Così l’Urss commerciava con l’Occidente nonostante la cortina di ferro

Nonostante l'ostilità reciproca, l'URSS e l'Occidente commerciavano beni di cui ciascuna delle due parti aveva grande bisogno

Nonostante l'ostilità reciproca, l'URSS e l'Occidente commerciavano beni di cui ciascuna delle due parti aveva grande bisogno

Kira Lisitskaya (Foto: A.Grinko /TASS; Nikolaj Gyngazov, Sergej Bulavskij/Global Look Press)
Ai tempi della Guerra fredda i rapporti tra l’Unione Sovietica e i Paesi occidentali non erano certo idilliaci, ma nonostante le tensioni politiche, i due blocchi, capitalista e socialista, esportavano e importavano l’uno dall’altro, traendone reciproci vantaggi

“So much extra for your money with Moskvich 4-door saloons and estate!”, prometteva la pubblicità dell’auto sovietica “Moskvich 408” (alias “Scaldia 408”) sulla rivista britannica “Autocar”, nel luglio 1968. Sì, nonostante le relazioni tese e la Guerra fredda, l’Urss commerciava senza grossi problemi con l’Occidente.

Oltre all’industria automobilistica, un altro successo delle esportazioni sovietiche fu quello delle apparecchiature fotografiche. La fotocamera Zenit godeva di buona fama nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Francia e in altri Paesi europei (dove fu commercializzata con i marchi Cosmorex, Kalimar, Spiraflex e Phokina). Tuttavia, i beni di consumo provenienti dall’Unione Sovietica non erano venduti all’estero in misura così ampia. Il petrolio e il gas erano la voce principale delle esportazioni dell’Urss. 

L’accordo “gas in cambio di tubi” fu l’inizio di una cooperazione energetica a lungo termine con l’Europa. L’Unione Sovietica era solita acquistare macchinari di fabbricazione straniera anche per la costruzione di grandi ferrovie e vie d’acqua. 

C’era davvero la cortina di ferro? 

Il primo ministro britannico Winston Churchill parla al Westminster College di Fulton. 5 marzo 1946

La locuzione “cortina di ferro”, espressione usata per la prima volta dal primo ministro britannico Winston Churchill nel 1946 nel discorso di Fulton (“Iron Curtain”, in inglese), segnò l’inizio della guerra fredda tra l’Urss e i Paesi occidentali. Nel 1949, come contrappeso alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti e ai loro alleati e per mantenere stretti legami con i Paesi socialisti amici nel dopoguerra, l’Urss creò il Consiglio di mutua assistenza economica (abbreviato in Comecon). Era composto dagli Stati socialisti di Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania e Albania (fino al 1962), a cui si aggiunsero in seguito la Repubblica Democratica Tedesca, la Mongolia, Cuba e il Vietnam. Il Comecon divenne il principale partner commerciale dell’Urss nella seconda metà del XX secolo.

I membri del Comecon acquistavano combustibili fossili dall’Urss a prezzi inferiori a quelli di mercato, e fornivano all’Urss macchinari, attrezzature, beni agricoli, industriali e di consumo. Nel 1960, l’Unione Sovietica riceveva il 58% delle importazioni dai membri del Comecon e vi inviava il 56% del suo export.

Nel 1956, il segretario generale sovietico Nikita Khrushchev annunciò la destalinizzazione del Paese e un percorso verso la “coesistenza pacifica” con il mondo capitalista. Nel 1959, insieme a una folta delegazione sovietica, si recò negli Stati Uniti, dove ebbe modo di conoscere le più recenti tecnologie in vari settori dell’industria. Alcune di queste tecnologie, in una forma o nell’altra, vennero successivamente implementate anche in Unione Sovietica. 

Il leader sovietico Nikita Krusciov e Roswell Garst (agricoltore americano e dirigente di un'azienda di sementi) posano con delle pannocchie di mais durante una visita alla Garst Farm, nello stato dell'Iowa. Krusciov divenne il primo leader sovietico a visitare gli Stati Uniti il 23 settembre 1959

Leonid Brezhnev, che sostituì Khrushchev nel 1964, continuò questo percorso di distensione con i cosiddetti Paesi capitalisti industriali (Stati Uniti, Francia, Spagna, Italia, Giappone, Germania occidentale, ecc.) per i successivi vent’anni, pur mantenendo forti relazioni con i Paesi del Comecon. Nel 1975, insieme ai leader di 34 Paesi, tra cui gli Stati Uniti e tutti gli Stati dell’Europa (tranne Albania e Andorra), l’Urss firmò l’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (“Csce”; noto anche come “Accordi di Helsinki”). Nel 1995 la Csce sarebbe poi diventata Osce, “Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa”.

È vero che le relazioni con gli Stati Uniti tornarono a farsi critiche dopo l’ingresso delle truppe sovietiche in Afghanistan, nel 1979. Tuttavia, nel 1986, il 67% del commercio estero sovietico era destinato ai Paesi socialisti (di cui il 61% a quelli del Comecon), il 22% ai Paesi capitalisti industrializzati e l’11% ai Paesi in via di sviluppo. I ricavi delle esportazioni raggiunsero 1/5 del bilancio del Paese. 

Che cosa esportava l’Urss in Occidente? 

Costruzione del gasdotto Orenburg-Frontiera occidentale (ora Soyuz)

Negli anni Settanta e Ottanta, l’Urss divenne un grande esportatore di combustibili verso l’Occidente: petrolio e gas naturale. Le economie europee dell’epoca erano in piena espansione e avevano bisogno di risorse energetiche. 

Dal 1970 al 1986, la quota del gas sul totale delle esportazioni passò dall’1 al 15%. Nel 1970, l’Urss firmò un accordo con la Germania Ovest per la fornitura di tubi di grande diametro e di attrezzature per la costruzione di un gasdotto verso l’Europa occidentale in cambio di gas proveniente dalla Siberia occidentale. Nonostante la disapprovazione degli Stati Uniti, l’accordo fu uno dei principali nella lista dei contratti pluriennali di fornitura di gas dall’Urss ai Paesi dell’Europa occidentale (in precedenza altri erano stati firmati con Austria, Francia e Italia). Se nel 1970 le esportazioni di gas naturale ammontavano a 3,3 miliardi di metri cubi, nel 1986 il volume era salito a 79,2 miliardi di metri cubi. Nel 1986 le esportazioni di combustibili ed elettricità rappresentavano il 47,3% del totale dell’export.

Esportazioni dell’Urss nel 1986 (in % sul totale):

– Carburante ed elettricità: 47,3%.

– Macchinari, attrezzature e veicoli da trasporto: 15%

– Minerali e concentrati, metalli e prodotti metallici: 8,4%

– Prodotti chimici, fertilizzanti e gomma: 3,5%

– Legname e prodotti della pasta di legno e della carta: 3,4%

– Beni di consumo fabbricati: 2,4%

– Prodotti tessili grezzi e semilavorati: 1,4%

– Materie prime e prodotti alimentari per la loro produzione: 1,6%

La seconda voce importante delle esportazioni era dunque quella dei macchinari, delle attrezzature e dei veicoli da trasporto. Nel 1986, la loro quota nelle esportazioni raggiungeva il 15%.

Julie Desmond, modella, 24 anni, scende dal retro di un'auto Moskvich 427 russa, durante una fiera automobilistica. 1971

Ad esempio, l’autovettura Moskvich dello stabilimento MZMA (poi AZLK) divenne famosa in Europa dopo aver partecipato con successo a un rally internazionale alla fine degli anni Sessanta. Veniva venduta in Francia e Gran Bretagna. I camion Moskvich venivano assemblati anche in stabilimenti in Bulgaria (con il marchio Rila) e in Belgio (con il marchio Scaldia). 

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L’apice delle vendite di veicoli sovietici fu raggiunto negli anni Ottanta. Nel 1986 sono vennero esportati 306 mila autovetture e 38 mila camion, 39 mila trattori e 2.919 autobus

Anche le attrezzature militari venivano ampiamente esportate: dal 1971 fino al crollo dell’Urss, sono state esportate decine di migliaia di veicoli militari (carri armati, aerei, elicotteri, ecc.). 

L’Urss forniva all’Occidente attrezzature elettriche sovietiche per centrali termiche e idroelettriche, reattori nucleari, e ha venduto licenze per la produzione di turbine e generatori e progetti di centrali elettriche. 

Alcuni businessman britannici osservano la macchina fotografica Zenit-6. Mosca, 1968

La quota di altri beni esportati durante l’ultimo decennio dell’Urss è stata notevolmente inferiore in queste categorie, anche se molti stranieri ricordano con nostalgia le macchine fotografiche sovietiche Zenit, l’orologio Poljot e il ricevitore radio Micro.

Cosa comprava l’Urss all’estero

Secondo i dati relativi al periodo 1940-1986, oltre il 30% delle importazioni sovietiche consisteva nell’acquisto di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto. Nel 1986, questi rappresentavano già il 40,7% del totale.

Importazioni dell’Urss nel 1986 (in %):

– Macchinari, attrezzature e veicoli da trasporto: 40,7%

– Prodotti alimentari e materie prime per la loro produzione: 17,1%.

– Beni di consumo manifatturieri: 13,4%

– Minerali e concentrati, metalli e prodotti metallici: 8,3%.

– Prodotti chimici, fertilizzanti e gomma: 5,1%.

– Carburante ed elettricità: 4,6%

– Legname e prodotti di carta: 1,3%

–  Materie prime e semilavorati tessili: 1,3%

Importazioni di macchinari e attrezzature

L’Urss acquistava attrezzature elettrotecniche, energetiche e metallurgiche dai partner stranieri. Tra le altre cose, il Paese importava macchine per il taglio dei metalli, presse per la forgiatura, carri, camion, navi e molto altro.

Dal 1945 al 1991 sono stati importati in Unione Sovietica circa 500 mila autoveicoli. I camion stranieri – Tatra 111, Škoda-LIAZ, Mitsubishi-Fuso e Komatsu-Nissan – potevano essere visti nei principali cantieri del Paese (Canale Volga-Don, Ferrovia Bajkal-Amur ecc).

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Le auto, anche quelle di produzione nazionale, restarono per molti anni un bene di lusso, e quelle straniere erano accessibili solo all’élite politica e ai loro parenti più stretti. Se gli autocarri e le attrezzature da officina rappresentavano il 3,5% delle importazioni nel 1986, le autovetture, le moto e gli scooter rappresentavano solo lo 0,5%.

Come l’Urss si trasformò da esportatore a importatore di grano 

La delegazione ungherese, guidata dal ministro dell'Agricoltura ungherese Istvan Gergey, sul campo dell'Istituto di ricerca sull'agricoltura di Krasnodar. 1972

I prodotti alimentari erano al secondo posto nella lista dei beni importati dall’Urss. L’urbanizzazione e l’esodo delle campagne verso le città portarono a un deficit di cibo. All’inizio degli anni Sessanta erano diffuse le tessere annonarie e c’erano carenze di carne, latte, cereali e altri prodotti alimentari. Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta il Paese acquistava regolarmente grano, tè, carne, bacche, frutta e zucchero, secondo l’annuario “L’Economia nazionale dell’Urss in 70 anni”. Le importazioni erano in crescita: 66 mila tonnellate di carne e prodotti a base di carne nel 1960, più di 900 mila tonnellate nel 1980; mentre per quanto riguarda frutta e bacche: 335 mila tonnellate nel 1960, 995 mila tonnellate nel 1980.

Per quanto riguarda il grano, dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Urss riprese a fornire grano all’Europa e nel 1952 le esportazioni erano di 4,5 milioni di tonnellate all’anno. Volendo aumentare il volume delle coltivazioni, l’Urss iniziò a dissodare le terre vergini in Kazakistan, ma a causa del clima rigido non ottenne i risultati sperati.

Oltre al fatto che il grano era necessario per la popolazione del vasto Paese e veniva esportato, grandi volumi di grano venivano utilizzati come mangime per il bestiame. L’Urss aveva un programma per aumentare la produzione interna di carne e latte. Neanche la campagna del segretario generale sovietico Nikita Khrushchev (lanciata dopo un viaggio negli Stati Uniti) per la coltivazione del mais contribuì a migliorare le cose. Sempre a causa del clima, i raccolti furono deludenti, sebbene una parte importante del bilancio agricolo fosse stata spesa per acquistare i semi. Di conseguenza, nel 1963 l’Urss iniziò ad acquistare grano da foraggio dagli Stati Uniti e dal Canada. Le importazioni furono di 23 milioni di tonnellate di grano nel 1972 e 43 milioni di tonnellate nel 1980. 

Beni di consumo

In coda per le salsicce, Mosca, 1977

Dopo la morte di Stalin, alla fine degli anni Cinquanta l’Urss si impegnò a migliorare il benessere della popolazione. Tuttavia, i beni di consumo sovietici non erano sufficienti a soddisfare le esigenze di tutti.

Al Congresso del Pcus del 1981 venne dichiarato che “di anno in anno i piani di produzione di molti beni di consumo, in particolare tessuti, maglieria, scarpe in pelle, non sono stati rispettati”. All’epoca si contavano 2,1 maglie e 3,2 paia di scarpe pro capite. Scarpe di cuoio, maglieria, tessuti di cotone e seta, medicinali, tra le altre cose, erano importati nel Paese con il denaro guadagnato dall’esportazione di risorse energetiche. 

La politica che dette a tutte le famiglie un appartamento statale e il trasferimento dei cittadini in appartamenti separati dopo anni di vita nelle kommunalki aumentò la domanda di mobili. I cittadini sovietici sognavano mobili cecoslovacchi e romeni. Gli acquirenti erano disposti a lunghe code nei negozi per comprarli.

Nonostante l’aumento delle importazioni di beni di consumo, molti cittadini sovietici ricordano l’ultimo decennio dell’Urss come il periodo di maggiore penuria.  


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