Cosa ha ereditato la Russia dalla dominazione tataro-mongola?

Evgenia Novozhenina/Sputnik
I quasi 250 anni di sottomissione (1237-1480) hanno cambiato nel profondo il Paese, che dagli invasori ha imparato molto: come organizzare uno Stato così grande, come comandare un esercito in modo efficace, come far funzionare il sistema postale, e tanto altro

Nel XIII secolo, diversi principati russi furono attaccati e soggiogati dal più grande Stato nella storia dell’umanità (con un’estensione da 24 a 33 milioni di chilometri quadrati; mentre oggi il Paese più grande al mondo, la Russia, supera di poco i 17): l’Impero mongolo creato da Gengis Khan (1165-1227) e dai suoi discendenti.

L’invasione mongola fu un vero incubo per i principati russi. Alla base del sistema di difesa russo c’era la “druzhìna”; dei reparti di guardia armata del sovrano che si muovevano solo a piedi, ed erano scarsamente esperti nell’arte bellica. Così, quello che era allora il miglior esercito del mondo conquistò con facilità le cittadelle fortificate in legno, una dopo l’altra. I mongoli avevano reparti di cavalleria leggera e pesante, arcieri, fanteria pesantemente armata e macchine per l’assedio e lo sfondamento.

Poco dopo la conquista della Russia, l’impero mongolo si sciolse e l’Orda d’oro, lo Stato fondato da Juci (1184-1227), il primogenito di Gengis Khan, iniziò a controllare le terre russe. I mongoli non erano interessati a un’annessione completa delle terre russe: lasciarono un certo grado di autogoverno ai russi, ma raccoglievano pesanti tributi e i principi russi erano costretti a recarsi nella capitale dell’Orda d’oro per ricevere gli jarlýk, degli editti del Khan, ossia dei documenti ufficiali che confermavano il loro diritto a gestire le proprie terre, risultando di fatto come una sorta di vassalli. Questa era un’umiliazione senza precedenti per gli orgogliosi russi: e quest’umiliazione fu il carburante che con il tempo avrebbe spinto alla formazione di uno Stato russo unitario.

I russi si resero conto che era possibile sbarazzarsi del giogo dei mongoli solo adottando i metodi mongoli nella guerra, nell’amministrazione, nel controllo e nel censimento la popolazione; insomma, in generale, agendo contro di loro con le loro stesse armi. Nel 1380, per la prima volta, i principi russi schiacciarono parte dell’esercito dell’Orda d’Oro nella battaglia di Kulikovo, e cento anni dopo il Granduca di Mosca Ivan III difese l’integrità dello Stato con il “Grande fronteggiamento sul fiume Ugrà”. Successivamente, la dipendenza delle terre russe da quel che restava dell’Orda d’Oro divenne in gran parte formale.

“Mosca deve la sua grandezza ai khan”, ha scritto il grande storico russo Nikolaj Karamzin (1766-1826). Tutti i successivi successi militari e politici dello Stato di Mosca sulla scena internazionale sono, in linea di massima, una conseguenza dell’“addestramento” involontario che i russi subirono durante il periodo dell’Orda d’Oro. Elenchiamo le cose più importanti che i russi hanno ereditato dai tataro-mongoli.

Il comando dell’esercito, la parola “bogatýr” e il grido di battaglia

Nonostante fossero numericamente inferiori rispetto ai mongoli, le squadre armate russe e la fanteria erano molto determinate, perché difendevano la loro terra natale. Le armature e le strutture sia offensive che difensive dei russi erano poi famose in Europa. Ma i combattenti pesantemente armati erano pochi. La druzhina era adatta per respingere incursioni brevi e per dare protezione alle città in caso di scorribande. Ma quando fu necessario affrontare un esercito come quello mongolo, ben organizzato, la maggior parte dell’e forze russe erano di fatto una milizia popolare armata di rogatine (speciali lance per la caccia all’orso) e asce. Ma il motivo principale della sconfitta non fu questo.

I russi persero contro i mongoli perché erano divisi. I principi e le loro druzhine non erano solo dispersi in città distanti tra loro, ma non sapevano neanche accordarsi. Le questioni sociali e militari nell’antica Rus’ venivano risolte riunendosi nella “veche”; un’assemblea generale dei liberi cittadini. Ma per un’azione decisiva e una pronta risposta, questo metodo era inefficace. Nella prima grande battaglia contro i mongoli, sul fiume Kalka, i principi russi non riuscirono a concordare azioni coordinate, non avendo avuto il tempo per riunirsi, e furono rovinosamente sconfitti.

Inoltre, nella tradizione russa, il principe era l’iniziatore della battaglia. Ora sembra assurdo, ma i principi, circondati dai loro guerrieri, scendevano in battaglia in prima linea, dove un nemico più numeroso, come quello mongolo, li circondava e uccideva in men che non si dica. A quel punto, le forze e le milizie, rimaste senza il leader, erano demoralizzate e allo sbando.

Presso i mongoli tutto funzionava diversamente. I khan, di regola, non si presentavano sul campo di battaglia, e i comandanti militari osservavano lo scontro da lontano e dall’alto, guidando le loro truppe grazie a bandiere, fumo e segnali luminosi, e con il suono di trombe e tamburi. E in caso di sconfitta, non i soldati semplici, ma i comandanti in capo, portavano il peso della responsabilità nei confronti dei khan.

I russi in questo dovettero imparare dai mongoli, e partirono dalle basi. Ad esempio, il grido di battaglia russo “Urà!”, sarebbe, secondo un’ipotesi storiografica, stato ripreso dal mongolo o dal tataro. In mongolo, “uragshaa!” significa “avanti!”, e in tataro “ura!” vuol dire “colpisci!” E la parola “bogatyr”, che indica i possenti eroi dell’epos slavo, in turco significa “coraggioso”, “eroe”. Prima dell’invasione mongola, tali arditi in Russia erano chiamati “khorobor” o “udaléts”.

Di conseguenza, nella Battaglia di Kulikovo, la vittoria russa sulle truppe guidate dal condottiero dell’Orda d’Oro Mamaj fu raggiunta grazie al controllo centrale dell’esercito russo e alla presenza di un reggimento d’imboscata di cavalleria pesante, che non per caso, ma su preciso comando, colpì i mongoli con contrattacco a sorpresa sul fianco. A proposito, anche le tecniche di combattimento della cavalleria russa furono apprese dagli invasori.

La cavalleria

Prima della dominazione mongola, il cavallo era considerato un lusso riservato all’aristocrazia. I piccoli principi venivano fatti montare a cavallo all’età di tre anni, seguendo l’antica tradizione indoeuropea di iniziare così la progenie delle famiglie nobili. Ma dopo che la cavalleria mongola dimostrò i suoi vantaggi nella battaglia contro i russi, gli sconfitti capirono di dover creare unità di cavalleria. Solo pochi principi solitari a cavallo, impacciati nelle loro armature, non potevano resistere agli interi reggimenti a cavallo dei mongolo-tatari

Così dai secoli XIII-XIV in Russia comparvero “mandrie di cavalli del principe” e iniziarono ad essere addestrati soldati di cavalleria professionisti. Erano i discendenti delle druzhine e appartenevano alle famiglie nobili e benestanti, altrimenti sarebbe stato impossibile per loro procurarsi cavalli e divise corrispondenti allo status e alle funzioni del cavaliere.

Il modo di vestire

Prima della conquista mongola, l’abbigliamento degli uomini delle varie tribù che abitavano le terre russe era composto dai “portý”, un tipo di calzoni, e dalla camicia (“rubàkha”), tenuta ferma in vita da una cintura, di tessuto o di pelle. Come soprabiti portavano invece mantelle e impermeabili, legati con delle cordicelle. Lo status sociale era dimostrato da cinture riccamente decorate, dal costo del tessuto del mantello e della sua colorazione (l’indaco era considerato il colore più “costoso”).

Per andare al galoppo, specialmente in una situazione di combattimento di cavalleria, tali vestiti non sono molto adatti: in un impermeabile svolazzante farà freddo a velocità elevata, e può avvolgersi alla testa, oscurando la vista. Così dai mongoli venne presa la moda dei caffettani, che avevano due strati ed erano fissati con ganci. Era possibile, tenere abbottonata la parte superiore per preservare il calore, e sbottonare il fondo, per sedersi più comodamente in sella.

Molti altri capi di abbigliamento che erano già diffusi tra i russi presero poi i nomi con cui li chiamavano le tribù tatare che vivevano sui resti dell’Orda d’Oro ed esercitavano il commercio. Così, nella lingua russa, misero radici i “nuovi” nomi degli abiti: “kolpàk” (“cappello”; “berretto”), “kushàk” (“cinturone di stoffa”), “shtaný” (“calzoni”, “pantaloni”), “bashmàk” (“scarpa”), “kumàch” (“tela rossa di cotone”), “zipùn” (“cappottone grossolano senza collo”) e molti altri. Ci furono anche prestiti diretti di accessori e materiali: i tatari lavoravano in modo speciale le pelli di pecora e di capra e questo materiale (sostanzialmente quello che in italiano è detto “marocchino”), chiamato “safjàn”, era qualcosa di completamente nuovo nella moda russa, ed era considerato molto chic. Entrò poi nell’uso anche tra i russi la “tafja”, qualcosa di simile alla tjubetéjka, ossia un “cappellino a calotta”, che un po’ richiamava un “turbante”, e che era in precedenza indossato dai nobili tatari.

Anche a Ivan il Terribile piaceva indossare la tafja, dopo essersi rasato a zero i capelli, così come facevano i khan tatari. In generale, i paramenti cerimoniali e quotidiani degli zar russi, i loro copricapi cerimoniali e i caffettani, decorati con oro e pietre preziose, che vediamo in molti ritratti dei primi Romanov, furono creati ispirandosi ai paramenti dei sovrani mongoli e tatari.

La jamskàja sluzhba (le stazioni postali)

Per gestire quel territorio gigantesco, Gengis Khan e/o i suoi discendenti crearono una rete di punti in cui i messaggeri che viaggiano a cavallo su lunghe distanze potevano fermarsi, trovare cavalli riposati, cambiarli, e continuare senza gravi ritardi. I guerrieri mongoli crescevano in sella: gli adulti erano addestrati a trascorrere più di due giorni a cavallo senza pausa. Dopo la sottomissione delle terre russe queste stazioni di posta furono organizzate anche sul territorio russo. La popolazione locale iniziò a dover svolgere l’“obbligo postale” (“jamskàja povìnnost”): era obbligata a mantenere in servizio la “jàm”, la stazione di posta, a fare la manutenzione dei carretti e a fornire nuovi cavalli riposati.

In varie forme, questo obbligo rimase attivo in Russia fino all’inizio del XVIII secolo. Il sistema introdotto dai mongoli servì anche in Russia per risolvere il problema di governare uno Stato di dimensioni enormi e divenne uno dei fondamenti del tipo di governo che fu preso in prestito dai tataro-mongoli.

Il sistema della pubblica amministrazione

L’invasione tataro-mongola pose fine al regime della “veche”, l’assemblea plenaria, in Russia. Per i mongoli era meglio che la Russia fosse governata dai soli principi, e solo dopo che loro stessi li avevano approvati. Abilmente, misero poi continuamente i principi uno contro l’altro, e quindi è impossibile parlare di una “frammentazione” naturale delle terre russe, perché in realtà era impedito loro di unirsi con la più classica delle politiche del “divide et impera”. Dopo diversi decenni, i principi si resero conto di ciò che stava accadendo e iniziarono a cercare di unire le terre attorno a un centro unico, che alla fine fu Mosca.

Dai mongoli presero diversi meccanismi di governo: i documenti ufficiali per stabilire i diritti dei principi e dei monasteri sulle terre e sui contadini che vivevano su di esse; il sistema monetario e doganale (la parola “dengi”, “soldi” in russo, deriva dal “tenge” turco, che vuol dire “moneta”, mentre “tamózhnja, “dogana”, viene dal turco “damya”; “timbro”, “bollo”), e poi l’ereditarietà del potere, la contabilità centralizzata di truppe e capi militari, l’amministrazione civile e militare. Insomma, l’influenza del sistema tataro-mongolo sul sistema del potere russo è stata completa.

La cosa principale è che se prima dell’arrivo dei mongoli, le terre russe erano governate da una miriade di principi e le questioni erano risolte collettivamente, nel 1480, al momento della vittoria sul dominio dell’Orda, c’era un solo sovrano in Russia, senza pari, il Granduca di Mosca, che a quel tempo era Ivan III, detto il Grande. Questo cambiamento epocale salvò la Russia e fu l’inizio di una nuova era nella sua storia.


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