“Per me è Dio”, ha detto Lars von Trier a proposito del regista russo Andrej Tarkovskij (1932-1986). In un’intervista rilasciata a “Time Out London”, von Trier ha ammesso di aver visto il film di Tarkovskij del 1975, “Lo specchio”, venti volte. Recentemente, quattro dei film di Tarkovskij sono stati inclusi nella lista della BBC dei 100 migliori film in lingua straniera di tutti i tempi.
La bellezza e il silenzio filosofico dell’opera di Tarkovskij è di ispirazione ancora oggi per registi acclamati, da von Trier ad Andrej Zvjagintsev, così come per registi emergenti.
Cineasta tra i più visionari, celebrati e influenti del mondo, Tarkovskij, scomparso all’età di 54 anni, ha realizzato solo sette lungometraggi. Tutti sono esplorazioni metafisiche e spirituali dell’umanità e ogni film è riconosciuto in giro per il mondo come un capolavoro artistico.
Questo è il primo lungometraggio di Tarkovskij. Ivan, dodicenne, rimasto orfano perché i genitori sono stati uccisi dalle truppe d’invasione di Hitler, diventa esploratore dell’esercito sovietico e rischia la vita scivolando tra il fango delle prime linee.
Il film rese famoso Tarkovskij in Occidente, grazie al Leone d’oro vinto al Festival del cinema di Venezia (ex aequo con “Cronaca familiare” di Valerio Zurlini).
Il successivo film di Tarkovskij è un esempio dell’avanzamento della sua tecnica. Il film a episodi mostra otto momenti della vita di Andrej Rublev, il più famoso pittore di icone russo del XV secolo. Il film è stato interpretato da molti come un’allegoria della condizione dell’artista sotto il regime sovietico e di conseguenza non è stato diffuso in Russia per un certo numero di anni.
Tarkovskij ebbe ancora più successo dopo aver adattato per il grande schermo il romanzo di fantascienza “Solaris’ dello scrittore polacco Stanisław Lem. Questa storia parla di uno scienziato inviato a investigare su eventi misteriosi su una stazione spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris. All’arrivo sulla stazione trova sua moglie, morta dieci anni prima, ancora viva e cerca di ucciderla, ma, come nello snervante classico della fantascienza da cui è tratto, lei continua a tornare.
“Lo specchio” è indiscutibilmente il film chiave nel canone espressivo di Tarkovskij e quello che avvicina di più il cinema alla poesia. I ricordi frammentari del poeta morente Aleksej formano questo ossessivo sogno autobiografico ad occhi aperti, che si intreccia con poesie del padre di Tarkovskij, Arsenij, un rispettato paroliere dell’epoca sovietica. L’approccio caleidoscopico del film non offre una narrativa diretta e combina incidenti, sogni e ricordi con filmati di cinegiornali.
L’altro film di fantascienza di Tarkovskij è stato il suo ultimo lavoro realizzato in Russia prima di emigrare in Italia. È basato sul romanzo “Picnic sul ciglio della strada” dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. In un mondo immaginario, il protagonista, Stalker, guadagna soldi guidando tour illegali nella “Zona”. Questa è un’area molto rischiosa che contiene una stanza che realizza i desideri più intimi di chi la visita. Secondo la trama, Stalker parte con un intellettuale e uno scienziato, rispettivamente chiamati “lo scrittore” e “il professore. I percorsi attraverso l’area desolata – tanto uno stato d’animo quanto un luogo – possono essere percepiti, non visti, in questo labirinto metafisico.
Nei primi anni Ottanta, Tarkovskij lasciò la Russia per sempre. La sua carriera cinematografica proseguì in Italia dove realizzò il documentario televisivo “Tempo di viaggi”, seguito dal film “Nostalghia”, scritto in collaborazione con l’illustre sceneggiatore italiano Tonino Guerra. In Nostalghia uno scrittore russo visita la Toscana con il suo traduttore, sulle tracce di un compositore russo suicida del XVIII secolo. La nostalgia e la disperazione lo colpiscono, fino a quando incontra Domenico, un pazzo, che lo convince a svolgere un compito, camminare con una candela accesa da un’estremità di una piscina termale all’altra, al fine di “salvare il mondo”. La scena, una delle più celebri del cinema russo, è stata girata a Bagno Vignoni, in provincia di Siena.
Quando Tarkovskij iniziò a lavorare al suo successivo e ultimo film, sapeva di essere gravemente malato di cancro. “Sacrificio”, una produzione svedese, è un’allegoria del sacrificio di sé, in cui un uomo, interpretato da Erland Josephson, rinuncia a tutto ciò che gli è caro per evitare una catastrofe nucleare. L’uso di Josephson e del direttore della fotografia Sven Nykvist, entrambi noti per le loro collaborazioni con Ingmar Bergman, indicano l’influenza del regista svedese, uno dei pochi autori che Tarkovskij ha davvero ammirato.
Dieci film che sono la summa del cinema russo
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