Uno scorcio di Izborsk.
: Lori/Legion-MediaIvan Lermontov ha 76 anni, una folta barba bianca e un sottile bastone di legno di quercia senza il quale non esce mai di casa. Non appena qualcuno si avvicina al campanile di San’Anastasia, rimasto intatto fino a oggi, Ivan si precipita immediatamente fuori dalla sua abitazione. La cappella è una minuscola izba coronata da una cupola di latta con una croce forgiata a mano nel XIX secolo dagli abitanti del villaggio di Brod, nei pressi di Izborsk.
“La nostra cappella è posta su un cippo”, ci racconta “zio” Vanja e batte con il bastone sulla pietra levigata che spunta da sotto il terrazzino di legno che risuona sonoramente. “Un migliaio di anni fa, ancora in epoca pagana o forse anche prima, era una bugna”.
Ivan fissa i suoi interlocutori, dei backpacker moscoviti muniti di macchine fotografiche, e non del tutto soddisfatto dell’effetto ottenuto, aggiunge: “E sulla riva del fiumicello che scorre vicino a casa mia ho trovato un idolo pagano di pietra che era stato abbattuto, sotto la torba: il busto, gli occhi e la bocca erano proprio come quelli di un essere umano!”.
Fonte: Danil Litvintsev
Lermontov ha in serbo decine di racconti come questo che testimoniano come a Izborsk la storia non si limiti a una serie di aride parole stampate in un manuale, ma si materializzi in oggetti tangibili che talvolta si trovano proprio sotto i nostri piedi. La città si trova a 800 chilometri da Mosca, sul confine tra Russia, Estonia e Lettonia, a un’ora di viaggio dall’Unione Europea. Più di mille anni fa in questi luoghi dall’unione delle tribù slave e delle tribù finniche nacque lo Stato russo. Oggi chi fa cinema viene quaggiù in cerca di paesaggi russi autentici, mentre i viaggiatori vengono per scoprire quelle tradizioni che possono aiutarli a comprendere meglio la Russia, il Paese più grande del mondo.
La città
Izborsk è più antica di Mosca e della maggior parte delle altre città russe. Per la prima volta viene menzionata nel “Racconto dei tempi passati” dove si narra come nell’862 le tribù slave dei krivici e degli sloveni e le tribù finniche dei meria e dei chud, stanche dei continui conflitti, chiamarono a “governare e ad amministrare” le proprie terre tre fratelli variaghi “d’oltremare”.
Fonte: Danil Litvintsev
Oggi Izborsk, che celebra i 1.150 anni della sua fondazione, è un villaggio punteggiato di case di legno a un piano attorno alle mura della fortezza di pietra, in cui vivono meno di un migliaio di persone. Gli abitanti ritengono che il nome dell’insediamento abbia origine dal russo “izbrannyj” (eletto) o “mesto dlja izbrannykh” (luogo degli eletti).
Gli archeologi e gli studiosi del paesaggio, che si sono battuti per trasformare Izborsk in una riserva federale, concordano con loro. Le chiese e la fortezza sono state dichiarate monumento nazionale. Anche il celebre regista sovietico Andrej Tarkovskij venne qui in cerca di paesaggi russi autentici per i suoi film. Ma una delle principali peculiarità di Izborsk, che la distingue da molte altre città museo, è quella di essere un centro abitato vivo di pochi “eletti” che tutt’oggi accolgono i turisti come forestieri eccentrici capitati per caso dalle loro parti.
Sotto la protezione di San Nicola
La casa in cui abita Ivan Lermontov fu costruita da suo nonno nel 1913. Quattro anni dopo la sua inaugurazione l’Impero russo crollò. Izborsk, “patria dello Stato russo”, essendo situata al confine si ritrovò ai limiti della Russia Sovietica, nel territorio indipendente della Repubblica d’Estonia, cosa che la obbligò a preservare le antiche tradizioni che il potere sovietico aveva sradicato in molte altre regioni del Paese.
Fonte: TASS/Yurij Belinskiy
Dalle finestre della casa di Lermontov si scorge il colle del Forte di Truvor, alto quanto un palazzo di sedici piani. Sulla sua cima biancheggia come un faro la Cattedrale di San Nicola, costruita sulle rovine di un tempio pagano. Sulla cima piatta del colle, già nell’VIII secolo, prima della conversione al cristianesimo della Rus, si trovava un insediamento fortificato descritto dalle cronache come Izborsk che, a detta di un gran numero di studiosi, sarebbe stata la prima e più antica fortezza russa.
“Ho trascorso tutta la mia vita sotto la protezione di Nicola - dice Ivan Lermontov, guardando la chiesa sulla collina -, nelle sere d’autunno rincasavo da scuola con la torcia accesa passando davanti a Nicola e ora quando vado a messa nella cattedrale gli passo davanti”.
La strada che conduce alla chiesa
La mattina del 4 dicembre, durante la festa ortodossa della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, prima dell’alba Ivan percorre 3 chilometri lungo la carreggiata resa fangosa dalle pioggie. Tiene in mano un paio di scarpe pulite che s’infilerà all’ingresso della cattedrale dopo essersi tolto gli stivali infangati.
Fonte: Lori/Legion-Media
Evitando la piana paludosa s’inerpica lungo il ripido sentiero lastricato che superato il Forte di Truvor conduce verso le torri della fortezza di Izborsk visibili in lontananza. I governanti di Pskov, principato della Russia occidentale, fecero erigere la fortezza nel XIV secolo per difendere la città dai Cavalieri dell’Ordine di Livonia (oggi il quartier generale dell’ordine si troverebbe nel territorio della Lettonia e dell’Estonia). La fortezza si rivelò una costruzione molto solida e nell’arco dei suoi sette secoli di vita riuscì a fronteggiare decine di assedi. Non fu mai presa dal nemico e questo procurò a Izborsk in Europa l’appellativo di “Città di ferro”.
Al di sopra delle mura di pietra della fortezza risplende la cupola argentata della Cattedrale di San Nicola, la chiesa più importante di Izborsk e anche la meta oggi di Ivan Lermontov. Coeva della fortezza, la cattedrale fu inaugurata non più tardi del 1349 e da allora non è mai stata chiusa. Per un Paese come la Russia dove in epoca sovietica quasi tutte le chiese nel migliore dei casi venivano trasformate in musei e nel peggiore in depositi di ortaggi o garage, la cattedrale di San Nicola è uno dei rari esempi di chiese medievali che si sono conservate.
Fonte: Lori/Legion-Media
Il suono delle campane
Verso le 8 del mattino all’interno della chiesa si trovano già una quarantina di fedeli attorno al canuto prete nei paramenti argentati che sta declamando o cantando in slavo ecclesiastico antico: è difficile capire il contenuto delle sue parole, ma questa è ancora oggi la lingua principale della liturgia ortodossa. Dalle ante delle finestre coperte di brina filtra una luce fredda e fioca. La fiamma delle candele sottili trema. Dalle bocche dei fedeli fluiscono nuvolette di vapore.
Quando la voce del prete tace, i parrocchiani – donne con fazzoletti variopinti in testa e uomini in giacche scure – tra cui c’è anche Ivan Lermontov, si fanno con fervore il segno della croce davanti all’icona di San Nicola appesa su una delle pareti.
Le volte della chiesa cominciano a vibrare per i rintocchi sordi e regolari. È il sagrestano che sul campanile ha dato voce alla campana più grande, quella per gli allarmi, che un tempo avvertiva gli abitanti della città fortificata dell’arrivo dei nemici, ma che oggi riporta la vita nella città museo.
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