I cinque pericoli mortali sulle strade della Russia prerivoluzionaria

"Una trojka in inverno", dipinto di Nikolaj Sverchkov, 1888

"Una trojka in inverno", dipinto di Nikolaj Sverchkov, 1888

Galleria Tretjakov
Non si correva certo come in macchina – la velocità raramente superava i 20 km/h – eppure si moriva più di oggi. Perché? Tra terribili incidenti che coinvolgevano carri, slitte e carrozze, predoni e lupi in agguato, ponti malmessi e litigi furiosi per la precedenza, il rischio era sempre dietro l’angolo

“Se un uomo russo ha bevuto qualche bicchiere di troppo, non c’è modo di fargli condurre i cavalli alla tedesca, cioè al passo o al piccolo trotto. Griderà, urlerà canzoni e galopperà finché il sonno non lo sopraffarà e le redini non gli cadranno dalle mani”, ha scritto Mikhail Zagoskin (1789-1852), autore di romanzi storici (tanto da essere definito lo Walter Scott russo) nel suo libro “Russkie v nachale vosemnadtsatogo veka” (ossia: “I russi all’inizio del XVIII secolo”). I “guidatori” ubriachi non sono mai mancati in Russia, e quando erano alle redini di una carrozza e non al volante di una macchina, non erano meno pericolosi di oggi. Anzi, anche se le velocità allora erano più basse, le possibilità di morire in un incidente stradale erano maggiori.

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Vittime di cavalli e carrozze

Vladimir Korshunkov, studioso della storia delle strade russe, cita un caso tratto dal giornale “Vjatskaja Rech” del 1914: “Le insegnanti di una scuola femminile, la Kolchina e la Bagaeva, stavano tornando a Sarapul alla vigilia di Natale. Viaggiavano con un mezzo con un solo cavallo. La Kolchina aveva con sé anche la figlia di tre anni. Nei pressi del villaggio di Purgi il mezzo delle due viaggiatrici si è scontrato con un carro carico di vino. A causa dell’impatto, la koshevka [slitta invernale a due posti; ndr] con le insegnanti si è ribaltata ed è caduta in un fossato, schiacciando loro e il cocchiere che le trasportava. I conducenti del carro che avevano fatto finire le insegnanti fuori strada, intanto hanno proseguito per la loro strada come se nulla fosse. La Kolchina è morta sul posto, soffocata dal peso del mezzo. La Bagaeva era priva di sensi, ma sono riusciti a salvarle la vita”.

Era particolarmente pericoloso ribaltarsi con una carrozza carica di cose: le casse e le ceste dei passeggeri potevano schiacciarli a morte. Inoltre i cocchieri non prendevano mai nemmeno le più elementari misure di sicurezza: il cavallo poteva con facilità sbalzarli dalla sella, e trascinarli sul selciato… Se il cocchiere cadeva da cavallo e restava impigliato con un piede nella staffa, la morte violenta era quasi inevitabile.

Anche i nobili non erano immuni da ribaltamenti e cadute. Aleksandra Tjutcheva, nel 1853, aveva talmente fretta di andare dalla zona di Orjol a San Pietroburgo per la consegna del titolo di damigella d’onore, che fece un terribile incidente. “Mi sono ritrovata insieme alla carrozza ribaltata in fondo a un burrone, con la testa rotta…”, scriveva la Tjutcheva. Persino gli imperatori furono vittime di incidenti della strada: nel 1836 la carrozza di Nicola I si ribaltò nei pressi della città di Chembar, vicino a Penza. L’imperatore si ruppe la clavicola e in quelle condizioni dovette percorrere 17 verste (più di 18 chilometri), per trovare soccorso!

In generale, cadere dalla carrozza era una cosa comune, soprattutto nelle discese e in curva. Non c’erano certo i freni moderni su carrozze e carri: alle ruote, per rallentare l’andamento in discesa, venivano messi dei ceppi o delle ganasce, detti “bashmakí”. Ogni discesa, soprattutto in inverno, restava però un affare rischioso. Il grande pittore Ilja Repin viaggiò da Kharkov a Mosca nel 1863 e in seguito scrisse: "È spaventoso scendere dalle colline più alte. […] È successo più volte che al gelo assoluto abbiamo dovuto aspettare a lungo sotto la collina mentre il cocchiere riceveva aiuto dalla stazione di posta. […] Ci sono stati molti casi così sulla nostra strada… Dopotutto, le strade sono circondate da profondi fossati… E più di una volta, dopo aver preso velocità, una carrozza non frenata ha sbattuto e si è ribaltata in un fosso.

Ponti che crollano

Nella Russia prerivoluzionaria la parola “ponte” poteva indicare non solo la robusta costruzione in pietra o metallo che immaginiamo oggi, ma anche un insieme di assi, tronchi o addirittura rami gettati sul fango o per cercare di guadare una palude. “Solo pertiche, appena tagliate”, scriveva il sacerdote Nikolaj Blinov a proposito di tali “ponti” che attraversavano le paludi. Naturalmente, non si può cadere da un ponte del genere, ma vederlo crollare sotto di sé o slittare finendo nella palude era più che possibile. Addio carrozza e spesso addio anche equipaggio.

Anche i veri ponti, quelli sui fiumi, erano pericolosi. Nel 1723 lo stesso Pietro il Grande in persona avvertì la moglie Caterina: “I ponti sui fiumi sono alti… e molti non sono resistenti… È meglio che tu li attraversi a piedi o in una carrozza a un solo cavallo”. Immaginate chi viaggiava con convogli come quello della proprietaria terriera Elizaveta Jankova nel 1803: “Tre fury [carri da carico merce; ndr], tre kibitki trainate da buoi a coppie e un carro con un cavallo, tre uomini e Taras il cuoco con un paio di cavalli, mentre noi siamo saliti su una linejka [un tipo di carrozza leggera; ndr] a otto posti con sei cavalli, una carrozza con sei cavalli, una carrozza con quattro cavalli e una kibitka con tre cavalli”. Una carovana di questo tipo doveva scegliere in anticipo quali ponti superare, e la strada si allungava spesso considerevolmente.

Il marchese Astolphe de Custine, nel suo libro “La Russia nel 1839”, scrisse di aver incontrato sul suo percorso “un sacco di ponti di pessima qualità, uno dei quali mi è sembrato proprio pericolante; ponti sconnessi e pericolosi, che spesso mancavano degli elementi strutturali più importanti”.

Nelle grinfie dei banditi

Oltre a pericoli infrastrutturali, i ponti in Russia erano un ricettacolo di mendicanti e rapinatori: dopo tutto, si trattava di un passaggio obbligato per  molte persone, spesso in un’area scarsamente popolata. Inoltre, come scrive Vladimir Korshunkov nel suo articolo “Ponti, ladri, mendicanti”, “i ponti stradali erano quasi sempre situati in una pianura o su un burrone, dove la via si restringeva. Lì iniziava un tavolato traballante, particolarmente pericoloso al crepuscolo, e la gente che viaggiava, che le piacesse o no, era costretta a rallentare o addirittura a scendere dalla carrozza. E quale momento migliore per tendere un agguato?

“Ama gli ospiti in viaggio e gli dà il benvenuto da sotto il ponte”, si scherzava sui rapinatori. La concezione del ponte nella cultura tradizionale come luogo in cui vive il maligno giocava il suo ruolo. I contadini superstiziosi avevano già di per sé paura dei ponti e la paura è la condizione migliore per un attacco. Sotto il ponte era possibile non solo nascondersi, ma anche immagazzinare il bottino, e nel fiume si potevano calare i corpi degli sfortunati che resistevano e venivano uccisi.

I ladri sotto i ponti c’erano anche a Mosca: nel XVIII secolo sotto le arcate del ponte Vsekhsviatskij le bande facevano affari con il bottino nelle locande del ponte stesso. Ma non erano solo i ponti la dimora dei ladri. Fino alla metà del XIX secolo, in quasi tutti i boschi vicino alle grandi strade si nascondevano bande di predoni.

I contadini che fuggivano dai cattivi proprietari, dall’esercito, dalle tasse statali diventavano briganti. Così come i soldati che avevano imparato l’attività militare e disertavano rubando le armi, e dedicandosi poi alle rapine. Le bande di briganti erano armate non solo di fucili, ma anche di cannoni, con i quali potevano fermare e portar via i carri dei mercanti. Furono inviate squadre militari contro i briganti e furono abbattute le foreste lungo le strade e vicino alle città, ma le autorità zariste non riuscirono mai a far fronte del tutto a questo tipo di criminalità.

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Litigi e risse con altri conducenti

Due carrozze non riuscivano a passare su una strada stretta: l’eterna storia del conflitto stradale. Per le carrozze trainate da cavalli nella Russia zarista era un grosso problema: molte erano composte da più cavalli, avevano doghe larghe e assi imponenti, e su una strada stretta di paese o di città era difficile passare in due; bisognava cedere il passo. E nessuno voleva farlo. E se una frusta colpiva il cavallo di qualcun altro, in velocità, in uno scatto d’ira o nel trambusto della manovra, allora potete stare sicuri che la cosa sarebbe finita a pugni.

Korshunkov cita materiali dell’ufficio etnografico sui litigi con rissa sulle strade del Nord russo: “Un uomo sta viaggiando, soprattutto in inverno, e un altro uomo lo incontra, nessuno si sposta, e allora uno dei due cade dalla slitta oppure si rompe qualcosa che sta trasportando. Naturalmente, si avvicina al colpevole e lo colpisce, se non lo conosce, con il knut, una pesantissima frusta. E quest’ultimo, ferito, afferra ciò che ha sotto mano, sia pure un’ascia, e colpisce il nemico…”.

Era chiaro chi doveva cedere il passo se si incontravano un barone e un contadino, un nobile e un piccolo nobile, un messaggero e una carrozza postale. Il meno importante gerarchicamente doveva cedere il passo, e se veniva raggiunto da una carrozza più veloce lasciarla passare. Ma il riconoscimento era particolarmente difficile d’inverno, durante le tempeste di neve, quando la strada era circondata da cumuli o da intere pareti di cumuli e neve. I contadini dovevano prima scavare e calpestare il terreno – questa attività si chiamava “utoropishche” o “utoloka” – dove i loro cavalli e i loro carri avrebbero potuto spostarsi per far passare la carrozza del nobile.

E che cosa succedeva se si scontravano persone più o meno dello stesso livello, per esempio due militari o due nobili? Qui cominciava la “battaglia dei ranghi” per scoprire chi era più alto in grado, chi serviva la patria da più tempo e chi era più anziano. Se si incontravano dei contadini su una strada stretta, c’erano delle regole non scritte: un carro vuoto cedeva strada a uno carico e uno con un numero minore di cavalli a uno più grande. E quando viaggiava una persona importante, per esempio un governatore della sua provincia, i cocchieri gridavano da lontano alle carrozze in arrivo: “Svorachivaj!”, ossia “svolta!”, per farsi lasciare strada libera.

Divorati dai lupi

Oltre ai briganti, a minacciare di morte i poveri viaggiatori lungo la strada erano branchi di lupi famelici. Molti degli animali della foresta avevano la rabbia, quindi anche solo un loro morso era una minaccia grave per la salute e la vita stessa.

Come scrisse il chirurgo Pierre da Lamartignen, che visitò il Nord russo nel 1653, c’erano “così tanti orsi e lupi che eravamo costantemente in preda alla paura… aspettandoci un attacco a ogni minuto”. Tuttavia, nelle foreste del nord, dove c’erano molti cervi e altri animali selvatici, i lupi non erano così feroci come nella Russia centrale, dove le loro prede venivano uccise dai cacciatori, costringendoli a cercare altro cibo lungo le strade.

Lo storico Vladimir Korshunkov cita un resoconto del 1869 dalla provincia di Vjatka, dove un lupo azzannò due contadini, Matvej Shikhov e Kozma Mukhin. “Al primo portò via la pelle della testa fino all’osso e il naso, e gli morse la gamba sinistra e il braccio, mentre il secondo fu morso alla guancia sinistra, alla tempia e al braccio destro. All’inizio entrambi sopravvissero, ma pochi mesi dopo Kozma Mukhin morì di rabbia”.

I lupi entravano anche nei villaggi e, naturalmente, attaccavano i viaggiatori. Per spaventarli, i cocchieri davano fuoco a fasci di paglia, attaccavano torce accese alle carrozze e ai carri e i viaggiatori avevano sempre con sé pistole e fucili. I lupi sono rimasti un problema in alcune zone della Russia fino al XX secolo.

Korshunkov riporta il resoconto di Serafino, vescovo di Dmitrov, che stava avanzando da solo con il cocchiere, a metà degli anni Venti, in un periodo di disgelo, vicino alla stazione di posta Kubinka, nella regione di Mosca, quando fu attaccato. “Il cavallo, umile e obbediente, improvvisamente spronò e partì a tutta corsa, tanto che le redini si spezzarono: aveva fiutato i lupi, i cui occhi già brillavano nell’oscurità. I lupi corsero in avanti, si precipitano verso di me. Volevo cercare di spaventarli, accendere della carta: hanno infatti paura del fuoco. Ma i fiammiferi si erano inumiditi”. Alla fine, un lupo si gettò all’inseguimento dell’equipaggio, che però riuscì a spaventarlo gridando. A quanto pare, i lupi non erano molto affamati ed erano pochi, quindi Serafino ne uscì senza un graffio.

Nelle zone più remote della Russia i lupi cacciano in branco e talora possono costituire ancora oggi un pericolo per i pedoni e gli abitanti dei villaggi.


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