Fonte: Legion Media
“La vodka è il lubrificante che riduce l’attrito tra i russi e la realtà che li circonda”, ha detto una volta l’autore russo contemporaneo (nato nel 1967) Dmitrij Bykov. “Senza vodka, l’animo sensibile dei russi e la crudele realtà collidono, ma l’alcol aiuta i russi a mettersi in pace col mondo”.
Bykov stava sicuramente scherzando. Il vecchio stereotipo non è vero: non tutti i russi stravedono per la vodka, e anche se farete fatica a crederlo, ci sono persone che odiano questo “lubrificante”. Tra loro anche Lev Tolstoj, che ebbe modo di dire: “A malapena si riesce a immaginare come sarebbe felice la società, se la gente la smettesse di avvelenarsi con vodka, vino e tabacco”.
In ogni caso l’idea di vodka è strettamente associata alla Russia. Il Paese è parte fondante della cosiddetta “fascia della vodka”, una delle tre in cui si divide il consumo di alcol in Europa (le altre sono quella della birra e quella del vino, di cui fa parte l’Italia. Ecco la mappa). Ma non è sempre stato così.
Anche i russi non sanno con sicurezza quando la vodka sia arrivata nel Paese e come sia diventata così diffusa e popolare. C’è una leggenda che vuole che sia stato Dmitrij Mendeleev, il creatore della Tavola periodica degli elementi, a distillare per la prima volta la vodka a 40 gradi nel 1894, ed è stato citato e lodato come suo inventore, ma non è vero. La vodka era in giro già da molto tempo. Il distillato stava già rovinando fegati nella Russia zarista nel XV e XVI secolo, secondo lo storico Aleksander Pidzhakov. Secondo lui i russi si sarebbero ispirati agli scienziati italiani che stavano sperimentando l’“aqua vitae”, distillandola dal mosto fermentato. Quella aveva una gradazione altissima, vicina all’alcol puro, e i russi la usarono come base per creare il “vino di pane” o “polugar”. Così tutto iniziò nel XVI secolo. Questo tipo di vodka primordiale venne addirittura esportato.
La distillazione della vodka era semplice, per cui era abbastanza facile ottenere buoni profitti, vendendola. Ma nel corso del XVIII secolo l’imperatrice Elisabetta (che regnò dal 1741 al 1762), per impedire che anche i semplici contadini potessero distillarla e arricchirsi, emanò un decreto nel quale si stabiliva che solo i nobili potevano venderla.
Questo migliorò la qualità del distillato, perché i ricchi potevano permettersi metodi e ingredienti più cari per purificarla, tra cui le proteine animali. Iniziarono anche ad aggiungere diversi aromi, per ottenere sapori unici.
Ma il privilegio aristocratico non durò a lungo. Già nel XIX secolo la produzione di vodka illegale di patate era fiorente. Così il governo decise di imporre il monopolio: solo lo Stato poteva produrre alcolici e il 40 per cento fu stabilito come gradazione standard.
Il governo mantenne a lungo il suo monopolio nella produzione e nella vendita della vodka, sia sotto lo zar che sotto il comunismo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel 1914, il monopolio era la più grande fonte di introiti per il per il governo russo: circa il 32 per cento delle entrate. Ma proprio per via del conflitto la produzione di vodka fu vietata dallo zar, “fino alla vittoria”, cosa che portò a una crescita del consumo di droghe. Solo nel 1924, il governo comunista, alla disperata ricerca di soldi, riprese la produzione. “Non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta”, sosteneva Stalin, e, per realpolitik, i bolscevichi, contrari al bere, ripresero a produrre e vendere vodka al popolo.
La morsa di ferro del governo sulla produzione è durata fino al crollo dell’Unione Sovietica. Negli anni Novanta, il settore si è aperto ai privati, e così è ancora oggi. Tuttavia, alcuni politici occasionalmente cercano di convincere il governo a ristabilire il controllo sulla produzione, per combattere la scarsa qualità e ridurre il consumo di alcol.
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