“Era un mare di fuoco. Il cielo e le nuvole sembravano in fiamme. Montagne di fiamme rosse e vorticose, come enormi onde del mare, che improvvisamente si sollevavano, salendo verso il cielo infuocato e poi cadendo di nuovo. Oh, è stato lo spettacolo più magnifico e spaventoso che l'umanità abbia mai visto”. Così Napoleone Bonaparte descrisse il maestoso incendio che avvolse Mosca il 14 settembre 1812, giorno in cui la “Grande Armata” occupò l'antica capitale della Russia.
L'incendio distrusse seimila case su novemila, quasi la metà delle chiese della città, un'università con archivi unici e collezioni di opere d'arte dal valore inestimabile. Più di duemila soldati russi rimasero gravemente feriti e, non potendo essere evacuati, furono lasciati in balia del nemico.
Il fuoco continuò ad ardere per cinque giorni e in alcuni punti rimase acceso fino alla partenza dei francesi dalla città, alla fine di ottobre. Entrambe le fazioni si accusarono a vicenda di tanta barbarie. Ma chi fu il vero responsabile di quel disastro?
I russi selvaggi?
“Gli incendi continuano a scoppiare in città ed è ormai chiaro che le loro cause non sono accidentali - disse l'ufficiale della “Grande Armata”, il generale italiano Cesare De Laugier -. Si è scoperto che i piromani hanno agito su ordine di Rostopchin e del capo della polizia Ivashkin. La maggior parte degli arrestati si rivela essere agenti di polizia travestiti da cosacchi, prigionieri, funzionari e seminaristi... Quelli catturati sul posto vengono immediatamente fucilati”.
I francesi indicarono il governatore generale di Mosca Fjodor Rostopchin come il principale responsabile della tragedia. Philippe-Paul de Ségur, che faceva parte dell'entourage di Napoleone, scrisse che fu per ordine suo che furono fabbricati razzi e altre sostanze infiammanti: “Mosca doveva essere trasformata in un'enorme macchina infernale, la cui improvvisa esplosione notturna avrebbe inghiottito l'Imperatore e il suo esercito”.
In effetti, il governatore disse espressamente più di una volta che avrebbe preferito distruggere Mosca piuttosto che consegnarla al nemico. In una lettera al principe Pjotr Bagration, in agosto, scrisse che se il nemico fosse arrivato, “il popolo avrebbe ridotto la città in cenere e Napoleone avrebbe ottenuto solo il luogo dove si trovava la capitale, anziché il bottino (ci si riferisce all'antica capitale del Paese: all’epoca infatti la capitale effettiva dell’Impero era San Pietroburgo, ndr). Non è irragionevole farglielo sapere, in modo che eviti di fare affidamento su milioni e scorte di pane, perché troverà solo cenere e carbone”.
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Rostopchin bruciò ostentatamente la sua tenuta di Voronovo, vicino a Mosca, e all’ultimo momento ordinò di dare fuoco ai depositi di cibo “per quanto possibile in vista del nemico” (questi roghi furono per lo più spenti immediatamente dai francesi). Tuttavia, un passo come la distruzione totale della città poteva essere intrapreso dal governatore generale solo su ordine diretto del comandante in capo dell'esercito russo, Mikhail Kutuzov, o dell'imperatore Alessandro I in persona. Tuttavia, non esistono documenti contenenti simili ordini.
La polizia moscovita non ebbe il tempo né la possibilità di effettuare alcun tipo di sabotaggio. Subito dopo il Consiglio del 13 settembre nel villaggio di Fili, durante il quale il comando decise di lasciare Mosca, Kutuzov chiese a Rostopchin di “inviare (a lui) il maggior numero possibile di ufficiali di polizia che potessero condurre l'esercito attraverso diverse strade fino alla strada di Rjazan”. Ovvero di ritirare le truppe, che i francesi avevano letteralmente alle calcagna, attraverso la città in direzione sud-est.
Rostopchin era ben consapevole delle migliaia di soldati russi feriti rimasti in città, che avrebbero inevitabilmente rischiato di morire se fosse scoppiato un incendio generale.
Gli spregevoli francesi?
I russi, da parte loro, diedero la colpa del disastro ai francesi. Già nei rapporti governativi di ottobre, gli invasori vengono definiti “spregevoli piromani”, e l'incendio doloso viene descritto come opera di una “mente corrotta”.
Dopo l'ingresso dell'esercito russo nella capitale francese nel 1814, il diplomatico Semjon Vorontsov affermò: “Noi siamo considerati dei barbari, mentre i francesi, per ragioni sconosciute, sono considerati il popolo più istruito. Hanno bruciato Mosca, ma noi abbiamo salvato Parigi”.
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In una delle sue lettere a Vorontsov, Rostopchin scrisse che Napoleone “diede la città in pasto alle fiamme per avere un pretesto per sottoporla al saccheggio”. “Bonaparte, per dare la colpa delle sue nefandezze agli altri, mi ha attribuito il titolo di piromane, e molti gli credono”, scrisse in un’altra missiva.
L'imperatore francese, tuttavia, non aveva motivo di bruciare la città in cui erano stanziate le sue numerose truppe. Inoltre, partecipò personalmente allo spegnimento degli incendi, rischiando di morire tra le fiamme.
La causa della tragedia potrebbe essere stata il dilagante saccheggio dei soldati della “Grande Armata”. Secondo uno dei francesi giunti a Mosca, “saccheggiarono e commisero ogni tipo di violenza; molti di loro pagarono con la vita la loro avidità: più di seimila soldati soffocarono tra il fumo delle case, che presero fuoco dopo che vi si erano introdotti per saccheggiare”.
Anche lo stesso de Ségur, prima che i francesi iniziassero a catturare e a sparare agli uomini armati di torce, incolpava i suoi connazionali del disastro: “La maggior parte della gente pensava che la causa dell'incendio fosse l'ubriachezza e la licenziosità dei nostri soldati, e che un forte vento avesse solo alimentato le fiamme. Noi stessi ci siamo guardati con una sorta di disgusto. Eravamo spaventati dal grido di orrore che doveva riecheggiare in tutta Europa. Ci avvicinammo l'uno all'altro, con la paura di alzare gli occhi, soffocati da questa terribile catastrofe: aveva offuscato la nostra gloria, minacciava la nostra esistenza ora e in futuro; eravamo d'ora in poi un esercito di criminali che il cielo e il mondo civile avrebbero condannato”.
Una colpa comune
Le testimonianze dei contemporanei sono piene di documenti contrastanti sulla colpevolezza di una parte o dell'altra negli eventi che distrussero Mosca. Anche gli storici, che per due secoli hanno discusso quei fatti, non sono riusciti a raggiungere un consenso.
Negli ultimi anni, tuttavia, i ricercatori hanno iniziato a privilegiare l'ipotesi che la verità stia nel mezzo e che entrambe le parti siano state responsabili dell’incendio di Mosca del 1812.
In un modo o nell'altro, Rostopchin fu certamente responsabile della catastrofe: fu per suo ordine che i magazzini furono incendiati e, soprattutto, che tutti i vigili del fuoco lasciarono la città. “L'incendio notturno non poteva essere fermato perché non c'erano attrezzature antincendio a portata di mano e non sapevamo dove trovare le pompe antincendio”, raccontò il generale Armand de Caulaincourt.
Le torce furono usate sia dai cittadini patriottici, sia da coloro che, nel caos generale, si diedero al saccheggio. Un certo peso probabilmente lo ebbero anche coloro che si infiltrarono nell’esercito russo sotto mentite spoglie, anche se cominciarono a comparire perlopiù dopo che il disastro era passato.
Una responsabilità grande la ebbero anche quei soldati della “Grande Armata” che, quando la disciplina venne meno, si lanciarono verso un saccheggio totale della città, non curandosi affatto della sicurezza antincendio e talvolta incendiando deliberatamente case e panchine. I forti venti trasportarono il fuoco attraverso la città e fiamme, nella Mosca abbandonata e avvolta dal caos, trovarono terreno fertile per alimentarsi.
Durante la guerra patriottica del 1812, infatti, fu proprio Mosca a soffrire più di ogni altra città dell’Impero russo: ci vollero due decenni prima che l’antica capitale potesse riprendersi completamente. E anche se oggi è difficile indicare il principale responsabile di quella tragedia, una cosa è certa: né i russi né i francesi ne avevano bisogno.
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