Così Pietro il Grande salvò le donne russe dai cosmetici tossici e impose loro gli abiti tedeschi

Kira Lisitskaya (Foto: Global Look Press, Unsplash, Wikipedia)
Prima dell’epoca imperiale, le nobildonne russe usavano trucchi contenenti sostanze molto pericolose per la salute. Con il primo imperatore le cose cambiarono, nel maquillage e nel guardaroba

Nel 1689, il diplomatico francese Foix de la Neufville scrisse che la moglie di Andrej Artamonovich Matveev, Anna (nome da nubile Anichkova), che viveva in Russia, era, era “l’unica donna in questo Paese che non usa la biacca e non si imbelletta mai, e per questo è abbastanza carina”. Mentre le donne di altre nobili famiglie russe continuavano a scurire le sopracciglia con antimonio e sbiancare il viso, la moglie di Matveev brillava della sua bellezza naturale.

Ritratto della zarina Natalja Kirillovna Naryshkina risalente alla fine XVIII-prima metà del XIX secolo

Andrej Matveev era figlio del boiardo Artamon Matveev (1625-1682), capo del governo sotto Alessio Mikhailovich e “primo russo europeo”. La casa di Matveev era arredata con mobili e quadri stranieri, e sua moglie era una scozzese, Evdokia Hamilton. Un discendente di una tale famiglia poteva permettere alla moglie di comportarsi “alla europea”.

Artamon Matveev era il proprietario della casa in cui era cresciuta Natalja Naryshkina, la madre di Pietro il Grande. In seguito, la zarina Natalja fece molte cose che per la società russa furono una novità assoluta: frequentava il teatro, ballava, girava in carrozza aperta piuttosto che in “vozok” (slitta con abitacolo che riparava dal freddo).

Ritratto della zarina Natalja Alekseevna del pittore Ivan Nikitin (ca. 1680-1742) risalente al 1714-1715

Il figlio di Natalja Naryshkina, lo zar Pietro I (poi passato alla storia come Pietro il Grande), detestava le tradizioni della Moscovia con le sue nobildonne truccate come bambole, che camminavano goffamente nei loro abiti che toccavano la terra. Gli piacevano molto di più le bellezze europee con vestiti scollati, pertanto varò le riforme anche in questo campo.

“Il sesso femminile è tenuto a mettersi abiti tedeschi”

Già ai tempi dello zar Alessio Mikhajlovich, e poi con Fjodor III (rispettivamente, padre e fratellastro di Pietro I), la moda europea era arrivata in Russia. I cambiamenti, però, riguardavano soltanto la moda maschile, mentre il costume femminile rimaneva rigorosamente tradizionale e molto simile a quello degli uomini: indumenti a strati, un abito lunghissimo, un cappotto con pelliccia interna e decorazioni di pelliccia sul bavero e sulle maniche.

“Serata di gala ai tempi di Pietro il Grande”, ritratto di Stanisław Chlebowski

Le donne si potevano distinguere facilmente soltanto per il loro trucco pesante: la biacca (bianco di piombo) veniva applicata sul viso a strati e poi veniva corretta con un apposito raschietto. La cosa non piaceva non solo agli “europei russi” e “russi europei”, come la signora Hamilton o lo stesso Pietro I. Persino l’arciprete Avvakum scrisse: “Talune donne deturpano il loro viso, mettendovi tanti colori – nero, bianco, blu, che alla fine assomigliano alla bestia abominevole che si chiama scimmia”.

Pietro I iniziò a riformare il costume russo alcuni giorni dopo il suo ritorno dall’Europa (dove si era recato con una missione diplomatica, entrata nella storia come “Grande ambasciata” o “Grande ambasceria”) e giusto nei giorni in cui venivano giustiziati gli strelizzi. Il 29 agosto 1698 uscì il suo editto “Sull’obbligo di indossare abiti di taglio tedesco e di radersi la barba e i baffi”. Perché lo fece, mentre veniva eseguita la pena di morte, inflitta alle guardie insorte? Probabilmente, per dimostrare che i vecchi tempi erano finiti per sempre.

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Altre leggi che riguardavano la moda furono varate nel 1700, 1701 e 1705. A Mosca furono esposti dei manichini, vestiti con abiti europei, affinché tutti potessero capire come dovevano vestirsi. Nelle città, le persone sorprese con vestiti “sbagliati” dovevano pagare una multa abbastanza salata: 40 copeche coloro che si spostavano a piedi e 2 rubli quelli che viaggiavano a cavallo (per un raffronto, all’epoca, 16 chili di carne costavano 30-40 copeche). Relativamente alle donne, la legge specificava: “Il sesso femminile di tutti i ranghi è tenuto a indossare abiti di taglio tedesco”.

Malgrado le proteste e alcune rivolte, la moda tedesca si affermò. Nel 1717, furono istituite le assemblee (feste dei nobili), nel corso delle quali Pietro I e sua moglie Ekaterina mostravano ai sudditi come dovevano vestirsi, ballare e divertirsi. In che modo, però, tutto ciò incise sull’uso dei cosmetici?

“Poteva essere scambiata per un’attrice itinerante”

La moda tedesca dei primi del Settecento presumeva maniche più corte, una scollatura davanti e dietro e, certamente, determinati tipi di pettinatura e di copricapo. Tutto ciò era incompatibile con il trucco, praticato dalle donne del Seicento, perché sbiancare non solo il viso, ma anche il petto e le braccia, sarebbe costato troppo. Inoltre, il trucco pesante impediva di ridere e di ballare, tanto più che in precedenza le mogli e le figlie dei boiardi non l’avevano mai fatto in pubblico. 

“Gran ballo”, fermo immagine dal film del 2006 “Marie Antoinette”, diretto da Sofia Coppola

Quando la danza divenne un intrattenimento pubblico e parte dell’educazione dei nobili, cambiò anche il passo delle donne russe. Nella Rus’ antica la donna doveva muoversi a passi corti: i suoi piedi erano celati dall’orlo dell’abito e quando camminava sembrava che fosse trascinata da una corrente, mentre il suo corpo restava immobile. Al contrario, le bellezze del XVIII secolo,  con le loro braccia nude e la schiena scoperta, non stavano mai ferme, ora flirtando, ora ridendo o ballando. I capelli, che in precedenza le donne nascondevano, considerandoli parte della loro nudità, con la nuova moda diventarono un materiale con cui sperimentare pettinature bizzarre e base su cui mettere stravaganti parrucche e copricapi.

Naturalmente, all’inizio alle donne mancava il gusto. Mancavano però anche i sarti abili. Soltanto negli anni 1710-1720 gli stranieri cominciarono a insegnare ai sarti russi le tecniche per creare nuovi modelli, e i risultati all’inizio erano quello che erano, pertanto, in Europa, persino la coppia reale della Russia poteva sembrare ridicola. In un suo articolo sulle riforme di Pietro I nel campo della moda, la storiografa Irina Klimovitskaja cita la margravia Guglielmina di Prussia, che incontrò Pietro I e la zarina durante la loro visita a Berlino nel 1719. “L’abito che indossava, con ogni probabilità, era stato comprato alle bancarelle di un mercato. Era di modello antiquato e tutto rifinito con argento e lustrini. Da come era vestita, poteva essere scambiata per un’attrice itinerante tedesca”, scrisse la prussiana dal gusto impeccabile.

“Come una vera russa” 

Passarono altri venti trent’anni prima che le donne russe potessero competere con le loro rivali europee. Alla metà del XVIII secolo la biacca fu soppiantata dalla moda del colorito naturale, per mantenere il quale si usavano vari rimedi.

“Ritratto della giovane Elisabetta” realizzato da Ivan Nikitin, anni Venti del Settecento

Il viso veniva lavato con latte fresco, succo di cetriolo e decotto di fiordalisi per garantirne la bianchezza. La pelle veniva trattata con grasso di lupo, creme a base di tuorlo d’uovo e oli estratti dalle spighe di grano. 

L’imperatrice Caterina II ricordava di quando, da giovane, aveva dei punti neri e parecchi brufoli sul viso, e fu aiutata dal medico della corte: “Dalla sua tasca egli estrasse una boccetta di olio di talco e mi disse di versarne una goccia in un bicchiere d’acqua e con questo umettarmi il viso di tanto in tanto, per esempio, ogni settimana. L’olio di talco, in effetti, ripulì il mio viso e 10 giorni dopo potevo già uscire”. Si usavano anche le polveri di alcuni tipi di spugne, che venivano strofinate sul viso per ravvivare il colorito.

Tuttavia, il rimedio più diffuso per dar freschezza al viso e al corpo, usato da tutte le donne, dalle contadine alle zarine, era strofinarsi con la neve e il ghiaccio. Per le contadine era naturale, perché d’inverno si lavavano regolarmente alla banja (il bagno a vapore russo) e poi si tuffavano nel fiume o nel lago (per questo nel ghiaccio veniva praticato un buco), o dentro un cumulo di neve. Iniziarono a fare altrettanto anche le nobili. Adrian Gribovskij, segretario di Caterina II, riferiva che quando le veniva messa la cuffia, l’imperatrice strofinava il suo viso con un pezzo di ghiaccio.

L’irlandese Martha Wilmot, che visitò la Russia ai tempi di Caterina II, scrisse in seguito: “Ogni mattina mi portano una piastrina di ghiaccio dello spessore del vetro di un bicchiere, e io, come una vera russa, la strofino sulle guance, il che, come mi viene assicurato, farà bene alla mia carnagione”.

Martha Wilmot, scrittrice e viaggiatrice irlandese

Si usavano anche il belletto e la cipria, solo che adesso si producevano secondo le ricette europee e non più con piombo e mercurio. All’epoca di Caterina II, in Russia c’erano 4 fabbriche di cipria e 5 che producevano il belletto. Si potevano comprare anche dei cosmetici importati dall’estero. I prezzi, però, erano elevati. Un vasetto di belletto costava 80 copeche, quando per un pranzo in un’osteria ne bastavano10-12. Tuttavia, come scrive la ricercatrice Maria Bogdanova, “Truccarsi come si truccavano le bisnonne, per la donna dell’epoca nuova era impensabile e ridicolo. La scelta dei cosmetici adesso era più ampia. Il belletto si offriva in diverse tonalità, dallo scarlatto al rosa pallido, pertanto la donna poteva trovare quello che si abbinava meglio ai nastri nei suoi cappelli o al suo vestito”.

Alla fine del XVIII secolo in Russia divennero popolari i libri e le riviste di moda, che inizialmente venivano tradotti da altre lingue. Queste edizioni contenevano numerosi consigli, di cui le donne russe si servivano su ampia scala, su come preparare in casa ciprie, creme e lozioni. All’inizio del XIX secolo il trucco vistoso rimase solo un ricordo. Tornò di moda l’aspetto naturale del viso, soltanto leggermente incipriato, e il colore più ambito era quello della carnagione naturale.

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