Se ne è andato a 76 anni il famoso dissidente sovietico Vladimir Bukovsky (1942 - 2019), morto nella sua casa di Cambridge, nel Regno Unito, per un arresto cardiaco. Aveva trascorso 12 anni fra prigioni e campi di detenzione.
Nel dicembre del 1976 era finito sulle pagine di tutti i giornali quando a Zurigo il Cile e l’URSS, con l’assistenza degli Stati uniti, organizzarono un clamoroso scambio di prigionieri politici: dopo 35 anni di detenzione nella prigione centrale di Vladimir, Bukovsky venne rimesso in libertà dalle autorità sovietiche, mentre il Cile di Pinochet liberò il segretario del Partito Comunista cileno Luis Corvalán. Corvalán volò a Mosca mentre Bukovsky rimase in Occidente.
All’epoca Corvalán era un importante volto politico, mentre Bukovsky - etichettato dalla stampa sovietica come un “hooligan”, un teppista - non ricopriva alcuna carica. In quell’occasione il dissidente Vadim Delaunay scrisse addirittura un epigramma:
Hanno scambiato un teppista con Luis Corvalán
Che tipo di stronzi pensi che potremmo cambiare per Brezhnev?
Francesismi a parte, cosa aveva di così importante quel “teppista” di Bukovsky? Cosa spinse le autorità dell’epoca a eseguire uno scambio di prigionieri?
Nato in una famiglia di giornalisti sovietici, Vladimir Bukovksy si rivelò fin dall’adolescenza uno scettico dissidente. Un comportamento tutt’altro che sicuro nell’URSS di quel periodo. Nel 1960, Bukovsky scrisse un articolo che criticava aspramente il Komsomol (l’organizzazione giovanile sovietica): "Il Komsomol è morto. Il suo cadavere imbalsamato è sembrato essere un corpo vivo per troppo tempo...”.
Bukovsky chiese l’avvio di un processo di democratizzazione dell’organizzazione. E la risposta delle autorità fu la repressione. Nel 1962 a Bukovsky fu diagnosticata una lenta schizofrenia, una “malattia molto sovietica”, diagnosticata con un’insolita frequenza dallo psichiatra sovietico Andrej Snezhnevsky negli anni ’60.
"La maggior parte dei paesi del mondo non riconosceva tale malattia. Ma per il KGB era molto conveniente, visto che permetteva di dichiarare qualsiasi persona pazza, anche senza sintomi [di schizofrenia]: l'assenza di sintomi si spiegava con la lenta progressione della malattia", scrive Arzamas. Ritrarre i dissidenti come malati mentali era lo strumento della psichiatria punitiva sovietica, un fenomeno che Bukovsky avrebbe in seguito raccontato e denunciato al mondo intero.
Bukovsky trascorse la maggior parte degli anni '60 dietro le sbarre: la psichiatria sovietica non sembrava avere le idee del tutto chiare sulla sua diagnosi e in varie occasioni lo dichiarò prima pazzo e poi sano di mente, con il risultato che Bukovsky fu spedito più volte in manicomio (1963, 1965) e nei campi di prigionia (1967).
Nelle sue memorie descrisse le orribili condizioni di vita nei manicomi: le persone venivano pesantemente drogate, a volte picchiate e torturate, chiuse nelle stesse celle con veri e propri, nonché pericolosi, pazienti mentali.
Al termine di questo periodo oscuro della sua vita, Bukovsky si trasferì nel Regno Unito, dove ottenne un master in biologia all'Università di Cambridge; scrisse diverse memorie, la più famosa delle quali si chiama “Come costruire un castello - La mia vita di dissidente” (1978). Da emigrato, continuò a criticare duramente l’URSS e la politica del paese e sostenne il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca del 1980. Più tardi, quando l'URSS cadde a pezzi, Bukovsky chiese di condurre un processo simile a quello di Norimberga, denunciando ufficialmente il comunismo.
La delusione, ovviamente, fu grande. Ed egli scrisse: “Non essendo riusciti a porre definitivamente fine al sistema comunista, ora rischiamo di integrare nel nostro mondo il mostro che ne risulta”. Negli anni successivi Bukovsky criticò apertamente anche i nuovi leader della Russia, da Boris Eltsin a Vladimir Putin.
Ma non fu solamente la sua patria al centro delle aspre critiche avanzate dal dissidente: Bukovsky denunciò anche l’Europa, definendola un “mostro” e paragonandola a un sistema quasi totalitario. "Penso che l'Unione Europea, come l'Unione Sovietica, non può essere democratizzata", disse a The Brussels Journal, sostenendo che l'UE come organizzazione dovrebbe essere distrutta.
Nel 2015 Bukovsky tornò sotto i riflettori. Questa volta non per il suo attivismo nei diritti umani o per i suoi scritti, bensì per uno scandalo che fece il giro del mondo: fu accusato di aver scaricato e di essere in possesso di oltre 20.000 immagini pedopornografiche. Bukovsky rispose con una denuncia di diffamazione nei confronti della Procura britannica. La sua tesi però venne respinta.
Egli continuò a professarsi innocente, e disse: “Non mi interessa il rischio di essere mandato in prigione. Ho già trascorso 12 anni nelle prigioni sovietiche. Non mi aspetto di vivere a lungo, e per me fa poca differenza se passo le ultime settimane della mia vita in prigione”. Il tribunale decise di rinviare il processo a tempo indeterminato a causa delle cattive condizioni di salute dell'imputato: a quel tempo, Bukovsky soffriva di molteplici malattie.
Il 27 ottobre 2019, Bukovsky è morto per un arresto cardiaco.
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