Tutto è complicato nella parola russa “intelligentsija”, che è entrata anche nel vocabolario italiano con la grafia “intellighenzia”. Le origini sono ovviamente latine (le stesse di “intelligenza”), ma il significato che ha assunto in Russia è particolare e l’ha resa famosa in tutto il mondo.
Storicamente, nell’Ottocento e fino alla Rivoluzione, con il termine “intelligentsija” ci si riferiva alla classe colta ostile all’assolutismo zarista. In seguito, in giro per il mondo, come si sa anche dall’uso che se ne fa in italiano, “intellighenzia” ha iniziato a designare un “gruppo di intellettuali ideologicamente impegnati, che costituiscono la mente direttiva e organizzativa di un partito, di un ambiente, di un movimento”, ma anche “per estensione (spesso ironica o spregiativa), i rappresentanti della cultura ufficiale di un Paese, di una regione, di una città”. Insomma, il gruppo che ha la superiorità intellettuale o che, a volte – se la parola è usata ironicamente – ritiene di averla.
Per molti, l’intellighenzia è il cuore e la coscienza della società, ma tanti altri la criticano per la sua lontananza dalla realtà e per il vizio di starsene nella sua torre d’avorio. Anche Lenin ebbe parole estremamente dure: “Le forze intellettuali degli operai e dei contadini crescono e si rafforzano nella lotta per l’abbattimento della borghesia e del suo complice, l’intellighenzia, lacchè del capitale, che si considera il cervello della nazione. E che invece non è il cervello, ma la merda”.
In Russia, quando qualcuno pronuncia la parola “intellighenzia”, è facile immaginare quanto segue: una persona di bell’aspetto della classe media, forse con una laurea in discipline umanistiche, che ama discutere degli affari del mondo, di politica e, naturalmente, del futuro e del destino della Russia.
Nel XIX secolo, la parola fu presa in prestito probabilmente dal tedesco, e i russi iniziarono quasi subito ad applicarla alle persone istruite e non con il significato latino (e italiano) di “intelligenza”. Gli storici ritengono che Vasilij Zhukovskij (1783-1852), un poeta russo dei primi anni del XIX secolo, sia stato il primo a usare il nuovo significato del termine, o, almeno, il primo a farlo per iscritto, nel 1836.
“La nostra migliore nobiltà di San Pietroburgo è un’intellighenzia con un’educazione e un modo di pensare europei”, scriveva Zhukovskij nel suo diario. E come nota il sociologo Lev Gudkov: “Riuniva quindi in questa parola tre componenti: un orientamento filo europeo, una buona istruzione e il desiderio di illuminare il popolo”.
Pjotr Boborykin (1836-1921), un giornalista e scrittore russo che si ritiene abbia largamente diffuso il termine “intellighenzia”, ha inserito in un suo romanzo, “Solidnye dobrodeteli” (“Solide virtù”) le caratteristiche fondamentali di questo strato sociale. Un membro dell’intellighenzia preferisce la perfezione etica ai beni terreni, pensa al futuro e al progresso e migliora costantemente se stesso. “Alla fine del romanzo, Boborykin suggerisce che la Russia e il suo popolo siano la nuova religione per l’intellighenzia”, afferma lo storico Sergej Motin.
Da allora, il contesto è rimasto lo stesso: l’intellighenzia in russo è questione di elevati standard etici e di superiorità morale, non solo di avere una buona cultura o di essere un intellettuale di professione. “L’Occidente ha i suoi intellettuali, ma solo noi abbiamo l’intellighenzia”, ha scritto la “Komsomolskaja Pravda” in un articolo sul termine.
Coniato originariamente per descrivere i liberi pensatori, sia l’élite intellettuale che quella morale, il termine “intellighenzia” nell’Impero russo era profondamente associato alla parte filo-occidentale e liberale della società istruita, che era spesso contraria agli zar e al governo autocratico. Ad esempio, un membro ante litteram dell’intellighenzia era Aleksandr Radishchev (1749-1802), autore e critico sociale che scrisse “Viaggio da San Pietroburgo a Mosca”, un atto d’accusa al sistema politico e sociale sotto il regno di Caterina la Grande, che gli costò la condanna a morte, poi commutata in esilio a vita in Siberia (si suicidò dopo aver ottenuto la liberazione da Paolo I).
Non sorprende che molti russi filogovernativi, compresi gli intellettuali patriottici, abbiano etichettato l’intellighenzia (di solito messa tra virgolette per diminuirne il rispetto) come un insieme di russofobi, o di inutili piagnoni.
“Ci sono persone che amano definirsi ‘intellighenzia’… che non vantano una mente forte o una logica sana… Questi membri dell’intellighenzia cercano di proclamare la loro emancipazione e indipendenza attaccando la Russia e rimproverandola di tutto”, ha affermato Ivan Aksakov, un intellettuale patriottico, nel 1868.
Con i suoi valori europeisti, l’intellighenzia era osservata con sospetto sotto gli zar, e non ebbe molto successo neanche sotto il regime sovietico.
Lenin, ad esempio, era infastidito da quei membri dell’intellighenzia che rimanevano “servitori del capitale” (cioè non sostenevano la sua rivoluzione). E, infuriato, scrisse in una lettera a Maksim Gorkij le parole di fuoco che abbiamo citato sopra.
Con il passare del tempo, sempre più persone hanno iniziato a usare il termine “intellighenzia” con connotazioni ironiche, utilizzandolo per persone che sono troppo occupate a pensare a problemi morali e temi elevati per fare effettivamente qualcosa di pratico e di utile. “Non ha mai lavorato da nessuna parte. Lavorare entrerebbe in contrasto con la sua visione della missione storica dell’intellighenzia russa… si cui si sente parte”, Iljà Ilf ed Evgenij Petrov presero così in giro l’intellighenzia nel loro romanzo satirico, “Il Vitello d’Oro” (del 1931).
Allo stesso tempo, alcune persone considerate parte dell’intellighenzia hanno influenzato la società e cercato di migliorare le cose, per esempio, il fisico sovietico Andrej Sakharov (1921-1989), grande sostenitore dei diritti civili nell’Urss, e per questo perseguitato dallo Stato (ha vinto il Nobel per la Pace nel 1975).
Oggigiorno, esiste un termine più comune che non ha nulla a che fare con la politica o il ruolo sociale dell’intellighenzia: “intelligentnyj”. È un aggettivo che significa “ben educato”, “colto”. Questo termine può essere applicato a qualsiasi persona che si rispetta e si considera un modello. Ma le persone colte non si autodefiniscono mai così. Forse è per questo che è tanto difficile oggi definire cosa sia l’intellighenzia russa e da chi sia composta.
“Le navi dei filosofi”, così Lenin espulse i migliori intellettuali di Russia
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