Andrej Sàkharov (1921-1989) divenne un nome familiare in Urss, prima di tutto, come l’uomo che aveva partecipato alla messa a punto della bomba all’idrogeno per scongiurare la minaccia rappresentata dagli Stati Uniti nella Guerra fredda.
Il percorso di Sakharov verso l’impegno pubblico fu complicato e spinoso come le leggi della fisica. Il giovane Andrej seguì le orme di suo padre e divenne un fisico. Rara combinazione di intelligenza e intuizione, Sakharov si laureò in breve tempo all’Università Statale di Mosca, e venne accettato all’Accademia delle Scienze all’età di 32 anni, diventando così il suo membro più giovane di sempre. A differenza della maggior parte dei suoi coetanei, il giovane scienziato si rifiutò di aderire al Partito Comunista, anche se, a quei tempi, per costruire una carriera di successo era necessario avere la tessera in tasca.
Nel 1948, Sakharov divenne un membro del team che sviluppò la bomba all’idrogeno, guidato dall’importante fisico sovietico Igor Tamm (1895-1971; Premio Nobel per la Fisica nel 1958). Questa sarebbe stata la missione di Sakharov per i prossimi due decenni.
Brillante fisico teorico, Sakharov si dimostrò anche un eccezionale inventore. Fece scalpore quando propose il progetto innovativo di una bomba all’idrogeno che sarebbe diventata nota con il soprannome di “Slojka” (dal nome di un dolcetto a strati), la RDS-6s. Lo schema caratteristico di Sakharov prevedeva strati di deuterio e uranio posti tra il nucleo fissile di una bomba atomica. Nel 1950, lo scienziato sovietico iniziò a lavorare presso l’Istituto di ricerca scientifica di fisica sperimentale, noto anche come struttura nucleare segreta Arzamas-16. Il gruppo lavorò duro e l’impegno venne ripagato con il successo del test della prima bomba all’idrogeno sovietica “a strati” il 12 agosto 1953. Per i suoi straordinari risultati, Sakharov ricevette tre volte il prestigioso riconoscimento di “Eroe del lavoro socialista”.
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Sakharov aveva molti obiettivi e non smetteva mai di lavorare. Il gruppo di ricercatori, guidato da lui, proseguì l’opera di sviluppo per migliorare la bomba all’idrogeno. Su un binario parallelo, Sakharov, insieme a Igor Tamm, avanzò l’idea del confinamento magnetico del plasma, e svolse un’analisi ingegneristica degli impianti per la fusione termonucleare controllata. Nel 1961, Sakharov propose di utilizzare la compressione laser per una reazione termonucleare controllata. Le sue idee rivoluzionarie gettarono le basi per la ricerca su larga scala nel campo dell’energia termonucleare.
L’impegno per i diritti umani
Immergendosi sempre più nella sua ricerca, Sakharov iniziò a mettere in discussione l’etica dello sviluppo di armi di distruzione di massa.
“Personalmente, sono convinto che l’umanità abbia bisogno dell’energia nucleare. Deve progredire, ma solo con garanzie di sicurezza assolute”, disse.
Alla fine degli anni Cinquanta, Sakharov iniziò a occuparsi del tema dei diritti umani. Nel 1958 furono pubblicati due suoi articoli che avvertivano degli effetti dannosi della radioattività delle esplosioni nucleari sull’ereditarietà genetica e sull’aspettativa di vita media.
Nello stesso anno, Sakharov cercò di sostenere un’estensione della moratoria sui test nucleari dichiarata dall’Unione Sovietica.
Nel 1961, Sakharov chiese a Nikita Khrushchev di fermare i test sulle armi nucleari. Il leader sovietico ribatté che gli scienziati dovevano stare al loro posto e non occuparsi di politica. Nel 1963, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti accettarono finalmente tali limiti, con la firma del rivoluzionario Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari (Partial Nuclear Test Ban Treaty).
Nel 1966, in quanto convinto critico del culto della personalità di Stalin, Sakharov firmò una lettera al XXIII Congresso del Partito Comunista, il primo sotto la guida di Leonid Brezhnev, contro la riabilitazione dello spietato architetto delle purghe.
Nel 1968, Sakharov scrisse un saggio intitolato “Riflessioni sul progresso, la pacifica coesistenza e la libertà intellettuale”. Il testo circolò in forma di samizdat, prima di essere pubblicato al di là della cortina di ferro, sul “New York Times”. Condannando la corsa agli armamenti nucleari, Sakharov chiedeva la riduzione delle armi atomiche e sollecitava una cooperazione tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti per combattere la minaccia globale della fame, della sovrappopolazione e dell’inquinamento ambientale. In breve, il saggio profetico di Sakharov venne tradotto in 17 lingue, con oltre 18 milioni di copie in circolazione in tutto il mondo. Le idee rivoluzionarie di Sakharov ottennero sempre più sostegno.
La pubblicazione di questo testo di vasta portata costò a Sakharov il lavoro. Venne rimosso dalle sue responsabilità presso la struttura di ricerca scientifica Arzamas-16. Nel 1969, tornò all’Istituto di fisica Lebedev di Mosca per lavorare come ricercatore esperto.
Sakharov rinunciò ai suoi tentativi di cambiare le menti fossilizzate dei leader sovietici e iniziò a fare appello a coloro che, secondo lui, erano pronti ad ascoltare. I messaggi di Sakharov divennero chiari e diretti alla gente comune.
Nel 1970 Sakharov co-fondò il Comitato per i diritti dell’uomo di Mosca. Lo scienziato si espresse a favore dell’abolizione della pena di morte, per il diritto all’emigrazione, e contro il trattamento sanitario obbligatorio dei dissidenti negli ospedali psichiatrici.
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Nel 1971, si rivolse al governo sovietico con un memorandum su questioni urgenti di politica interna ed estera (Sakharov avanzò proposte per la liberalizzazione del Paese) e, nel 1974, pubblicò all’estero un saggio intitolato “Il mondo fra mezzo secolo”, in cui rifletteva sulle prospettive del progresso scientifico e tecnologico e delineava la sua visione della struttura del mondo.
Nel 1975, Sakharov scrisse un libro sui pericoli del totalitarismo, della stagnazione economica e della repressione delle minoranze etniche, intitolato “Il mio Paese e il mondo”. Nello stesso anno gli fu conferito il Premio Nobel per la Pace per “l’impavido impegno personale nel sostenere i principi fondamentali per la pace”.
Secondo il Comitato per il Nobel, il fisico nucleare sovietico aveva “combattuto senza compromessi e con forza instancabile contro l’abuso di potere e ogni forma di violazione della dignità umana”.
Le autorità sovietiche vietarono a Sakharov di recarsi a Oslo, quindi fu sua moglie, la compagna di tutta una vita Elena Bonner (1923-2011), a ritirare il premio per suo conto.
“Ora e per sempre, intendo restare fedele alla mia fede nella forza nascosta dello spirito umano”, disse Sakharov nel 1975.
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Confino e lotta per la libertà
La straordinaria audacia dello sforzo di Sakharov non conosceva limiti. Nel dicembre 1979, criticò la decisione di inviare truppe sovietiche in Afghanistan. Espresse pubblicamente le sue critiche in un’intervista al New York Times. Poco dopo fu privato di tutti i premi statali ed espulso da Mosca.
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Avrebbe trascorso sette lunghi anni al confino nella città di Gorkij (ora Nizhnij Novgorod), con agenti del Kgb che lo tenevano sotto stretto controllo.
Quando Mikhail Gorbachev salì al potere, Sakharov era diventato un simbolo dell’oppressione sovietica.
Il 19 dicembre 1986, nonostante la feroce opposizione dei suoi compagni del Politburo, l’autore delle politiche della glasnost e della perestrojka chiamò personalmente Sakharov e gli disse che il suo esilio interno era finito e che avrebbe potuto continuare il suo “lavoro patriottico” a Mosca.
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Il ritorno nella capitale di Sakharov segnò un cambiamento di atteggiamento nei confronti dei dissidenti in Unione Sovietica. Con sorpresa di molti, Sakharov venne eletto al Congresso dei deputati del popolo, organismo appena creato.
Nonostante il peggioramento del suo stato di salute, lo scienziato continuava a dire cose che non potevano essere dette da nessun altro attivista politico. Decine di milioni di persone in Urss ascoltavano con soggezione e rispetto Sakharov; la sua voce non si alzava mai, mentre condivideva le sue paure e preoccupazioni.
“Non sono un politico professionista e forse è per questo che sono sempre tormentato dalle questioni di opportunità e dal risultato finale delle mie azioni. Sono propenso a pensare che solo i criteri morali combinati con un’imparzialità di pensiero possano servire come una sorta di bussola in questi problemi complessi e contraddittori”, affermò una volta Sakharov.
Una delle sue principali lotte fu quella per abolire l’articolo 6 della costituzione sovietica, sul monopolio del Partito Comunista nell’arena politica interna. Il suo sogno si sarebbe realizzato solo nel 1990, ma Andrej Sakharov non visse abbastanza per vederlo.
Il fisico nucleare diventato attivista morì per un attacco cardiaco il 14 dicembre 1989, a soli 68 anni. Decine di migliaia di cittadini sovietici si riunirono per l’ultimo saluto a uno dei più grandi combattenti per i diritti umani del XX secolo. Il suo funerale si trasformò in una sorta di dimostrazione a favore della libertà e della dignità umana.
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