Valentina Tereshkova (1937-), nata in una famiglia operaia, divenne eroina dell’Urss, quando, da sola, prima donna al mondo, volò nello Spazio nel 1963. Al termine della missione, le notizie ufficiali comunicarono che, dopo quasi tre giorni nello Spazio, la cosmonauta era in ottime condizioni di salute. Ma non era vero.
Secondo i dati telemetrici, Valentina Tereshkova non aveva sopportato molto bene il volo. Durante le comunicazioni con il centro di comando parlava con voce fioca; rimase quasi sempre immobile sulla sua poltrona, e vomitò più volte. Non riuscì a eseguire gli esperimenti programmati, non fece annotazioni nel giornale di bordo, e, addirittura, si addormentò nelle ore che non erano previste per il sonno.
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Ci fu anche un’altra emergenza su cui Valentina Tereshkova ha taciuto per trent’anni. Sbagliò a selezionare il programma di volo, e i sistemi automatici, anziché iniziare la preparazione all’atterraggio, attivarono i motori, che cominciarono a riportare la navicella ancora più in alto. Alla fine riuscì a correggere l’errore manualmente e a rientrare sulla Terra. Ma non era la fine dei problemi.
Una volta sulla Terra, violando tutti gli ordini, prima che arrivassero i soccorritori offrì agli abitanti del luogo dove era finita dei cibi in tubetto, destinati ai cosmonauti, e mangiò patate lesse e bevve del kvas.
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Sergej Koroljov (1907-1966), capo del programma spaziale sovietico, era furibondo. Avrebbe addirittura detto: “Finché sarò vivo io, mai più una donna andrà nello Spazio”.
Ma quello che aveva pesato di più era la convinzione che l’organismo femminile fosse meno adatto a resistere agli stress di un volo spaziale. Questa opinione rimase in voga fino al 1982, quando una seconda donna sovietica partì per lo Spazio: Svetlana Savitskaja.
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