Fonte: Ilyas Hajji
Sebbene Makhachkalà, la capitale della Repubblica del Daghestan (considerata la più pericolosa tra le regioni russe), finisca spesso sui giornali per ragioni non buone, la gente del posto cerca di restare aggrappata a una vita di pace e di armonia. E come potrebbe essere diversamente, quando il Mar Caspio è a un tiro di schioppo, il sole splende per oltre 310 giorni all’anno, e delle stupende montagne si stagliano all’orizzonte? “Qui, circondati da cascate e con le aquile che ti girano sulla testa, tutto sembra possibile e impossibile allo stesso tempo”, ha scritto Jamie Rann del Calvert Journal.
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Più della metà del territorio della Repubblica del Daghestan (che in totale si estende per 50 mila chilometri quadrati, come Piemonte e Lombardia messe assieme) è coperta di montagne, canyon e gole. Il Daghestan confina con l’Azerbaigian a sud, con la Georgia a sudovest, con la Repubblica di Cecenia a ovest, con la Repubblica di Calmucchia e la regione di Stavropol a nord.
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La città di Derbent, con la cittadella Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, è una delle più antiche al mondo, ed è passata di mano più volte: è stata persiana (è stata probabilmente fondata attorno al V secolo avanti Cristo su insediamenti preesistenti), poi colonizzata dai primi cristiani, quindi presa dai Cazari, dai Tatari mongoli, dal Califfato arabo e infine dagli zar russi. Il Daghestan sforna campioni mondiali e olimpionici di lotta libera, e il conservatorismo estremo delle tradizioni fa sì che le donne e le minoranze qui siano ancora ben lontane dalla parità di diritti. È una terra ricca di contraddizioni, in cui si balla la danza Lezginka con passione e gioia, e dove ai funerali piangono ancora le prefiche.
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Le autorità americane ed europee mettono in guardia i loro cittadini dal viaggiare nel Caucaso settentrionale. Il Ministero degli Esteri italiano, “sconsiglia” i viaggi in Daghestan, in quanto “area interessata da ricorrenti azioni di gruppi armati, scontri a fuoco con le Forze dell’Ordine e atti terroristici.” Mentre molti turisti, timidamente chiedono sui forum della Lonely Planet se la zona sia sicura o no. I viaggiatori in Daghestan sono di per se stessi un’attrazione turistica. Le città sono spesso dei grandi villaggi dove tutti si conoscono e dove il forestiero viene immediatamente individuato. Ma normalmente non c’è ostilità nei confronti del nuovo venuto, solo tanta curiosità iniziale, prima che la gente del posto, dopo qualche domanda, torni alle sue occupazioni.
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La capitale Makhachkalà, mezzo milione di abitanti, è una città giovane del Caucaso settentrionale: ha appena 160 anni. Per le sue strade potrete sentir parlare in àvaro, mescolato al nogai, al lesgo e a una delle altre undici lingue ufficialmente riconosciute. Un tour in centro vi farà entrare a contatto con le diverse culture e i diversi idiomi che qui convivono. Ci sono teatri con spettacoli in molte lingue nazionali, per esempio il Teatro cumucco, quelle lak e quello dargwa.
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Ma l’attrazione principale della città è la sorella più giovane della Moschea Blu di Istanbul, la Moschea Dzhuma di Makhachkalà, che può contenere fino a 17 mila fedeli. “Ogni venerdì l’afflusso e il deflusso per la preghiera crea un infinito fiume di persone e altrettanto infiniti ingorghi. Allo stesso tempo, in città, come in una riserva naturalistica, è sopravvissuto, come per miracolo, il fenotipo dell’intellettuale sovietico degli anni Ottanta”, racconta Vladimir Sevrinovskij, guida e grande esperto di Caucaso.
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Anche se il 90 per cento degli abitanti di Makhachkalà è musulmano, in città ci sono chiese ortodosse e una sinagoga ebraica. Donne coperte da capo a piedi in indumenti tradizionali camminano per le strade insieme ad altre con stili molto diversi. “Per i visitatori di Makhachkalà non esiste un codice di abbigliamento: coprire la testa e indossare una lunga gonna è obbligatorio solo se si intende visitare una moschea. Ma tenete presente che il Daghestan ha un clima molto caldo, e se usate vestiti troppo scollati potreste subire scottature solari”, avverte la guida Jana Martirosova. Makhachkalà è una delle prime cinque città più calde della Russia, con una temperatura media estiva sui 30 gradi.
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Dopo mezzogiorno, le spiagge di Makhachkalà si animano: oltre a nuotare e rilassarsi al sole, la gente gioca a domino e fa affari. “Non abbiamo avuto problemi. Le persone sono tranquille, non c’è traffico, musica a tutto volume o gruppi di gente ubriaca”, dice il viaggiatore Sergej Kudrjashov, che è venuto qui in vacanza con la sua famiglia. A Makhachkalà c’è una speciale spiaggia chiusa riservata alle donne (nota come Gorjanka), ma molte donne preferiscono la normale spiaggia della città.
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L’esperto di cultura caucasica Vladimir Sevrinovskij afferma che la struttura sproporzionata della moderna Machachkalà avrebbe impressionato gli artisti d’avanguardia “che amavano ritrarre un orecchio là dove dovrebbe esserci un naso”. Makhachkalà non è sempre stata questo insieme di centri commerciali, strutture abusive e automobili parcheggiate come capita: un terremoto nel 1970 ha parzialmente distrutto la città, e dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la crisi economica e l’emigrazione di massa hanno notevolmente alterato il suo aspetto.
“Negli ultimi vent’anni la popolazione qui è cambiata significativamente, e con essa l’intera cultura urbana”, scrivono le giornaliste locali Polina Sanajeva e Svetlana Anokhina. Il loro nuovo libro, “C’era una tale città: Makhachkalà”, illustra come è cambiata la vita urbana. È una specie di album familiare che mette assieme 1.500 foto con le memorie di 83 residenti. Negli anni Novanta, le difficoltà economiche e il conflitto armato hanno costretto molte persone ad andarsene, in particolare l’intellighenzia cittadina. Questi abitanti furono sostituiti da altri provenienti dai più retrivi villaggi di montagna. “Oggi Makhachkalà ha un’identità culturale diversa. Pochi appartenenti alla vecchia popolazione sono rimasti, e i nuovi venuti hanno un altro stile di vita”, dice un residente, Magomedrasul Magomedov.
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“Il centro della città attorno al Parlamento e all’Università ha posti dove si può passeggiare in pace e il Mar Caspio è proprio dietro l’angolo. Il mercato centrale di Makhachkalà è il più grande mercato all’aperto che ho visto in tutta la Russia. A parte questo, provate gli shawerma di agnello (una specie di kebab, ndr), nella zona della stazione settentrionale degli autobus”, ha scritto il viaggiatore SohoInOC su Reddit. L’agnello del Daghestan è una delizia regionale e viene regolarmente consegnato anche ai ristoranti di Mosca.
Ma la gente non ha voglia di consumare shish kebab ogni giorno, e così le persone riempiono i tanti caffè che servono cibi locali e vari tipi di khinkali (una specie di tortelloni) daghestani, che ogni gruppo etnico qui cucina in modo unico, completamente diverso dai khinkali georgiani. “La questione di quale gruppo etnico abbia inventato un particolare tipo di khinkali o di chudu ripieni può provocare accesi litigi tra la popolazione locale”, spiega la guida Jana Martirosova. Ma il cibo non è l’unica questione che divide: la città ha una sua squadra di calcio, l’FC Anzhì (ci hanno giocato anche gli ex interisti Roberto Carlos e Samuel Eto’o e altre stelle internazionali), e gli scontri con i tifosi di squadre avversarie non sono rari.
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