Come la Russia schiacciò Napoleone nel 1812 (FOTO)

Il maresciallo Ney a sostegno della retroguardia durante la ritirata da Mosca

Il maresciallo Ney a sostegno della retroguardia durante la ritirata da Mosca

Adolphe Yvon / Manchester Art Gallery
I francesi credevano che la conquista di Mosca avrebbe segnato la vittoria nella guerra. Ma la capitale si rivelò la tomba della Grande Armata…

Nella notte tra il 23 e il 24 giugno 1812, mentre pattugliava il confine dell'Impero Russo sul fiume Neman, vicino a Kovno (l'attuale Kaunas), una pattuglia del Reggimento Cosacco scoprì una compagnia di genieri francesi che sbarcavano sulla riva. “Chi va là?”, gridò loro in francese un ufficiale russo. “Francia”, risposero i soldati in un sussurro. “Cosa avete intenzione di fare qui?”, proseguì il russo. “Ve lo faremo vedere, dannazione!”. Davanti a questa risposta minacciosa, i cosacchi spararono una raffica contro i genieri e si ritirarono. Si concluse così la prima schermaglia della Guerra del 1812, un conflitto che avrebbe portato a un completo riassetto della mappa politica dell’Europa. 

L'esercito francese attraversa il Neman in Russia

Napoleone Bonaparte sperava che la campagna militare in Russia sarebbe stata rapida e vittoriosa, e che alla fine, dopo il trionfo, sarebbe stato possibile imporre la propria volontà allo zar Alessandro I. L’imperatore cercò soprattutto di riportare la Russia al sistema di blocco continentale con cui la Francia cercava di strangolare economicamente l'Inghilterra. 

Formalmente lo zar era stato costretto ad aderirvi già nel 1807 dopo la sconfitta dei francesi nella battaglia di Friedland. Tuttavia, per la Russia era estremamente poco redditizio interrompere i legami economici con la “nebbiosa Albione” (Albione è l’antico nome della Gran Bretagna, ndr), e continuava a commerciare segretamente. Questo stato di cose rendeva insensata l'idea stessa del blocco.

Il generale Rajevskij al comando dei suoi uomini durante la battaglia di Saltanovka

La Grande Armata invase l'Impero russo con oltre 400mila uomini, ai quali se ne aggiunsero altri 200mila nei mesi successivi. L'esercito comprendeva svizzeri, polacchi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, olandesi e soldati di altre nazionalità. Molti di loro avrebbero preferito combattere contro Napoleone piuttosto che al suo fianco, ma con il dominio totale della Francia in Europa, non avevano altra scelta. I francesi stessi rappresentavano poco più della metà delle truppe.

La battaglia di Kljastitsij

L'aggressore si trovò di fronte tre eserciti russi eterogenei con una forza totale di 230.000 uomini. Per evitare la battaglia generale voluta da Bonaparte, gli schieramenti si ritirarono verso est, all’interno del Paese. Il 15 agosto, la 1° e la 2° armata occidentale si collegarono a Smolensk. Il principe Barclay de Tolly, feldmaresciallo russo e ministro della guerra durante la campagna di Russia del 1812, aveva intenzione di continuare la ritirata, ma sotto la pressione dell'opinione pubblica fu costretto a dare battaglia ai francesi. Dopo due giorni di scontri accaniti, la città di Smolensk, inghiottita dagli incendi, fu abbandonata.

La battaglia di Smolensk

A questo punto la campagna di Russia per la Grande Armata non sembrava più una passeggiata. Nel tentativo di avanzare insieme a Napoleone verso il “cuore della Russia”, ovvero Mosca, le forze principali iniziarono a subire pesanti perdite negli scontri con le truppe russe. 

“Il pane è finito, non c'è una goccia di vino né di vodka, la gente si nutre di sola carne bovina, proveniente dal bestiame sottratto agli abitanti e ai villaggi circostanti”, scriveva un ufficiale della guarnigione francese, di ritorno da Smolensk, il 27 agosto: “Ma anche la carne non basta, perché quando ci avviciniamo si disperdono e portano via con sé tutto ciò che possono prendere e si nascondono nelle fitte foreste, quasi inespugnabili. I nostri soldati abbandonano i loro stendardi e si disperdono in cerca di cibo; i contadini russi, quando li vedono, li uccidono con le loro mazze, le lance e i fucili”. 

Le squadre di autodifesa nate spontaneamente nei villaggi affrontarono senza pietà gli invasori, mentre alcuni distaccamenti partigiani di ussari e cosacchi operavano nelle retrovie dell'esercito nemico. “Il pensiero dominante dei partigiani dell'epoca doveva essere quello di schiacciare, disturbare, molestare, fare a pezzi, e, per così dire, bruciare il nemico senza intoppi e senza sosta”, scrisse Denis Davydov, comandante di uno di questi distaccamenti, nel suo “Diario delle azioni partigiane”.

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I cosacchi di Platov presso Mir, 9 luglio 1812

Il generale Mikhail Kutuzov, che subentrò a Barclay de Tolly nella carica di comandante in capo dell'esercito russo, condivise la strategia del suo predecessore: schiacciare il nemico attraverso una massiccia ritirata nelle profondità nel Paese. Ma c’era chi chiedeva una grande battaglia e il 7 settembre, presso il villaggio di Borodino, a 125 chilometri da Mosca, i russi e i francesi si scontrarono in un ferocissimo combattimento.

Al termine di quella che fu una delle battaglie più sanguinose della storia del XIX secolo, sul campo rimasero i corpi inermi di 80mila persone. Nessuna delle due parti fu in grado di ottenere una vittoria decisiva. Napoleone in seguito avrebbe detto: “La battaglia di Borodino è stata la più bella e la più temibile, i francesi si sono dimostrati degni della vittoria e i russi hanno meritato di essere invincibili”.

Napoleone vicino a Borodino

Kutuzov si rese conto che l'esercito russo, ormai dissanguato, non avrebbe retto a un nuovo scontro. Il 13 settembre, in un consiglio di guerra organizzato nel villaggio di Fili, fu presa una decisione difficile: ritirarsi, lasciando la capitale in mano al nemico. “Con la perdita di Mosca non si perde la Russia. Il primo compito, credo, è quello di preservare l'esercito”, disse il comandante in capo. 

Consiglio militare a Fili

Dopo aver occupato Mosca, l'imperatore francese pensò di aver finalmente ottenuto la vittoria e attese gli ambasciatori dello zar Alessandro I con delle proposte di pace. Ma, al contrario, fu “accolto” da un terribile incendio che distrusse tre quarti degli edifici in legno della città. “Che spettacolo terribile! Sono loro che hanno dato fuoco a se stessi... Che determinazione! Che uomini!”, disse l'Imperatore guardando l'oceano di fuoco che imperversava dal Cremlino. 

Davanti a quella città distrutta, l’esercito francese, un tempo “grande”, iniziò pian piano a perdere pezzi, con i soldati che si davano all’alcol e ai saccheggi. Non riuscendo a scendere a patti con i russi e dopo aver rifiutato la proposta dei suoi comandanti di passare l’inverno in città, Napoleone e le sue truppe lasciarono Mosca il 19 ottobre.

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Cattive notizie dalla Francia

I francesi intendevano sfondare a sud-ovest, verso Kaluga, dove si trovavano i depositi di cibo dell'esercito russo. Ma il 24 ottobre, nella cittadina di Malojaroslavets, incontrarono le truppe inviate da Kutuzov per tagliargli la strada.

“A ogni passo si vedevano braccia e gambe strappate, teste schiacciate dall'artiglieria di passaggio - disse un testimone oculare della battaglia, Eugène Labome -. Delle case rimanevano solo rovine fumanti, con scheletri semidistrutti visibili sotto la cenere ardente".   

Sebbene la città fosse ormai in mano ai francesi, essi non riuscirono ad avanzare a causa delle pesanti perdite subite. Napoleone tornò indietro verso la strada di Smolensk, che era già stata devastata dalle sue truppe. 

La battaglia di Malojaroslavets del 24 ottobre 1812

11 Diverse armate russe si lanciarono dietro al nemico in ritirata, cercando un momento opportuno per attaccare. I distaccamenti partigiani “volanti” non lasciarono un attimo di tregua ai francesi.

A metà novembre, nei pressi della città di Krasny, le truppe russe riuscirono a tagliare la strada e a sconfiggere il corpo d'armata del principe Eugenio di Beauharnais, dei marescialli Louis-Nicolas Davout e Michel Ney. I francesi persero moltissimi uomini: 10.000 morti e altri 26.000 feriti. “Intere folle di francesi, alla sola vista dei nostri piccoli distaccamenti, si affrettavano a gettare le armi”, raccontò Davydov. 

La battaglia di Krasnyj

Il 24 novembre l'esercito francese di 80.000 uomini (di cui solo la metà in grado di combattere) si avvicinò al fiume Berezina. Al di là del fiume si trovava l’accesso diretto alla frontiera tra l'Impero Russo e il Ducato di Varsavia, alleato di Napoleone. 

“Tutti si preoccupavano solo dell'autoconservazione personale - disse l'ufficiale Vionnet de Marengonet -, i vincoli della disciplina erano venuti meno; l'ordine non esisteva più: per raggiungere il ponte, il più forte rovesciava il debole e ne calpestava il cadavere”. 

L'attraversamento del fiume Berezina, il 29 novembre 1812

I russi cercarono di tendere una trappola ai francesi, ma l'Imperatore, il suo stato maggiore, le Guardie e parte delle truppe riuscirono comunque a sfondare verso ovest. Gli altri furono meno fortunati: circa 50.000 persone furono uccise nelle battaglie, catturate o annegate nelle fredde acque della Berezina.

La ritirata di Napoleone dalla Russia

La Grande Armata cessò di esistere, ma Napoleone, che aveva ricevuto un colpo terribile, non era ancora stato completamente piegato. Le truppe russe dovettero marciare attraverso l'Europa, versare molto sangue ed entrare a Parigi prima che l'imperatore francese abdicasse al trono. 

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