George Balanchine e Suzanne Farrell, ballerina del "New York city Ballet”
Photoshot/Vostock PhotoSe c’era una cosa che non sopportava, era raccontare il soggetto dei suoi balletti. Definiva sé stesso e i suoi colleghi “una minoranza silenziosa” che danza. Mentre, alle domande dei ballerini sul significato dei gesti, rispondeva: “Non pensare al perché lo compi. Esegui il movimento. E basta”. George Balanchine è considerato uno dei più grandi coreografi del XX secolo. Dopo aver lasciato la sua San Pietroburgo, all'età di 44 anni divenne uno dei fondatori del New York City Ballet. E proprio a lui, nell'Accademia di danza “Boris Eifman” a settembre è stato inaugurato un monumento.
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Gli esordi
Balanchine nacque a San Pietroburgo nel 1904, sperimentando tutti quei cataclismi caduti in sorte alla sua generazione. Come tutti i suoi coetanei però, poveri russi emigrati, divenuti geni in Occidente, anch'egli viveva per godersi la vita, come se le sofferenze non lo sfiorassero affatto. E la vita si trasformava così facendo in un suo equivalente creativo.
Oggi, a distanza di decenni, la via di “Mister B”, come lo chiamano con adorazione e stima in America, pare essere una liscia e diretta ascesa alla gloria dell'Olimpo. Anche se una vera e propria vincita la ottenne una volta soltanto, quando incontrò l'americano Lincoln Kirstein, agli inizi degli anni Trenta.
“Sono pronto a scommettere la vita sul suo talento... Costui è in grado di compiere un miracolo e di farlo accadere di fronte ai nostri occhi”, così scriveva Kirstein, annunciando l'arrivo del coreografo in America.
Fino all'incontro con Kirstein, la vita di Balanchine può essere paragonata alla biografia di un fallito. Persino alla scuola di balletto del teatro Mariinsky ci era finito per caso, perché i genitori, che sognavano di vederlo ufficiale della marina, avevano ritardato agli esami d'ingresso all'istituto nautico.
Terminò la scuola distinguendosi come uno dei migliori studenti, la sua bassa statura però non gli permetteva di ambire ai ruoli di principe nei balletti classici. Nonostante questo, i critici erano entusiasti di lui, persino nei ruoli più marginali, mentre gli artisti suoi coetanei lo riconoscevano leader del gruppo “Balletto giovane” per il quale, egli appunto, aveva realizzato le prime messe in scena, agli inizi degli anni Venti.
Che cos'è l'ispirazione? Essa non esiste. È irreale come l'anima, che c'è, ma non c'è
L’incontro con Diagilev
Durante il periodo della tournée in Germania del 1924, Balanchine, insieme a un gruppo di ballerini russi, decise di fermarsi in Europa, per ritrovarsi poi ben presto a Parigi, dove ricevette l'offerta di Sergey Diagilev per il posto di coreografo ai “Ballets russes”.
Fu proprio Diagilev a fare di Georgy Balanchivadze, Balanchine. Tagliare la parte difficilmente pronunciabile della famiglia georgiana risultò essere in questo caso molto semplice. Diagilev vide talento nel giovane georgiano e si accollò personalmente la responsabilità di educarlo al proprio gusto, a partire dalla scelta del guardaroba fino alla dimostrazione dei tesori dei musei di tutta Europa. E ci vide giusto: è proprio al nome di Balanchine che sono legati gli ultimi trionfi dei “Ballets russes”, con le rappresentazioni di “Apollon musagéte” (1928) e “Le fils prodigue” (1929).
L'inattesa morte di Diagilev nel 1929 interruppe la vorticosa crescita della sua carriera. Abituato alla collaborazione con i maestri più celebri come Stravinsky e Prokofiev, il coreografo si vide costretto a dover accettare qualsiasi messa in scena. Fu proprio in questo periodo che conobbe il giovane mecenate americano Lincoln Kirstein e nel 1933 si trasferì negli Stati Uniti.
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La nuova vita negli Stati Uniti
La nuova vita di Balanchine negli Stati Uniti, malgrado il sostegno di Kirstein, si rivelò essere difficile: al balletto classico in America preferivano la ginnastica. Per questo motivo, prima di poter creare i suoi spettacoli, Balanchine dovette innanzitutto fondare, nel 1934, la School of American Ballet. A un anno di distanza, egli compose per il primo concerto pubblico dei suoi allievi la “Serenade” sulle musiche della Serenata per archi di Tchaikovsky. I coreografi tutt'ora non riescono a spiegarsi come sia riuscito al coreografo di creare un tale capolavoro per allieve principianti.
“Che cos'è l'ispirazione? Essa non esiste. È irreale come l'anima, che c'è, ma non c'è. Mentre la necessità è una cosa reale”, queste parole possono essere interpretate come il motto del coreografo. La “Serenade”, emblema dell'arte di Balanchine, reca in sé un accorato omaggio alle americane, impetuose, sportive, moderne e al contempo romantiche.
Nei primi decenni della sua vita in America, Balanchine fu costretto ad accettare qualsiasi tipo di proposta: fece rappresentazioni a Hollywood, lavorò a Broadway, collaborò con la Metropolitan Opera. Per necessità Balanchine scrisse 425 opere. Operava con una rapidità fantastica, non temeva di citare se stesso e componeva capolavori che, nonostante le sue previsioni, tuttora vengono portati in scena dalle più grandi compagnie del mondo.
Continuò a rappresentare balletti fin quasi fino agli ultimi giorni della sua vita. Da vivo Balanchine non fece mai più ritorno in Russia: sui suoi balletti e sulla sua troupe era stato imposto un veto. Solo ora in Russia è scoppiato il boom di Balanchine: i teatri fanno a gara fra di loro per la quantità degli spettacoli di Mister B presentati. E niente ormai impedisce di sentirne il richiamo di raffinata bellezza.
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