Il 5 marzo 1953 Joseph Stalin morì. Dopo di lui salì al potere uno dei suoi più stretti collaboratori: Georgij Malenkov, che fu eletto presidente del Consiglio dei Ministri dell'URSS lo stesso giorno e prese immediatamente posto nello studio del “padre del popolo”.
Ma il potere di Malenkov non era così assoluto e smisurato come quello del suo predecessore. Anche se, come capo del governo, occupava quella che era considerata la posizione più alta del paese, doveva muoversi con cautela tenendo conto di altre due figure influenti nella leadership sovietica: Lavrentij Berija, a capo del Ministero degli Affari Interni e dei servizi di sicurezza, e Nikita Khrushchev, segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista.
Georgij Malenkov rimase alla guida dello Stato per meno di due anni. In questo periodo, riuscì a ridurre le spese per la difesa e ad avviare cambiamenti nell'industria leggera e nell'agricoltura, abbassando le tasse per i contadini e condonando i debiti delle fattorie collettive accumulati negli anni precedenti.
La popolazione delle zone rurali iniziò a vivere in modo più agiato; ma le politiche di Malenkov non erano viste di buon grado da un certo gruppo di alti funzionari, fra i quali anche Khrushchev. Tra le varie cose, si opponevano alla decisione di Malenkov di dimezzare la retribuzione dei funzionari del Partito, e al fatto che - secondo loro - stava trascurando l'industria pesante e la difesa.
“Formalmente fu accusato di errori politici. Inoltre i suoi compagni non gli perdonarono il fatto di aver iniziato a prendere decisioni importanti senza consultarli come faceva Stalin”, ha ricordato lo statista sovietico Mikhail Smirtyukov.
Khrushchev stava gradualmente guadagnando forza; con l’arresto e la liquidazione dell’onnipotente Berija, Khrushchev eliminò ogni ostacolo dal suo cammino e all'inizio del 1954 si assicurò le dimissioni di Georgij Maksimilianovich dalla carica di presidente del Consiglio dei Ministri.
Il 12 novembre 1982 Yurij Vladimirovich Andropov, che aveva diretto il KGB per 15 anni, fu eletto Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista. Ma avrebbe occupato la più alta carica del paese per meno di 18 mesi.
“Andropov era tenuto in grande considerazione, e non solo dai funzionari della sicurezza: quando fu eletto segretario generale del Comitato Centrale, la maggior parte della gente lo accolse con favore, nonostante fosse il presidente del KGB, un'organizzazione che, francamente, non era esattamente popolare. Ma la gente sentiva che era il tipo di leader di cui il paese aveva bisogno in quel momento”, ha ricordato nel 1985-1991 il primo vice presidente del KGB Filip Bobkov.
Il breve periodo di Andropov al potere fu caratterizzato da una lotta su larga scala contro la corruzione, l’affarismo e la frode nel settore della vendita al dettaglio, così come da una “pulizia generale” dell'apparato del Partito: durante la sua carica, 18 ministri persero il lavoro.
Il popolo sovietico associò Andropov principalmente a una campagna mirata a “ristabilire l’ordine” e a “rafforzare la disciplina”, con squadre di polizia che facevano irruzione nei cinema e nei grandi magazzini durante l'orario di lavoro alla ricerca di coloro che saltavano il lavoro o gli studi. E se i prezzi di molti beni aumentarono, la vodka iniziò ad avere un costo ben più accessibile, e per questo iniziò a essere chiamata “Andropovka”.
Il segretario generale era convinto della necessità urgente di riformare il paese: sotto di lui iniziò il cosiddetto “esperimento economico su larga scala”, durante il quale le imprese ricevettero maggiori poteri e ottennero condizioni economiche completamente nuove. Un'altra novità fu l’organizzazione di discussioni preliminari di importanti decisioni governative nei collettivi di lavoro.
Ma l'attuazione di queste trasformazioni politiche ed economiche fu interrotta dal cattivo stato di salute di Andropov: il 9 febbraio 1984 morì di insufficienza renale acuta.
“Sono convinto che se il destino avesse concesso a Yurij Vladimirovich qualche anno di vita in più, non ci sarebbero stati disastrosi disordini, nessun sanguinoso conflitto interetnico, nessun diffuso indebolimento del potere statale”, ha detto nel 1990-1991 il presidente del Soviet Supremo dell'URSS, Anatolij Lukyanov.
Konstantin Ustinovich Chernenko, che salì al potere dopo Andropov come Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista, fu il leader più anziano dell'URSS: al momento della sua elezione aveva 72 anni.
Chernenko continuò in gran parte la politica di modernizzare del paese avviata dal suo predecessore: fu lui che per primo parlò di “perestrojka” - un concetto più tardi associato a Gorbaciov - dicendo che “il sistema di governo del paese e il meccanismo economico” avevano bisogno della “perestroika” (letteralmente, “ricostruzione”).
Konstantin Ustinovich ridusse gradualmente le incursioni della polizia contro gli assenteisti, ma il suo approccio alla lotta alla corruzione si rivelò più morbido di quello del suo predecessore. Diede nuovo impulso alle indagini sulla corruzione della polizia, che alla fine portarono al suicidio dell’ormai licenziato ministro degli Affari Interni, Nikolaj Shchelokov.
“Penso che Chernenko, salito al potere per un breve periodo, volesse entrare nella storia come un pacificatore. Disse al vicepresidente Bush, che partecipò al funerale di Andropov, che l'URSS e gli Stati Uniti non erano nemici innati”, ha ricordato il diplomatico sovietico Anatolij Adamishin nel suo libro “Over the Years”. Konstantin Ustinovich autorizzò la ripresa dei colloqui sovietico-americani sulle armi nucleari e spaziali. Allo stesso tempo, l'Unione Sovietica boicottò le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 come ritorsione per il boicottaggio statunitense delle Olimpiadi di Mosca del 1980.
Il tentativo di Chernenko di una riabilitazione politica di Stalin finì in fallimento. Ma riuscì a ripristinare l'appartenenza al Partito per il 94enne ex ministro degli esteri Vyacheslav Molotov, che era stato espulso da Khrushchev nel 1962 “per attività anti-partito e partecipazione alle repressioni di massa”. La gente cominciò a scherzare sul fatto che Konstantin Ustinovich aveva trovato un successore.
Chernenko morì di arresto cardiaco il 10 marzo 1985; fu l'ultimo Segretario Generale a essere sepolto vicino alle mura del Cremlino. Il giorno seguente, Mikhail Gorbaciov divenne il nuovo capo dell'Unione Sovietica.
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