Solo una giustificazione di ferro poteva permettere a un cittadino sovietico di recarsi in un Paese straniero. C’erano diverse fasi che una persona doveva superare per ricevere un visto di uscita.
Paradossalmente, ai tempi dell’Urss, era molto più facile ottenere un visto d’ingresso dal Paese di destinazione che un visto di uscita dalle autorità sovietiche.
Intanto, un potenziale viaggiatore doveva far parte di un’organizzazione, che poteva mandarlo in viaggio d’affari all’estero o offrirgli una vacanza al di fuori dell’Unione Sovietica. Ma non era una cosa comune, e di solito solo i migliori lavoratori avevano questa opportunità.
In entrambi i casi, i superiori del richiedente dovevano rilasciare un documento che mostrava il motivo per cui tale viaggio al di fuori dell’Urss era necessario.
Vale la pena ricordare che i sovietici non potevano scegliere la loro destinazione. Dovevano cogliere l’opportunità offerta di andare all’estero, se e quando si presentava.
Quando il documento era pronto, la persona doveva chiedere l’approvazione alla direzione statale per i viaggi all’estero, che rilasciava i permessi di viaggio.
Molte pratiche venivano respinte in questa fase, senza alcuna motivazione. Non c’era certamente alcun modo di appellarsi alla decisione.
Tuttavia, se la persona riusciva a ottenere un permesso di viaggio, la burocrazia non era finita. Lui o lei era presa sotto controllo speciale, e doveva ottenere una lettera di referenza dai superiori e dai curatori politici.
Un potenziale candidato doveva anche passare attraverso un colloquio alla direzione dei viaggi all’estero e avere delle lettere di raccomandazione ufficiali. Se i funzionari non erano soddisfatti delle risposte date nel corso del colloquio, il candidato poteva perdere il diritto di viaggiare all’estero per gli anni a venire.
Dopo una visita medica, il richiedente doveva compilare diversi documenti, tra cui il suo curriculum e un piano dettagliato del viaggio.
Se la destinazione era un paese capitalista, il Kgb doveva emettere una dichiarazione secondo cui non si opponeva al viaggio. Non erano necessarie dichiarazioni del genere se il Paese apparteneva al blocco socialista.
Quando tutte queste fasi erano state superate con successo, veniva emesso un passaporto per l’estero con un visto di uscita che veniva inviato al posto di lavoro della persona. Era proibito tenerlo a casa.
Al momento del rilascio del passaporto per l’estero, il passaporto interno del destinatario e la tessera del Partito Comunista venivano ritirati fino al suo ritorno in patria.
Se la persona aveva parenti all’estero che avevano emesso un invito privato per una visita personale, era obbligato a pagare un’enorme tassa di partenza pari a 200 rubli, lo stipendio medio mensile nell’Unione Sovietica. Avere parenti stranieri era invece un grosso ostacolo per ottenere un visto di uscita.
Nella fase finale, il viaggiatore doveva rivolgersi unicamente all’agenzia di viaggi statale Intourist, responsabile dell’organizzazione di visti di ingresso, biglietti per il trasporto, ecc.
I pochi privilegiati
I primi a poter viaggiare all’estero erano quelli il cui lavoro era direttamente collegato con Paesi stranieri: diplomatici, membri di rappresentanze commerciali sovietiche, piloti internazionali, marinai, ecc.
Anche atleti, scienziati e artisti avevano di solito pochi problemi a ottenere visti d’uscita. L’Unione Sovietica era molto desiderosa di creare un’immagine positiva all’estero.
Irina Nekrasova, abitante della Regione di Mosca, ha dichiarato a Russia Beyond che suo padre, il chimico Boris Nekrasov, ha fatto diversi viaggi all’estero negli anni Sessanta, come membro delle delegazioni sovietiche a Roma, Venezia, Firenze e Londra per partecipare a conferenze scientifiche.
Nonostante non facesse parte di un’università di Mosca o di Leningrado, ma di un istituto periferico (l’Istituto di estrazione mineraria e metallurgia della Repubblica sovietica dell’Ossezia settentrionale), ha avuto l’opportunità di visitare ripetutamente i Paesi capitalistici occidentali.
La leadership sovietica prestava molta attenzione a coltivare legami con i suoi alleati nel blocco orientale. Questo includeva l’interazione tra giovani, scambi culturali e visite di amicizia.
Tatjana Sorokina, ex capo di uno dei dipartimenti della Biblioteca Statale Lenin dell’Urss, la più grande del Paese, ha visitato la Bulgaria, la Cecoslovacchia e la Ddr, dove ha guidato il cosiddetto “Treno dell’amicizia”, che ha permetteva ai migliori lavoratori sovietici di conoscere la vita nella Germania dell’Est e altrove nel Blocco socialista.
Come Tatjana ha raccontato a Russia Beyond, i suoi viaggi all’estero divennero realtà, in gran parte, perché era una segretaria del Komsomol (l’organizzazione dei Giovani comunisti sovietici).
I “Non-rimpatriati”
Con il far passare i richiedenti attraverso numerosi test e approvazioni, i funzionari sovietici cercavano di impedire ai cosiddetti “inaffidabili” di lasciare il Paese. C’era sempre l’eventualità che queste persone non tornassero dal viaggio sponsorizzato dallo Stato e rimanessero nel Paese capitalista.
Nell’Unione Sovietica, tale atto era considerato un tradimento della Patria, ed era punito con la confisca delle proprietà, e, in caso di rientro, con la privazione della libertà o, in casi estremi, il plotone di esecuzione.
Tuttavia, molte persone colsero l’occasione quando poterono e non tornarono mai in Unione Sovietica. Erano conosciuti come nevozvrashchentsy (“non-rimpatriati”).
La maggior parte delle persone di questa categoria erano impegnate nelle arti, e sentivano che il sistema sovietico non dava loro abbastanza libertà e opportunità.
Tra i “non-rimpatriati” più noti ci furono i ballerini Rudolf Nureyev e Mikhail Baryshnikov, violoncellista e direttore d’orchestra Mstislav Rostropovich (che nel 1989 avrebbe tenuto un improvvisato concerto davanti al muro di Berlino, mentre veniva abbattuto) e il regista Andrej Tarkovskij.
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