Centotrent’anni fa nasceva uno dei più grandi poeti russi del Novecento, Osip Emilevich Mandelshtam (1891-1938). Un autore che con i suoi versi fece arrabbiare Stalin e per questo subì il confino, il carcere e la deportazione. Le sue poesie sono iscritte nel firmamento della grande letteratura russa; sono ancora oggi oggetto di studi e interpretazioni, fonte di emozioni, dibattiti e riflessioni. Russia Beyond celebra questo anniversario con una conferenza online (5 febbraio alle 18, ora italiana, in diretta su Facebook, Twitter e YouTube), organizzata dall’Istituto di Cultura e Lingua Russa di Roma, in collaborazione con il nostro giornale e con il patrocinio del centro russo “Russkij Mir” dell’Università “L’Orientale” di Napoli.
A ripercorrere la vita e le opere del grande poeta, Guido Carpi, professore ordinario di Letteratura russa presso l'Università “L'Orientale”, autore, fra l'altro, di una Storia della letteratura russa in due volumi (Roma, 2010 e 2016), della monografia Russia 1917: Un anno rivoluzionario (Roma 2017), di una Storia del marxismo russo (Mosca 2016, in lingua russa) e di una biografia di Iosif Stalin: Il minotauro e la cipolla (Firenze 2019).
Professore, cosa ascolteremo il 5 febbraio durante l’incontro su Osip Mandelshtam?
Attraverso una selezione di poesie, cercherò di fare una “mappatura” della produzione di Mandelshtam, per orientarsi dentro questo suo mondo poetico tutt’altro che facile.
Perché ancora oggi è importante leggere Mandelshtam?
Innanzitutto perché è un grande artista dalla poetica estremamente elaborata, con un “diapason” dall’ampiezza mostruosa. Ha attraversato tante stagioni: inizia scrivendo in un determinato modo - che io definisco il primo periodo “metafisico” -, per passare poi al periodo acmeista, con capolavori come “Notre Dame”.
Il punto centrale della sua opera, soprattutto dalla Rivoluzione in poi, è l’interrogarsi sul significato di ciò che stava accadendo a livello di grandi processi storici: a conclusione di un ciclo storico (in questo caso un ciclo imperiale, con le sue luci e le sue ombre), ne inizia un altro, e lui cerca di capire in che modo gli intellettuali legati alla vecchia cultura possano collaborare alla creazione di una cultura nuova, e se questo debba avvenire in termini di rottura o di continuità.
Insomma, è stato un grande testimone di un’epoca e di problemi che arrivano fino ai giorni nostri... perché anche la Russia di oggi non sa come rapportarsi al proprio passato.
Quindi la sua poesia è attuale ancora oggi?
Non in senso politico: non è una poesia che possa essere trasformata in una sorta di manifesto, è troppo complessa e piena di significati. Però c’è un tema che, secondo me, è attuale ancora oggi, in Russia come altrove: quello della fragilità dell’individuo. Mandelshtam infatti racconta un uomo debole: ebreo in un mondo di cristiani e di russi; mingherlino - com’era lui - in un mondo di robusti marinai rivoluzionari. Racconta insomma la fragilità di un certo tipo di persona in un’epoca che non accetta quel tipo di individui; la fragilità dell’uomo sbattuto in un contesto tragico e apocalittico.
Ma, nonostante questa sua fragilità, Mandelshtam riesce a scrivere una poesia che non ha eguali nella storia della letteratura del periodo sovietico: un’invettiva contro Stalin! E andava addirittura in giro a leggerla ai suoi amici, come se non bastasse, in un periodo in cui si rischiava la pelle per molto meno! Il povero Pasternak, quando lui gliela lesse, disse: “Io questa poesia non l’ho sentita e lei non me l’ha letta. Questa non è poesia: è un suicidio”. Eppure questa cosa l’ha fatta un uomo mite…
Possiamo quindi dire che, con la poesia contro Stalin, Mandelshtam diede prova di grande coraggio?
Indubbiamente! Tuttavia io credo che non si rendesse conto fino in fondo del pericolo che stava correndo. D’altronde nel ‘33 l’epoca del Grande Terrore doveva ancora iniziare… E non è che di politica lui se ne intendesse poi così tanto.
Questa poesia voleva più che altro essere un atto di coraggio civile per far ragionare la sua epoca: lui, infatti, parlava spesso con la sua epoca, così come fece con la sua ultima grande opera: i versi per il milite ignoto.
Quale lezione ci insegna questo poeta, di cui dovremmo far tesoro?
In realtà Mandelshtam non ha scelto di essere ciò che era... Era un uomo molto condizionato dal suo carattere: umorale, poco pratico... riusciva ad adattarsi poco alle situazioni, agiva d’impulso. Per farla in breve, era considerato uno “sfigato” dai suoi contemporanei, anche da coloro che ne apprezzavano grandemente la poesia.
Non saprei dire se lui volesse dare l’esempio… era semplicemente se stesso! Era se stesso in un’epoca in cui le persone cercavano di adattarsi al contesto per sopravvivere: e questa era una cosa che lui non riuscì assolutamente a fare.
Mandelshtam tra l’altro ci lasciò un interessante scritto su Dante e la Divina Commedia, “La conversazione su Dante”...
Sì, un saggio utile più per capire Mandelshtam che per capire Dante: l’italiano lo conosceva superficialmente.
Dante, per lui, era importante soprattutto per un motivo: Mandelshtam considerava la Divina Commedia l’esempio migliore di quando la lingua, intesa come fenomeno naturale, si solidifica, si cristallizza in un grande sistema culturale. È la natura che si fa cultura.
Inoltre Dante gli stava simpatico come personaggio, ci si riconosceva un po’, soprattutto nell’Inferno, con quei suoi momenti di incertezza e timidezza.
Mandelshatam fu colpito anche e soprattutto dalla musicalità dei versi di Dante…
È vero. Per Mandelshtam la musicalità di un testo poetico è parte integrante del messaggio globale che quel testo vuole veicolare; il testo poetico non trasmette solo un messaggio traducibile in forme logiche, ma è un qualcosa di organico, una sorta di cristallo pieno di sfaccettature. E lui riteneva che quella musicalità fosse una parte fondamentale della sostanza spirituale che Dante voleva rappresentare.
Quale raccolta di poesie di Mandelshatam consiglierebbe di leggere?
Sicuramente quella di Remo Faccani, che nacque come “Cinquanta poesie” e poi divenne “Ottanta poesie”. Inoltre consiglierei una vecchia antologia curata da Serena Vitale, che ha dei testi che il Faccani non inserisce. Si tratta quindi di due libri che si integrano abbastanza bene. Inoltre, le poesie presenti in entrambe le antologie sono tradotte in modo diverso, perciò anche chi non conosce il russo può farsi un’idea un po’ più chiara di cosa ci sia scritto nell’originale.
I russi sono molto legati alla poesia, hanno una reverenza che noi italiani non abbiamo… È d’accordo?
Beh, non sono tutti così… Ad ogni modo in questa affermazione c’è qualcosa di vero. In Russia si nota un sistema “litterocentrico”, dovuto al fatto che c’è sempre stato un sistema culturale dove un dibattito e una dialettica su temi sociali, politici e culturali non si poteva svolgere - ciò valeva sia nel periodo zarista, sia nel periodo sovietico; quindi la letteratura in qualche modo incanalava quei messaggi: i poeti erano uno specchio importante per la società.
Infine non bisogna dimenticare l’impegno e l’esempio di coraggio civile dimostrati da alcuni di loro.
Un poeta a cui lei è particolarmente legato?
Elena Shvarts: tra le voci poetiche femminili secondo me più belle della letteratura russa del dopoguerra.
Che tipo di interesse nota nei ragazzi che oggi si avvicinano allo studio della letteratura russa?
Tre quarti dei miei studenti studiano il russo perché vogliono imparare la lingua a scopo lavorativo. Sono ragazzi che partono già con delle letture pregresse, perlopiù in prosa.
Bisogna riconoscere che in Occidente vi è una percezione falsata della letteratura russa: si pensa che il baricentro cada su Dostoevskij e Bulgakov, o su Tolstoj e Chekhov: è questo il quadrilatero su cui ci si muove. In realtà il baricentro della letteratura russa è Pushkin, o comunque l’età pushkiniana.
Cosa piace di più ai suoi studenti?
Sono contento di notare che l’Onegin, spiegato in una certa maniera, piaccia ancora tanto; così come piacciono Lermontov, Blok, Majakovskij... I ragazzi poi restano affascinati soprattutto davanti ai poeti assurdisti, forse più ascrivibili in una sensibilità contemporanea e postmoderna.
In sede d’esame, quando si parla dell’Onegin, mi piace spesso chiedere: “Signorina, ma lei, al posto di Tatiana, cosa avrebbe fatto? Avrebbe fatto come Tatiana, o avrebbe mollato il marito per tornare con Onegin?”. Suvvia, ovviamente non si vuole banalizzare (dietro c’è un discorso molto complesso), ma, come diceva il buon Nietzsche, la scienza deve essere “gaia”, e gli studenti a lezione si devono anche un po’ divertire.
Per maggiori informazioni sull’evento online dedicato a Osip Mandelshtam, cliccate qui
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