Senza essere ancora neppure riusciti a stabilire il loro potere su tutto il Paese, sconvolto dalla Guerra Civile, i bolscevichi cominciarono ad abbattere l’insieme degli elementi culturali del “vecchio regime”. Il nuovo governo sovietico considerava il sacerdozio e le tradizioni della Chiesa ortodossa come parte integrante del vecchio modello di governo e del sistema di valori da superare. I bolscevichi volevano distruggere la vecchia fede religiosa che legava popolo e potere e imporne una nuova: la fede nel comunismo e nei suoi leader.
LEGGI ANCHE: Perché lo zar russo era considerato un emissario di Dio (con enormi benefici)?
L’oppio dei popoli
La Chiesa era un elemento importante della vita nella Russia pre-rivoluzionaria. Si occupava della registrazione delle nascite e delle morti, gestiva l’istituzione del matrimonio e plasmava la morale dei parrocchiani. Spesso nella pratica si trasformava da elemento di vita spirituale a elemento burocratico incorporato nel sistema statale. Per i contadini, la Chiesa era l’unica fonte di percezione del mondo, anche perché bisogna considerare che all’inizio del XX secolo l’85% dei contadini russi era analfabeta.
LEGGI ANCHE: Come i Bolscevichi insegnarono ai russi a leggere e a scrivere
Il sacerdote durante la messa leggeva la Bibbia, e nei sermoni spiegava ciò che aveva letto e i vari eventi della vita, sostenendo che la monarchia era la forma stabilita da Dio per l’esistenza umana, e che ognuno doveva occupare il suo posto nella società e non cercare di cambiarlo. I bolscevichi erano particolarmente contrari alla visione degli ortodossi, secondo cui un cristiano dovrebbe essere ricompensato per la sofferenza patita in questo mondo solo nell’“altro mondo”, mentre in questo dovrebbe sopportare ogni angheria. I bolscevichi vedevano in questo atteggiamento un puro inganno che manteneva grandi masse della popolazione prive di diritti e nella povertà, mentre altre sfruttavano il loro lavoro e vivevano nell’ozio e nella ricchezza.
Karl Marx, grande ispiratore dei bolscevichi, aveva scritto: “La religione è l’oppio dei popoli”. Questa stessa formulazione fu ripetuta nelle sue opere dal leader della Rivoluzione russa, Lenin. E divenne uno slogan dei bolscevichi. Lenin ha scritto che è la posizione di impotenza della classe oppressa e la sua incapacità di opporsi agli sfruttatori a dare origine alla credenza in una sorta di aldilà migliore della vita terrena. La religione offre ai proletari “una giustificazione a buon mercato per tutta la loro esistenza da sfruttati”.
La propaganda bolscevica iniziò a combattere i “pope”, come allora i preti ortodossi venivano chiamati in modo dispregiativo. I manifesti sovietici ritraevano il clero in modo caricaturale: creature grasse e disgustose con la tonaca e la barba lunga, che “drogavano" il popolo con l’oppio della religione.
LEGGI ANCHE: Religione, oppio dei popoli: i manifesti di epoca sovietica contro Dio, la fede e i sacerdoti
Il sequestro dei beni della Chiesa e la repressione
I bolscevichi passarono rapidamente dalla propaganda all’azione. In questa guerra sanguinosa contro la Chiesa, non si fece distinzione tra chi era mosso da fini spirituali e chi era un ingannatore, dedito solo a far soldi con le cerimonie. Ivan Kochurov, il prete della Cattedrale di Caterina a Tsarskoe Selo, è considerato essere la prima vittima dei bolscevichi: fu assassinato nel 1917 quando l’Armata Rossa fece irruzione nell’ex residenza zarista.
Nel 1918 fu emanato il decreto “Sulla separazione della Chiesa dallo Stato e della Scuola dalla Chiesa”. Le terre della Chiesa furono nazionalizzate e la gestione del matrimonio e delle relazioni familiari furono tolte all’amministrazione ecclesiastica. Nel 1918-20 i bolscevichi lanciarono una campagna antireligiosa e iniziarono ad aprire le teche contenenti le reliquie dei santi russi per sfatare il mito che non si decomponevano, e in questo modo liberarsi dal culto delle reliquie. Il materiale fotografico con i sarcofagi aperti fu utilizzato attivamente dalla propaganda.
Nel 1922, i bolscevichi andarono oltre e iniziarono una campagna di confisca dei tesori della chiesa, con il pretesto di combattere la fame di massa e ricostruire l’economia distrutta dalla Guerra Civile. Suppellettili ecclesiastiche in metalli preziosi, coperture di icone, croci e altri oggetti in oro, argento o pietre preziose furono portati da tutto il Paese in un magazzino statale appositamente creato. Gran parte di essi furono poi venduti in Occidente.
I sacerdoti resistevano duramente al barbaro saccheggio delle chiese, per cui gli ufficiali della polizia segreta li arrestavano spesso, li accusavano di attività controrivoluzionaria e di propaganda antisovietica, li torturavano e li sottoponevano a rappresaglie. Più di mille sacerdoti, nei primi anni Venti, rimasero vittime della repressione, tra cui gli importanti vescovi di Mosca e Pietrogrado.
Uno dei casi che fece più scalpore accadde nella città di Shuja, nella regione di Ivanovo, dove i parrocchiani della cattedrale della Santa Resurrezione impedirono la confisca di oggetti di valore dalla chiesa locale, e dove l’Armata Rossa aprì il fuoco sulla folla dei fedeli. Diverse persone rimasero uccise, e i sacerdoti che avevano aizzato la protesta furono poi processati e fucilati.
Spaccatura nella Сhiesa
Alcuni religiosi emigrarono subito dopo la Rivoluzione, ma la maggior parte rimase in patria e continuò a officiare. Inoltre, in occasione della Rivoluzione, il Patriarcato, che era stato abolito da Pietro il Grande nel 1721 e sostituito dal Santissimo Sinodo, fu restaurato. Il Patriarca eletto, Tikhon, godeva di grande autorità. Quando scoppiò la Guerra Civile, condannò coloro che stavano spargendo sangue e chiese un cambiamento nel cuore.
Nel 1922 Tikhon fu arrestato e probabilmente sarebbe stato giustiziato come altri sacerdoti. Tuttavia, fu presto rilasciato, e fu pubblicata una confessione a suo favore, secondo la quale “era stato sotto la perniciosa influenza di individui antisovietici, ma ora non era più un nemico del potere sovietico”. Per affrontare la massiccia gerarchia ecclesiastica, i bolscevichi iniziarono a provocare una scissione nell’ortodossia russa. Nel corso di questo processo, i preti “rinnovatori” fedeli ai bolscevichi si opposero al patriarca, che alla fine fu rimosso dall’incarico, decapitando essenzialmente la Chiesa.
Chiusure e demolizioni di chiese
Dopo la morte di Lenin, si aprì una lotta molto dura per il controllo del partito, e la repressione della Chiesa si attenuò per un certo tempo. Tuttavia, già nel 1928 furono prese misure “per rafforzare la lotta antireligiosa”, che era ormai equiparata alla lotta di classe. Nell’Urss iniziò una demolizione di massa delle chiese che proseguì per tutti gli anni Trenta. Di conseguenza, alla fine dell’esistenza dell’Urss, delle 54.000 chiese attive prima della Rivoluzione ne erano rimaste solo circa 7.000.
Alcune chiese abbattute, come la Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, sono poi state poi ricostruite. Ma molte sono andate irrimediabilmente perdute. I bolscevichi tentarono anche di demolire la Cattedrale di San Basilio, ma la gente di cultura si impegnò per la sua conservazione e vi fu aperto un museo. C’è, tuttavia, un’altra versione del perché il tempio è sopravvissuto: un intero aneddoto storico secondo cui uno dei fedelissimi di Stalin, Lazar Kaganovich, nel presentare al leader il progetto per la risistemazione della Piazza Rossa avrebbe rimosso il modellino della cattedrale, ma Stalin avrebbe detto: “Lazar, quella rimettila a posto!”.
Senza esitazione, i bolscevichi demolirono antiche chiese se interferivano con la costruzione di centrali idroelettriche, o nuovi viali. Molte chiese furono semplicemente chiuse e utilizzate per i bisogni del nuovo Paese sovietico. Gli ex luoghi sacri potevano essere trasformati in qualsiasi cosa, da un deposito di grano a una fabbrica. I monasteri erano spesso trasformati in prigioni, e nella cattedrale di Kazan a San Pietroburgo, per esempio, venne aperto il Museo di storia della religione e dell’ateismo, come beffa per i fedeli.
LEGGI ANCHE: Lazar Kaganovich, dieci fatti da sapere su uno degli uomini chiave della storia sovietica
Una nuova ondata di repressione
Alla fine degli anni Trenta, iniziarono il Grande Terrore di Stalin e le repressioni di massa. Anche gli ecclesiastici scampati in precedenza non poterono sfuggire a queste rappresaglie. Per tutto questo tempo vennero costantemente arrestati, spesso direttamente durante le messe, e più spesso per motivi politici di “agitazione antisovietica”. Molti preti e vescovi ortodossi scontarono pene nelle prigioni e al confino, così come furono condannati ai lavori forzati nel Gulag. Molti vi morirono o furono fucilati.
LEGGI ANCHE: Come ha fatto la Chiesa ortodossa a sopravvivere a 70 anni di ateismo nell’Urss?
Nel 1937 e 1938 a Butovo, vicino a Mosca, furono fucilate circa 20.000 persone, e circa un migliaio di queste erano membri del clero di varie confessioni. Negli anni Novanta, il patriarca Alessio II definì le fosse comuni di questo luogo “il Golgota russo”. Tutte queste persone erano state sottoposte a esecuzione extragiudiziale, secondo il verdetto di una trojka dell’Nkvd. Dopo il crollo dell’Urss, 321 sacerdoti sono stati canonizzati come “Nuovi martiri di Butovo”.
In totale sono stati canonizzati più di 1.700 nuovi martiri e confessori della Chiesa di Russia, che hanno subito persecuzioni dopo la Rivoluzione del 1917. Secondo varie stime, fino a 100.000 persone sono state represse per motivi religiosi durante tutta la storia dell’Urss.
LEGGI ANCHE: Stalin e le purghe, quali furono le vere cifre del Grande Terrore?
Cari lettori,
a causa delle attuali circostanze, c’è il rischio che il nostro sito internet e i nostri account sui social network vengano limitati o bloccati. Perciò, se volete continuare a seguirci, vi invitiamo a:
- Iscrivervi al nostro canale Telegram
- Iscrivervi alla nostra newsletter settimanale inserendo la vostra mail qui
- Andare sul nostro sito internet e attivare le notifiche push quando il sistema lo richiede
- Attivare un servizio VPN sul computer e/o telefonino per aver accesso al nostro sito se risultasse bloccato nel vostro Paese