantissimo libro, “Disegni e calligrafia di Fedor Dostoevskij” di Konstantin Barsht, curato da Stefano Aloe, dove sono raccolti i disegni di Dostoevskij: ricordiamo che lui era un tecnico di formazione, era ingegnere. E da lì capiamo quanto per lui fosse interessante non solo la parola, ma anche come essa prende forma attraverso la voce (come dicevamo prima, si alzava e parlava a voce alta) e i disegni. 

Marco Caratozzolo è professore associato di Slavistica e insegna Lingua e Letteratura russa presso l’Università “Aldo Moro” di Bari. È direttore scientifico del festival letterario “Pagine di Russia” e dell’omonima collana di studi e traduzioni dal russo presso Stilo Editrice. Ha scritto monografie, articoli e saggi su vari aspetti della letteratura russa. Ha inoltre curato la nuova edizione della commedia di Aleksandr Griboedov “Che disgrazia l’ingegno” (Marchese editore, 2017), per la cui traduzione ha ricevuto il premio “Lorenzo Claris Appiani” 

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