Come si fronteggiava il problema del brigantaggio nell’antica Rus’?

“Persone sospette”, dipinto del pittore Konstantin Savitskij, 1882

“Persone sospette”, dipinto del pittore Konstantin Savitskij, 1882

Museo Russo/Dominio pubbico
Il fenomeno dei predoni nacque, in Russia, molto prima che venissero costituite le forze dell’ordine, pertanto tutti, sia i contadini che gli aristocratici, per secoli dovettero difendersi da soli

A cavallo dei secoli XVII-XVIII la barca di un voivoda (governatore) russo, che stava navigando lungo il Volga, nei pressi di Nizhnij Novgorod fu “circondata da tre barche dei briganti russi, di cui ciascuna portava diciotto uomini”. Gli uomini del governatore aprirono il fuoco, uccidendo tre degli assalitori. I briganti preferirono ritirarsi. Quest’episodio fu riferito dall’olandese Cornelis de Bruijn, che nel 1703 intraprese un viaggio verso Astrakhan a bordo di una nave, sulla quale si trovavano, in tutto, 52 persone che avevano con loro un intero arsenale di armi: più di 40 fucili e pistole. Ogni  notte due persone facevano da guardia. Già questo sta a dimostrare quanto fosse serio il problema. La situazione cominciò a cambiare soltanto nella seconda metà del XVIII secolo. 

Come lo Stato combatteva i malviventi

Il primo codice legislativo russo, la “Russkaja pravda” puniva il brigantaggio con pene severissime: tutti i beni del malvivente potevano essere sequestrati, mentre il delinquente, insieme alla sua famiglia, veniva giustiziato o venduto come servo della gleba. I briganti, che nella Rus’ si chiamavano “tati” (plurale di “tat’” — “тать”, cioè, ladro) comparvero molto prima che venisse creata la polizia regolare, e costituivano un grave problema.

Punizione con il knut, una grande frusta i cui colpi portavano spesso alla morte, incisione di Jean-Baptiste Le Prince, 1765

Le procedure per la schedatura e la ricerca dei malavitosi furono stabilite soltanto nel Sudebnik (codice) del 1497. In conformità con questo codice, i delinquenti incalliti, sulla base delle indagini svolte tra le popolazioni locali, venivano dichiarati “persone malvagie”, ossia “notoriamente malavitose”. 

“Torgovaja kazn” di Nikolaj Evreinov. La “Torgovaja kazn” era la punizione su pubblica piazza. Veniva detta anche “pena di morte nascosta”, perché le conseguenze delle frustate con il knut erano spesso fatali

Per combattere il banditismo, nel 1539 in Russia furono istituiti appositi uffici distrettuali (in russo – “guba”, губа), con a capo un podestà, che furono, in sostanza, i primi presidi di polizia. Tali uffici erano subordinati al Razbojnyj prikaz (antico ministero degli Interni). Tuttavia, queste misure erano poco efficienti contro la delinquenza.

La vita dei briganti

Nel 1724 Ivan Pososhkov, il primo economista russo, testimoniava: “I briganti da noi nella Rus’ sono tantissimi, ogni banda può comprendere non solo 10 o 20, ma anche 100 o, addirittura, 200 persone”. I malviventi raramente agivano da soli, di solito si costituivano in bande che avevano un capo (atamano), una loro gerarchia, e disponevano di mezzi di trasporto e di varie armi, comprese le armi da fuoco (fucili che toglievano ai soldati dell’esercito) e le armi pesanti (cannoni che smontavano dalle navi da loro assaltate). 

I criminali avevano dei loro rifugi (in gergo: “stan”, стан) sia in campagna che in città. Gestire un rifugio per i delinquenti era un reato a parte. Di questi gestori, che erano anche ricettatori, lo scienziato russo Mikhail Lomonosov scriveva: “Stanno normalmente nelle campagne, ma vengono spesso in città per vendere la refurtiva”. Lo scienziato ammetteva che “malgrado gli sforzi degli inquirenti, non c’è quasi nessuna speranza di poter sradicare o, almeno, circoscrivere questo male”. 

“L’evaso”, dipinto di Konstantin Savitskij, 1883

Ma perché i briganti continuavano a terrorizzare la popolazione russa persino alla metà del XVIII secolo? I primi reparti di polizia furono creati negli anni Trenta del Settecento e soltanto nelle grandi città. Anche l’esercito con i suoi ufficiali (tutti aristocratici), era di stanza in grandi città o partecipava alle guerre. Le autorità distrettuali avevano poche armi e pochi uomini (anche in questo caso le guarnigioni militari erano dislocate in città). Inoltre, ogni azione delle autorità locali doveva essere concordata con il potere centrale. I malviventi, invece, erano organizzati bene, conoscevano la località dove operavano ed erano abili combattenti, perché tra di loro c’erano sempre parecchi soldati che disertavano dall’esercito.

I mercanti che viaggiavano con le loro merci non potevano mai essere tranquilli, quando attraversavano una boscaglia o si inoltravano nella foresta. “Sull’orlo della strada, nei cespugli, un malfattore aspettava la sua preda, e come un orso affamato dalla tana, scrutava tetramente l’orizzonte”, così descrive la situazione, che poteva capitare a chiunque, il poeta russo Ivan Krylov. Ciascuno doveva provvedere da solo alla propria incolumità e alla sicurezza dei propri beni.

Come ci si difendeva dai banditi?

Nell’articolo “Come ci si difendeva dai briganti nel XVIII secolo”, lo storico Andrej Shipilov scrive che, all’epoca, ogni persona benestante aveva in casa un arsenale. Le tenute dei ricchi erano fortificate. Per esempio, la tenuta di Ranenburg (oggi Chaplygin) del principe Aleksandr Menshikov aveva un portone di accesso ed era circondata da un terrapieno con baluardi, sui quali erano installati dei cannoni. Si armavano anche le persone di rango inferiore. 

“Stepan Razin”, illustrazione di Ivan Bilibin, 1935. Stenka Razin fu la figura principale della rivolta cosacca del 1670 contro lo zar Alessio I Romanov

Shpilov riferisce che nel 1721 il principe Gagarin teneva nella sua casa nella regione di Tula  un fucile a canna liscia e una spada; nella casa del commissario Pashkov nel distretto di Kolomna, nel 1723, in soffitta furono trovati due pistole e due “cannoncini in ghisa”; un certo Losev, funzionario del distretto di Ruza, nei pressi di Mosca, aveva in casa “tre cannoni in ferro”. Le palle di cannone e la polvere da sparo si vendevano liberamente, pertanto chiunque poteva farsi un proprio arsenale. 

Il principe Grigorij Volkonskij, collaborare di Pietro il Grande e capo della fabbrica d’armi di Tula, aveva nella sua tenuta 14 cannoni in ghisa, 2 cannoni in “ferro rosso” e ben 16 affusti per cannoni, di cui 2 carrellati. Questo arsenale, tuttavia, non salvò il principe: fu giustiziato dallo zar per aver rubato dei soldi durante la costruzione della fabbrica.

Punto di guardia sul confine dello Stato di Moscovia, dipinto di Sergej Ivanov, 1907

Anche alla fine del XVIII secolo il brigantaggio restava un problema serio. Il poeta Mikhail Dmitriev (1796-1866) ricordava: “Ogni estate, quando il fogliame nella foresta si faceva fitto, ricomparivano i briganti. Mio nonno stava sempre all’erta: ogni anno, col venir della primavera, sulle pareti della sua casa di campagna venivano appesi fucili, borse con proiettili, sciabole e lance”.

Cannoni d’artiglieria. Illustrazione dal dizionario enciclopedico di Brockhaus ed Efron (1890-1907)

Quando i banditi si avvicinavano, i contadini accorrevano nella casa del proprietario terriero, i servi prendevano in mano le armi. Dmitriev fu testimone di un incontro di suo nonno con i malviventi: “Il nonno si è messo alla cintura un pugnale, ha ordinato di aprire la porta ed è uscito sulla soglia, aspettando i briganti. Questa volta, però, tutto è andato bene. I malviventi a cavallo, dodici persone armate fino ai denti, si sono avvicinati al recinto e hanno chiamato la sentinella, alla quale hanno detto: “Va’ a dire a Ivan Gavrilovich che l’allarme che ha suonato non ci spaventa, è solo che i nostri cavalli sono stanchi”. Lo stesso giorno, la stessa banda saccheggiò e bruciò un mulino vicino a Syzran.


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