Come si facevano belle le russe? Il maquillage dell’antichità a base di mercurio, piombo e arsenico

“Boiarda vicino alla finestra”, dipinto di Konstantin Makovskij, 1884

“Boiarda vicino alla finestra”, dipinto di Konstantin Makovskij, 1884

Museo di Mikhail Vrubel
Già prima dell’epoca imperiale, iniziata con Pietro il Grande e le sue aperture all’Europa, le donne in Russia usavano truccarsi, e anche piuttosto pesantemente. Molti stranieri ne riferivano nei loro libri e appunti di viaggio. Le donne, però, non sapevano che la biacca e il belletto che usavano, erano molto pericolosi per la loro salute…

Guance tinte con il succo di barbabietola, sopracciglia scurite e un kokoshnik in testa: tale era l’immagine della “bellezza russa”, che dominava nei film di produzione sovietica. Questa descrizione era, allo stesso tempo, corretta e sbagliata.

Il kokoshnik, copricapo nuziale delle donne  del Nord, si diffuse soltanto nel tardo Settecento, nella Rus’ di Mosca era usato poco, pertanto quello delle bellezze antiche con kokoshnik è soltanto un mito. Per giunta, solo le contadine si coloravano le guance con barbabietola o con il succo di bacche. Le aristocratiche usavano dei rimedi più costosi, ma non meno vistosi.

Le sopracciglia, è vero, venivano scurite (per questo si usava l’antimonio) e allungate a dismisura, ma questa moda esiste anche oggi. Ma quali cosmetici si usavano nell’antica Rus’?

“All’inizio non voleva usare il belletto”: le regole del trucco delle donne russe

“Corteo nuziale a Mosca nel XVII secolo”, dipinto di Andrej Rjabushkin, 1901

Che le donne russe si truccassero già nel XVI-XVII secolo, lo sappiamo dagli appunti di viaggio di vari stranieri, che regolarmente restavano colpiti dalla bellezza delle donne locali, ma anche dalla quantità di trucco che le russe si mettevano sul viso.

“La bellezza del viso di queste donne è tale che supera molte altre nazioni”, scrisse delle russe il diplomatico svedese Hans Moritz Ayrmann (1669). Gli fece eco un altro europeo, il viaggiatore e diplomatico tedesco Jacob Reutenfels (anni Settanta del Seicento): “Le donne della Moscovia sono snelle e hanno un bel viso, tuttavia deturpano la loro bellezza naturale con eccessivo trucco. Hanno un viso tondo, le labbra prominenti e le sopracciglia sempre colorate; è colorato anche tutto il loro viso, perché tutte usano delle polveri. A forza dell’abitudine, l’usanza di truccarsi è considerata talmente necessaria che una donna che non volesse colorarsi il viso sarebbe considerata altera e desiderosa di distinguersi dalle altre, come se credesse di essere sufficientemente bella e attraente anche senza trucco e altri artifici”.

In effetti, un caso di questo genere fu descritto dal viaggiatore tedesco Adam Olearius, che visitò Mosca già negli anni Trenta del Seicento. “Del nobilissimo dignitario e boiardo, principe Ivan Borisovich Cherkasskij, la moglie, che ha un visto bellissimo, all’inizio non voleva truccarsi. Tuttavia, le mogli di altri boiardi la infastidivano, chiedendole, perché volesse disprezzare le usanze e le abitudini del loro Paese, e infamasse le altre donne con il suo modo di agire. Con l’aiuto dei loro mariti, riuscirono a far sì che anche questa donna, nata bellissima, dovesse cominciare a usare la biacca e il belletto, e, per così dire, accendesse una candela in una giornata di sole”. Il principe Ivan Cherkasskij era il numero due dello Stato, il capo di governo. Eppure, persino sua moglie fu costretta a usare il trucco.

“Ragazza di Mosca del XVII secolo”, dipinto di Andrej Rjabushkin, 1903

Gli stranieri rilevavano che il trucco delle donne russe era molto vistoso. “Il belletto, usato da esse, era applicato in maniera talmente grossolana che non c’era bisogno di avvicinarsi per capire che erano truccate”, scriveva Reutenfels. “Si spalmano il viso in maniera tale che a distanza di un tiro si possono vedere dei coloranti appiccicati sul loro viso; conviene paragonarle a delle mugnaie, perché sembra che dei sacchi di farina gli vengano sbattuti in faccia”.

Malgrado quanto sopra, il trucco aveva i suoi effetti. Il poeta inglese George Turberville, che visitò Mosca nel XVI secolo, scrisse che “truccandosi ogni giorno, [le donne russe] raggiungono il successo; applicano il trucco in modo tale che anche il più avveduto sarà tratto in inganno, se si fida dei propri occhi”.

Un trucco killer: mercurio, piombo e arsenico sulla pelle

“Nobili donne russe durante una funzione religiosa”, dipinto di Andrej Rjabushkin. Si noti il pallore della donna sulla destra: probabilmente ha usato della biacca

Il belletto e altri cosmetici erano di tipo grossolano e vistoso, perché contenevano degli elementi chimici non solo nocivi, ma addirittura letali.

La faccia veniva dipinta di bianco. “Nelle città i visi delle donne sembrano cosparsi di farina, e il belletto è come se fosse spalmato sulle guance con un pennello”, scrisse l’olandese Balthasar Coyett, che visse a Mosca nel 1675-1676. La biacca, o bianco di piombo, era nota sin da tempi antichissimi. Già Plinio il Vecchio scriveva che la biacca si ottiene “aggiungendo dell’aceto fortissimo a piccolissime particelle raschiate di piombo”.

La biacca forma sul viso uno strato omogeneo e dà un colore di autentico bianco. Tuttavia, le seguaci della moda non sapevano che quello che si mettevano sul viso era il carbonato basico di piombo, che intossica l’organismo. “La febbre, i dolori addominali che duravano due-tre settimane, la nausea e l’insonnia venivano spiegati o con il cibo andato a male, o con il malocchio dato da persone cattive. In realtà, però, si trattava di “coliche da piombo”, causate dal metallo che si accumulava nell’organismo”, scrive Marina Bogdanova.

Specchio veneziano in stile barocco. Italia, fine XVII-inizio XVIII secolo. Questi specchi erano utilizzati dalle nobili bellezze russe dell’epoca

“Sembrano dei gufi”, scrisse il viaggiatore ceco Jiří David delle donne russe che si disegnavano lunghissime sopracciglia nere. Le polveri, impastate con grassi, usate per scurire le ciglia e le sopracciglia, e chiamate all’epoca “antimonio”, in realtà erano un composto di piombo e zolfo, che faceva male alla pelle e ne alterava il colore, come il bianco di piombo. Gilles Fletcher rilevava la “carnagione scura e malaticcia” delle donne di Mosca. Secondo lo scozzese, ciò era dovuto al fatto che le donne stavano sempre dentro casa durante l’inverno. Tuttavia, considerato che Fletcher comunicava con le donne dell’alta società moscovita, possiamo supporre che quelle donne avessero la pelle scura, perché usavano regolarmente la biacca.

Il belletto (o fard, come si direbbe oggi), la cui vistosità veniva notata da tutti gli stranieri, non si preparava certamente con barbabietole o bacche. Conteneva del cinabro, minerale costituito da solfuro di mercurio. Oggi, le regole di sicurezza prevedono che il cinabro debba essere maneggiato “in un locale dotato di aspirazione, indossando i guanti di gomma, gli occhiali e una maschera antigas”, perché i vapori di questo composto sono tossici. Nel passato, invece, il composto si usava per ravvivare il viso e i capelli. Ciò non stupisce, perché per ammorbidire la pelle si usavano delle creme contenenti cloruro mercurico.

Polvere di cinabro. Si tratta di un minerale dall’aspetto rossiccio costituito da solfuro di mercurio, quindi tossico

Il mercurio ha fortissimi effetti di neurotossina. La regolare inalazione dei suoi vapori conduce all’infermità mentale. Eppure, in Russia, le schiave della bellezza usavano non solo cinabro e piombo, ma anche il mercurio. Lo usavano per… pulirsi i denti. Sullo sfondo del bianco che la biacca donava al viso, i denti sembravano comunque gialli. Inoltre, le donne delle famiglie ricche amavano lo zucchero e le caramelle, che in Russia costavano un occhio della testa. I dolci provocavano la carie, pertanto prima di sposarsi, le donne cercavano di sbiancare i loro denti con il mercurio. Sei mesi dopo tale trattamento, i denti cominciano a perdere lo smalto. Per questo motivo i denti venivano scuriti con carbone… procedura che doveva essere ripetuta regolarmente. Lo scrittore russo Aleksandr Radishchev sottolineava che nelle famiglie dei mercanti delle province questo accorgimento, usato per nascondere lo stato cattivo dei denti, fu praticato fino alla fine del XVIII secolo: “Paraskovja Denisovna, sua moglie appena sposata, ha pelle bianca e viso rubicondo. I suoi denti sono come il carbone. Le sue sopracciglia sono finissime, più nere della fuliggine”, - scrisse Radishchev nel 1790.

“Una zarevna in visita a un convento”, 1912, dipinto di Vasilij Surikov

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Inseguendo la bellezza, alcune donne ingoiavano dell’ossido arsenioso, chiamato “arsenico bianco”. Gli effetti, in questo caso, erano quelli di un narcotico: aumentava l’appetito, migliorava l’umore, la persona spruzzava energia, gli occhi brillavano. Tuttavia, accumulandosi nell’organismo, anche l’arsenico lentamente uccideva. Arsenico, piombo e mercurio sono stati rinvenuti in quantità enormi nei resti delle zarine russe del XVI secolo, comprese le mogli di Ivan il Terribile.

Infine, per gli occhi si usavano delle gocce, costituite da fuliggine mescolata all’alcol. “I russi conoscono il segreto su come annerire il bianco degli occhi”, si meravigliava Samuel Collins, il medico della corte dello zar Alessio Mikhajlovich.

Bisogna dire che parecchie persone capivano che questi “cosmetici” facevano male alla salute. Il tedesco Jacob Reutenfels finisce la sua descrizione del trucco delle donne russe con una dura conclusione: “Come castigo per la finta bellezza… avvicinandosi alla vecchiaia, hanno una faccia tutta solcata da rughe”.

“Geisha che si annerisce i denti all’una di notte”, dipinto del 1880 di Tsukioka Yoshitoshi (1839-1892), Giappone

È interessante che l’annerimento dei denti e delle sclere degli occhi, l’allungamento delle sopracciglia con l’antimonio e l’uso della biacca erano largamente praticati anche dalle donne della Mongolia e della Cina. Nel testo intitolato “Meng-da bei-lu” (“Descrizione completa dei tataro-mongoli”, 1221), scritto da un viaggiatore cinese, si legge: “Le donne [dei mongoli] spesso si colorano la fronte con il giallo di piombo. È un antico pigmento [usato dalle donne cinesi], che resta tuttora immutato…”. Allo stesso tempo, i testi, scritti dagli stranieri sulla Russia nel periodo precedente all’invasione mongola, non contengono alcuna menzione di tali rimedi. Si può quindi supporre che le donne russe imitarono le tecniche praticate dalle aristocratiche tataro-mongole che, a loro volta, le avevano mutuate dalle donne cinesi della dinastia Tang (secoli VII-X).

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