L’Urss era un paese di paradossi, anche per quanto riguarda la legge. Sulla carta, concedeva ai suoi cittadini diritti di ampia portata. Per esempio, la Costituzione del 1936, quella “di Stalin”, garantiva tutte le libertà fondamentali: di parola, di stampa, di riunione e di manifestazione, oltre, ovviamente, all’inviolabilità della persona.
Inutile dire che niente di tutto questo si applicava nella realtà. I tribunali sovietici potevano trasformarsi in spettacoli vergognosi ogniqualvolta il partito comunista o il governo erano parte in causa.
L’avvocata Dina Kaminskaja (1919-2006) lo sapeva meglio di molti altri, avendo partecipato a processi politicamente importanti, come difensore di coloro che avevano meno possibilità di vincere in una battaglia con il sistema: i dissidenti che avevano opporsi alle autorità sovietiche. Perché fece di questo la sua professione e la ragione della sua vita?
Nella sua autobiografia, “Zapiski advokata” (“Записки адвоката”, ossia “Memorie di un avvocato”, del 1984), Dina Kaminskaja ammette di essere stata fortunata. “I miei genitori sono vissuti fino alla vecchiaia senza dover affrontare la prigione o i campi di lavoro. Sono stati molto fortunati nella loro cerchia di intellighenzia.” Le terribili purghe staliniane (almeno 780.000 persone messe a morte; 3,8 milioni incarcerate) non sfiorarono la sua famiglia.
Dina Kaminskaja
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Anche la campagna antisemita del Dopoguerra lanciata da Stalin non colpì la famiglia della Kaminskaja, ma nel 1952 fece perdere la vita a uno dei suoi amici più stretti. Lo scienziato Valentin Lifshitz, che era critico nei confronti della politica di Stalin, fu tradito da un collega di cui si fidava, che arrivò a testimoniare persino che Lifshitz aveva pianificato di assassinare Stalin. Venne processato e giustiziato da un plotone di esecuzione, nonostante l’evidente assurdità delle accuse. Lifshitz fu riabilitato subito dopo la morte di Stalin.
A quel punto, Dina Kaminskaja lavorava già come avvocato difensore da 11 anni. Non era un mestiere né facile né prestigioso, come ha ricordato: “Allora la professione dell’avvocato che difende una persona da un’accusa dello Stato, era del tutto estranea al sistema”. Ma, per superare la paura che aveva vissuto durante l’epoca di Stalin, la Kaminskaja lavorò duramente per proteggere i diritti dei più indifesi.
È importante ricordare che il vento era cambiato dopo la morte di Stalin, nel 1953. Lo Stato sovietico, sebbene fosse rimasto fedele al ruolo di partito unico del Pcus, aveva iniziato a usare mezzi relativamente più umani: e invece di uccidere i suoi nemici più acerrimi, semplicemente li mandava in prigione. Gli anni Sessanta furono il periodo in cui apparvero i primi dissidenti politici, abbastanza coraggiosi da affrontare di petto lo Stato sovietico.
“I dissidenti agivano apertamente, davanti agli occhi della stampa straniera; le loro azioni stavano diventando sempre più pubbliche, e lo Stato non aveva altra scelta che tenere processi aperti”, spiega Boris Zolotukhin (1930-), un altro avvocato dell’epoca. “E dopo che quelle persone coraggiose apparvero, fecero la loro comparsa anche i coraggiosi avvocati della difesa”. Tra i primi c’era Dina Kaminskaja: negli anni Sessanta era un’avvocata esperta, anche lei piuttosto arrabbiata con lo Stato.
Chi erano le persone che la Kaminskaja difendeva in aula e quali erano i loro crimini? Ecco alcuni esempi:
1) Nel 1967, quattro persone, tra cui il poeta Jurij Galanskov (1939-1972), furono arrestate per propaganda antisovietica. Avevano pubblicato diversi articoli all’estero, criticando il sistema sovietico. Jurij Galanskov, gravemente malato, dovette affrontare quattro anni nei campi di lavoro, dove morì.
Vladimir Bukovskij
vladimirbukovsky.com2) Lo stesso anno, il dissidente Vladimir Bukovskij (1942-2019) e molte altre persone protestarono pacificamente contro la condanna di Galanskov e degli altri, venendo arrestati a loro volta. La loro unica colpa era essere stati fermi, in silenzio, con dei cartelli di protesta in mano. Bukovskij, in quanto organizzatore della manifestazione, fu condannato a quattro anni di prigione.
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3) Nel 1968, sette persone si radunarono sulla Piazza Rossa per protestare contro l’invio delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia. Pochi secondi dopo aver alzato dei cartelli di protesta vennero arrestati. La pubblica accusa chiese per loro pene diverse, che andavano dal confino in luoghi estremamente remoti dell’Urss all’essere rinchiusi in manicomio.
Da sinistra: i dissidenti sovietici Julija Vishnevskaja, Ljudmila Alekseeva, Dina Kaminskaja, Kronid Lyubarsky. Monaco, 1978
Yulia Vishnevskaya (CC BY-SA 2.0)Kaminskaja difese Bukovskij, Galanskov e due dei manifestanti del 1968 (Larisa Bogoraz e Pavel Litvinov). “Non erano né terroristi né estremisti”, scrisse in seguito. “Erano persone che usavano forme legali di protesta per lottare per i diritti umani fondamentali. Credevo che, agendo solo per senso del dovere, stessero combattendo per ciò per cui noi, avvocati, dovremmo lottare a livello professionale”.
Nel sistema politico sovietico era impossibile ottenere che simili dissidenti vincessero un processo e fossero assolti dalle accuse. Nonostante gli sforzi e le capacità impressionanti della Kaminskaja, Bikovskij fu condannato a tre anni di carcere. Galanskov al campo di lavoro dove trovò la morte, per ulcera perforante, a soli 33 anni. Bogoraz e Litvinov furono mandati al confino. Dina Kaminskaja aveva quasi zero possibilità di successo nei processi, ma la gente la accoglieva con fiori e ovazioni fuori dall’aula. Tutti sapevano che avrebbe vinto, se solo i processi fossero stati regolari.
“Anche se era consapevole che la sua era una causa persa a priori, non si è mai permessa di fare un lavoro peggiore per via di questo alibi”, ha ricordato Boris Zolotukhin. “Non importa quanto complicato o disperato fosse il caso, ha sempre usato ogni mezzo per difendere il suo cliente.”
Lo Stato sovietico non apprezzava un impegno così convinto in quel senso. Nel 1971, dopo 31 anni di pratica, a Dina Kaminskaja fu vietata la partecipazione a cause per reati politici. Sei anni dopo, lei e suo marito furono costretti a lasciare il Paese, sotto la minaccia dell’arresto. L’Urss non amava troppo i buoni avvocati.
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