Dopo aver stabilito il potere sovietico e essersi imposti nella Guerra civile, i bolscevichi iniziarono a decidere come rimettere in piedi e far decollare l’economia del nuovo Paese, colpito dalla fame, dalla povertà e dalle devastazioni belliche. Nella seconda metà degli anni Venti iniziarono massicciamente le cosiddette “svendite staliniste” in Occidente dei beni artistici dell’Impero russo. Letteralmente all’ingrosso, furono venduti ai milionari statunitensi ed europei corone, diamanti, uova Fabergé, icone e dipinti di antichi maestri e di impressionisti provenienti dai musei russi, incluso l’Ermitage.
Tuttavia, grazie agli sforzi del personale dei musei, molti oggetti di valore storico e artistico vennero salvate e conservate. Uno di questi strenui difensori fu Dmitrij Ivanov, direttore del Palazzo dell’Armeria, uno dei musei del Cremlino di Mosca.
LEGGI ANCHE: Cosa c’è all’interno del Cremlino di Mosca?
Nazionalizzazione di tutti i beni di valore
Insegne imperiali, gioielli e oggetti di valore della famiglia imperiale furono evacuati da San Pietroburgo al Cremlino all’inizio della Prima guerra mondiale a causa del pericolo di un attacco tedesco all’allora capitale dell’Impero.
Dopo la Rivoluzione del 1917, nel Commissariato del popolo (così si chiamavano i ministeri) per l’Educazione fu costituito un dipartimento museale, e in esso un sottodipartimento per la protezione dei monumenti artistici e dell’antichità. Per proteggere i beni zaristi da usi impropri, Dmitrij Ivanov, un dipendente del dipartimento, fu inviato al Cremlino. Di origini nobili, fin dall’infanzia era stato circondato da arte e antichità. Ancora nella Russia zarista, aveva ricevuto un’istruzione classica, si era laureato all’Università di Mosca, era diventato avvocato e aveva lavorato presso il Ministero della Giustizia. Ma si era sempre occupato della conservazione dei beni culturali. Già quarant’anni prima della formazione dell’Unesco, invitò la comunità mondiale ad adottare un diritto internazionale per proteggere le opere d’arte. Ivanov considerava una perdita irreparabile i valori culturali andati distrutti in diversi Paesi durante guerre e rivoluzioni.
Dopo la Rivoluzione, Ivanov scelse di restare in Russia e chiese di poter lavorare per il Commissariato popolare per l’educazione, per difendere i monumenti della storia e dell’arte.
Il salvataggio dei tesori del deposito statale
I bolscevichi proibirono ai privati di portare fuori dal Paese oggetti di valore e li nazionalizzarono. Inoltre, in tutto il Paese raccolsero un’enorme quantità di opere d’arte, oggetti preziosi ecclesiastici, pietre e metalli preziosi. Nel 1920 fu emesso un decreto sull’istituzione di un Deposito statale dei valori (il Gokhran). Il dipartimento intraprese l’opera di centralizzazione dell’archiviazione e della contabilità dei tesori nazionalizzati. L’obiettivo era vendere quanti più gioielli possibile all’estero per migliorare l’economia del Paese.
Nel 1922, Dmitrij Ivanov divenne capo dell’Armeria, il museo del tesoro del Cremlino, e fece in modo che i dipendenti del Palazzo potessero effettuare un esame degli oggetti di valore del Gokhran.
“Dalla mattina alla sera, a un ritmo insolitamente veloce, ci siamo occupati di diverse centinaia di oggetti delle più diverse qualità, da quelli record al mondo ai più minuti, determinandone irrevocabilmente, in pochi istanti, il valore e il destino…” scrisse nella sua relazione.
Degli 80 mila oggetti di valore del Gokhran, Ivanov dovette selezionare i più importanti e convincere i bolscevichi che quelli sarebbero dovuti rimanere a ogni costo nel Paese per essere messi in mostra, come si faceva con le insegne reali, ad esempio, in Francia e Inghilterra.
Grazie a Ivanov, molti tesori dell’Impero russo rimasero nel Paese, che in seguito formò un dipartimento speciale del museo: il Fondo dei Diamanti. Ivanov riuscì anche a salvare migliaia di reliquie della Chiesa russa e creò un dipartimento di arte ecclesiastica nell’Armeria. Ivanov continuò anche in seguito a cercare vari oggetti di valore nei negozi di antiquariato e talvolta riuscì a salvarne anche quando stavano già per fonderli.
LEGGI ANCHE: Cinque storie misteriose sui più sfarzosi gioielli zaristi
Non saccheggiò, non vendette, non nascose
Nel 1924 Ivanov fu arrestato per la falsa accusa di essere a capo di un gruppo di “controrivoluzionari museali”, ma poi Natalija Sedova, capo del dipartimento dei musei e moglie dell’allora ancora onnipotente Lev Trotskij, ne ottenne il rilascio. Ma presto Trotskij e sua moglie caddero in disgrazia e furono costretti a fuggire.
La politica statale nel campo dell’arte fu accompagnata da un’impensabile distruzione di monumenti e chiese: per Ivanov fu un colpo. Lasciò l’incarico di direttore dell’Armeria, ma rimase un ricercatore e fece del suo meglio per impedire la vendita di oggetti di valore.
Tuttavia, dopo aver completato l’ondata di “epurazioni” degli elementi controrivoluzionari dal personale delle istituzioni culturali, i bolscevichi tornarono al piano di mantenere l’economia a spese dei tesori zaristi. Questa volta il Gokhran fu incaricato di liberare per la vendita oggetti “non museali” dell’Armeria per un valore di 30 milioni di rubli per la vendita all’estero.
“Non ho saccheggiato, né venduto, né commerciato, né nascosto gli oggetti di valore, ma c’era il caos nel lavoro dell’ufficio, un sacco di mancanze ed errori”. Questo messaggio fu trovato vicino al corpo di Dmitrij Ivanov nel 1930, dopo la sua misteriosa morte. Dal tono disperato e dolente molti decisero che si fosse suicidato, depresso per le azioni barbare delle autorità nel campo della conservazione artistica.
Il giorno dopo la morte di Ivanov, fu firmato un decreto sul sequestro di 100 oggetti d’argento francese, compresi quelli che era riuscito a salvare in precedenza. Nel giugno 1930, il Gokhran sequestrò per la vendita più di 300 oggetti d’antiquariato e 11 uova di Pasqua Fabergé…
E per altri cinque anni, i bolscevichi confiscarono e vendettero preziose proprietà dell’Armeria. Eppure, la maggior parte del tesoro, e il Fondo dei diamanti, creato con i gioielli reali salvati da Ivanov, sono rimasti patrimonio culturale della Russia.
LEGGI ANCHE: Quali gioielli dei Romanov sono conservati nel Fondo dei Diamanti del Cremlino?
Cari lettori,
a causa delle attuali circostanze, c’è il rischio che il nostro sito internet e i nostri account sui social network vengano limitati o bloccati. Perciò, se volete continuare a seguirci, vi invitiamo a:
- Iscrivervi al nostro canale Telegram
- Iscrivervi alla nostra newsletter settimanale inserendo la vostra mail qui
- Andare sul nostro sito internet e attivare le notifiche push quando il sistema lo richiede
- Attivare un servizio VPN sul computer e/o telefonino per aver accesso al nostro sito se risultasse bloccato nel vostro Paese