Breve storia degli ebrei in Russia

Russia Beyond (Dominio pubblico; Sergej Pyatakov/Sputnik)
Come si formarono le prime comunità ebraiche sui territori russi? Perché a lungo ci fu una “Zona di residenza” obbligatoria e scoppiò il famigerato fenomeno dei pogrom? Come nacque la teoria del complotto della “Rivoluzione giudeo-bolscevica”, usata dai nazisti? Quanti ebrei sono emigrati in Israele e quanti ce ne sono oggi nella Federazione Russa?

Nonostante la sua posizione geografica molto lontana da Israele, la Russia è stata legata agli ebrei quasi dal momento della sua nascita. Quando il suo sovrano, il principe Vladimir, si trovò a dover scegliere una fede monoteistica per il suo popolo, nel X secolo, considerò anche l’ebraismo tra le varie confessioni. 

“Il Gran Principe Vladimir sceglie la fede”, dipinto del 1822 del pittore Ivan Eggink (1787−1867)

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Questo fatto dimostra che all’epoca i russi avevano già un contatto ravvicinato con gli ebrei. Nella “Cronaca degli anni passati” (circa 1116) si narra che, nella storia degli ebrei, a Vladimir tra le altre cose non piacque il fatto che erano stati cacciati dalla loro terra e dispersi in territori stranieri. Vicino ai russi viveva allora un antico popolo, quello dei Cazari (o Khazari), la cui élite si era convertita all’ebraismo. A questo fatto si associa anche l’ipotesi che tutti gli ebrei europei, gli Aschenaziti, non provengano da antenati israeliani, ma da popoli turchi seminomadi professanti l’ebraismo provenienti dal Gran Khanato di Khazaria, fuggiti in Europa dopo il crollo di questo Stato nel X secolo. Questa teoria, tuttavia, viene confutata con veemenza da molti storici israeliani.

Gli ebrei nell’antica Rus

Dopo l’espulsione degli ebrei da molti Stati europei nel XIV secolo, essi si insediarono nel territorio della Polonia e della Lituania, nonché dell’Ucraina e della Bielorussia moderne (all’epoca contigue con la Rus’). Ma per molto tempo non fu permesso loro di stabilirsi nelle terre russe.

Ivan il Terribile fu particolarmente rigido e vietò del tutto l’ingresso degli ebrei nel Paese. Ciò era dovuto principalmente al rifiuto religioso di persone di fede diversa. L’unico modo per entrare in Russia era convertirsi all’Ortodossia. In seguito, agli ex ebrei fu permesso di stabilirsi in Russia, ricevendo persino dei pagamenti per questo.

Gli ebrei nell’Impero russo

Durante il regno di Pietro il Grande, l’atteggiamento verso gli ebrei cambiò. Favorevole a tutto ciò che era estraneo alla tradizione russa, lo zar avvicinò persino alcuni ebrei polacchi, concedendo loro importanti incarichi governativi. Ad esempio, il barone Pjotr Shafirov fu un importante diplomatico (fondamentale anche per comunicare con il re polacco) e capo dell’intero sistema postale russo.

Subito dopo la morte di Pietro, tuttavia, tornò l’atteggiamento negativo nei confronti degli ebrei. La vedova dello zar, la nuova imperatrice Caterina I, li espulse dal Paese. La figlia di Pietro, Elisabetta, continuò questa politica. Nonostante il Senato l’avesse convinta, per ragioni economiche, a far accedere almeno temporaneamente i mercanti ebrei alle fiere, il suo decreto sull’“espulsione dei giudei” conteneva la seguente frase: “Dai nemici di Cristo non voglio profitti”.

“Ebrei ad Odessa” (allora parte dell’Impero Russo), 1876

La Russia ebbe una sua significativa popolazione ebraica alla fine del XVIII secolo, quando l’Impero iniziò a comprendere parti della Polonia (dove viveva un numero significativo di ebrei aschenaziti) e della Crimea, dove gli ebrei di Crimea, krymchak e caraiti (popolazioni locali che avevano adottato l’ebraismo), vivevano da tempi remoti. Per un breve periodo Caterina II permise agli intraprendenti ebrei polacchi di vivere anche in città diverse, di commerciare, di dedicarsi all’artigianato e all’usura.

Tuttavia, ben presto la vicinanza di una popolazione ebraica, anche piccola, provocò l’estremo risentimento dei russi. Gli ebrei non volevano assimilarsi, erano molto religiosi (l’ebraismo praticato spaventava gli ortodossi) o semplicemente irritavano i concorrenti con il loro successo senza precedenti nel commercio. Gli ebrei venivano additati come sfruttatori di manodopera salariata e incolpati della condizione di tutti gli altri.

La “Zona di residenza”

Mappa della Russia occidentale che mostra la cosiddetta “Zona di residenza” ebraica (dall'Enciclopedia Ebraica), 1901

Nel 1791, Caterina II emanò un decreto secondo il quale gli ebrei potevano risiedere solo in un determinato territorio nel sud-ovest dell’Impero Russo, dove vivevano quando entrarono a far parte dell’Impero. Si trattava dei territori delle attuali Polonia, Lituania, Lettonia, Bielorussia, Ucraina e Moldavia.

Questo territorio venne chiamato “Chertá osédlosti” e in italiano è noto come “Zona di residenza”. Una parte significativa degli ebrei parlava yiddish e viveva nelle “mestechki”, città per i “meshchanin”, cioè la classe piccolo borghese, fatta di commercianti e artigiani. Così, ad esempio, la mestechka di Brody, in Polonia (oggi in Ucraina), diede il cognome a molti ebrei: Brodskij (cioè “di Brody”). Anche il grande poeta russo e premio Nobel Iosif Brodskij (spesso noto con la versione anglicizzata Joseph Brodsky) portava questo cognome.

“Divorzio”, opera del 1907 del pittore ebreo russo Yehuda Pen (1854-1937), da una serie di dipinti sulla vita nella “Zona di residenza”

Di conseguenza, alla fine del XIX secolo, in Russia vivevano circa 5 milioni di ebrei, che costituivano il quinto gruppo etnoreligioso del Paese: quasi tutti vivevano nella Zona di residenza ed erano limitati nei loro diritti. Allo stesso tempo, gli ebrei avevano un alto tasso di natalità e condizioni di vita relativamente buone. Se nel primo quarto del XIX secolo nell’Impero russo viveva circa la metà dell’intera popolazione ebraica del mondo, alla fine del XIX secolo in Russia questa cifra raggiungeva l’80% (queste cifre sono riportate dallo storico israeliano Shlomo Zand nel suo libro).

Era possibile, ma molto difficile, uscire dalla Zona di residenza. Bisognava diventare un mercante della prima corporazione, ottenere un’istruzione superiore, prestare servizio nell’esercito o essere assegnati a una determinata bottega artigianale. Gradualmente l’elenco delle professioni che potevano stabilirsi al di fuori della Zona (medici, farmacisti…) aumentò. Ma l’ammissione degli ebrei alle scuole e alle varie istituzioni educative universitarie restò complicata.

Le regole erano un po’ più clementi per gli “ebrei di Bukhara e delle montagne”, quelli cioè che vivevano nel Caucaso e in Asia centrale, territori annessi all’Impero più tardi rispetto alla nascita della Zona di residenza.

Ritratto di ebreo, dalla serie “Tipi di nazionalità dell’Asia centrale”, 1876

A Mosca, per molto tempo agli ebrei fu permesso di stabilirsi solo in un determinato luogo (il sobborgo Glebovskij, dove alla fine del XIX secolo apparve la prima sinagoga).

Allo stesso tempo, agli ebrei convertiti al cristianesimo furono concessi tutti i diritti degli altri sudditi.

Liberalizzazione e rafforzamento della questione ebraica

La politica delle autorità nei confronti degli ebrei cambiò più volte. Fu più liberale sotto Alessandro I, che esentò persino gli ebrei delle nuove terre acquisite dalla coscrizione. Anche lo zar Alessandro II, “il Liberatore”, ammorbidì un po’ le leggi. Ad esempio, permise alle congregazioni di costruire sinagoghe al di fuori della Zona di residenza, e così le case di preghiera spuntarono letteralmente come funghi in molte città, tra quelle della Russia centrale, Mosca e San Pietroburgo, ma anche in Siberia, dove vivevano molti esuli ed ex detenuti di religione ebraica.

Ebrei chiacchierano di fronte a un negozio, circa 1916

Sotto Alessandro II, molti ebrei ottennero grandi successi. I banchieri Ginzburg, ad esempio, divennero noti in tutto il Paese e ottennero persino una baronia. Ci furono anche grandi industriali ebrei, come i magnati dello zucchero Brodskij.

Già dalla fine del XIX secolo, gli ebrei si erano integrati attivamente nella vita culturale del Paese e molti famosi artisti, musicisti e altri personaggi di spicco erano ebrei. Ad esempio, il pittore Isaak Levitan entrò nella Scuola di pittura, scultura e architettura di Mosca, e per il suo talento fu addirittura esentato dalle tasse scolastiche. Levitan ottenne un incredibile successo nella pittura realistica del paesaggio russo. 

“Sopra l’eterna pace”, dipinto del 1894 di Isaac Levitan (1860-1900)

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Anche lo scultore Mark Antokolskij e il pianista Anton Rubinshtejn erano molto conosciuti. E a cavallo tra il XIX e il XX secolo, erano già decine i nomi di ebrei celebri, tra cui l’artista Marc Chagall e la ballerina Ida Rubinshtejn. Più tardi, nel XX secolo, si formò un’intera pleiade di scrittori ebrei: Isaac Babel, Ilja Ilf, Osip Mandelshtam, Vasilij Grossman, Joseph Brodsky, Mikhail Zhvanetskij. Questi erano tutti rappresentanti della cultura russa, mentre lo scrittore Sholom-Alejkhem, proveniente da un villaggio ucraino, divenne il fondatore della letteratura yiddish. Tra l’altro, Alisa Rozenbaum, meglio conosciuta come Ayn Rand, la scrittrice americana autrice del romanzo “La rivolta di Atlante” e filosofa dell’“oggettivismo”, è nata nella famiglia di un farmacista ebreo di San Pietroburgo.

Joseph Brodsky (1940-1996),  poeta, saggista e drammaturgo russo naturalizzato statunitense, Premio Nobel per la letteratura nel 1987

Nello stesso periodo, molti ebrei facevano già parte della gioventù rivoluzionaria, compresi quelli dell’organizzazione Narodnaja Volja, che fu all’origine dell’assassinio di Alessandro II nel 1881.

Sotto lo zar reazionario Alessandro III, la politica nei confronti degli ebrei si inasprì e si verificarono vari pogrom ebraici, sui quali le autorità chiusero di fatto un occhio. Si ritiene che lo zar fosse antisemita. Alcune sinagoghe già costruite furono chiuse e fu vietata la costruzione di nuove. Ancora una volta la Zona di residenza fu rafforzata.

La politica nei confronti degli ebrei non fu ammorbidita da Nicola II, salito al trono nel 1894. A causa della crescente frequenza dei pogrom, gli ebrei iniziarono a emigrare in massa. Così, nel 1903, Golda Meir, l’unico futuro Primo Ministro donna di Israele e una delle fondatrici dello Stato ebraico, lasciò l’Impero russo con i suoi genitori. Era originaria di Kiev e a suo padre era stato persino concesso il diritto di stabilirsi al di fuori della Zona di residenza.

La teoria del complotto della “Rivoluzione giudeo-bolscevica”

Tra i protagonisti della Rivoluzione russa c’erano molti giovani ebrei che nel cambiamento totale del sistema politico cercavano un riscatto e una liberazione. Tra i leader e i nomi importanti della Rivoluzione c’erano molti ebrei, tra cui Lev Trotskij (vero cognome Bronshtejn), Grigorij Zinovjev (Apfelbaum), Lev Kamenev (Rosenfeld) e Jakov Sverdlov.

Lev Trotskij (1879-1940) nel 1918, quando era ancora uno dei più importanti leader bolscevichi e candidati alla successione di Lenin

Il gran numero ebrei tra le fila dei rivoluzionari ha contribuito alla nascita della teoria del “complotto comunista ebraico”, che in seguito sarebbe stato molto utilizzato dai propagandisti nazisti che identificavano il bolscevismo e il comunismo con gli ebrei.

La Rivoluzione del 1917 e il potere sovietico permisero agli ebrei non solo di stabilirsi ovunque volessero, ma anche di occupare per la prima volta importanti posizioni governative, di ricevere un’istruzione e di esercitare qualsiasi professione. Allo stesso tempo, ciò provocò una ondata di antisemitismo tra gli oppositori della Rivoluzione. Ad esempio, è nota l’ardente giudeofobia del generale bianco Denikin, che di fatto favorì i pogrom nella Russia meridionale. Inoltre, mentre prima l’antisemitismo era più di natura religiosa, ora prese un carattere socioeconomico (i detrattori sostenevano che gli ebrei vivessero meglio degli altri e a spese degli altri).

Stalin perseguì una rigorosa politica etnica, reinsediando i vari popoli dell’Urss, compresi gli ebrei. Progettò di creare una “Terra promessa” sovietica in Estremo Oriente, e nacque così la Regione autonoma ebraica, che oggi è una delle entità costitutive della Federazione Russa, con capoluogo Birobidzhan. Tuttavia, il progetto fallì: poche persone volevano volontariamente andare in una regione così remota e dal clima rigido.

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Si ritiene che sotto Stalin ci sia stato anche un nuovo ciclo di antisemitismo di Stato, con il cosiddetto “Complotto dei medici”, che furono arrestati e messi sotto processo per il presunto avvelenamento deliberato di alcuni leader comunisti. Iniziata nell’ottobre del 1952 e bruscamente terminata con la morte di Stalin nel marzo del 1953, questa campagna è spesso indicata come l’ultimo “complotto ebraico”. 

Gli ebrei sovietici

Il rabbino Jakov Fishman durante il Rosh haShanah (capodanno civile)nella Sinagoga Corale di Mosca, 27 settembre 1973

In Urss l’ebraismo fu combattuto con la stessa ferocia delle altre religioni: le sinagoghe furono chiuse come le chiese ortodosse, le moschee, i templi buddisti e gli altri luoghi sacri, e i locali furono adibiti a magazzini, officine, o, nel migliore dei casi, a centri culturali.

Al momento dell’attacco della Germania nazista, con l’inizio dell’Operazione Barbarossa il 22 giugno 1941, l’Urss aveva ancora il maggior numero di ebrei al mondo: quasi 5 milioni di residenti permanenti e fino a mezzo milione di rifugiati. Dopo la guerra, ne rimase meno della metà. Alcuni furono uccisi, altri si trasferirono in altri Stati o scelsero di andare in Israele

Molti ebrei sovietici divennero atei e ruppero con la tradizione religiosa. Con l’inizio del Disgelo negli anni Sessanta, molti ebrei dell’Urss cominciarono a sentirsi svantaggiati. La parola “ebreo” nella sezione “nazionalità” del passaporto sovietico era quasi uno stigma,  e molti ebrei erano tacitamente esclusi dall’istruzione universitaria e dall’avanzamento di carriera. Per questo molti iniziarono a nascondere le proprie origini e persino a falsificare i documenti. Fu soprattutto per questo motivo, che, in seguito, molti ebbero problemi con il rimpatrio in Israele, per la mancanza di documenti adeguati che provassero le loro origini.

Saluto a coloro che partono per Israele all‘aeroporto Sheremetjevo di Mosca, anni Settanta

In ogni caso si ebbe un esodo di massa degli ebrei verso Israele a partire dagli anni Settanta e soprattutto durante la Perestrojka. Circa 600 mila ebrei emigrarono dall’Urss. E la popolazione dell’odierna Israele è composta per oltre un quarto da nativi dell’Urss e parla russo.

Gli ebrei nella Russia moderna

Oggi, secondo il censimento russo del 2020, in Russia ci sono più di 82 mila persone che si definiscono ebree (la finca della “nazionalità” sul passaporto è stata cancellata da tempo).

I credenti partecipano a una funzione serale presso la Grande Sinagoga Corale in occasione del Giorno della salvezza e della liberazione degli ebrei europei dai nazisti, 2021

Secondo la Federazione delle comunità ebraiche della Russia, in più di 100 città russe ci sono comunità ebraiche, 45 città hanno anche un proprio rabbino. In tutto il Paese ci sono più di 30 ristoranti e negozi kosher, oltre a numerose scuole ebraiche, case editrici, mass media e librerie specializzate.

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