Quando i sovietici “conquistarono” Venere

Albert Pushkarev/TASS
L’Urss è il Paese che ha condotto gli studi più avanzati su questo pianeta, inviando diverse sonde, ben dieci delle quali hanno avuto un atterraggio morbido e hanno trasmesso dati importanti sulla Terra

Alla fine degli anni Cinquanta, il programma spaziale sovietico otteneva un successo dopo l’altro. Praticamente ogni anno veniva portata a compimento una missione trionfale: il primo satellite artificiale (lo Sputnik; il 4 ottobre 1957), il primo essere vivente nello Spazio (la cagnetta Laika, il 3 novembre 1957), il primo sorvolo della Luna (con il “Luna 1” lanciato il 2 gennaio 1959) e le prime immagini del lato nascosto della Luna (con il “Luna 3” lanciato il 4 ottobre 1959). 

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Dopo tali successi, sembrava che nulla fosse impossibile, anche perché furono seguiti, nei primi anni Sessanta, dal primo uomo e dalla prima donna nello Spazio: Jurij Gagarin il 12 aprile 1961, e Valentina Tereshkova il 16 giugno 1963. Pertanto, quando si iniziò a parlare del primo atterraggio su un altro pianeta, agli scienziati e agli ingegneri sovietici sembrò una cosa alla portata.

Questo suona estremamente utopistico oggi. In quegli anni non si sapeva assolutamente nulla degli altri pianeti, per poter pensare realisticamente a missioni così difficili. Tuttavia, nell’agosto 1959, si tenne una riunione con quell’obiettivo all’ordine del giorno, e il 10 dicembre fu emanato un decreto governativo sulla creazione di stazioni per un volo su Venere (e su Marte), e già alla fine degli anni Sessanta si pensava di poter raggiungere la meta!

Missioni alla cieca

Prima di tutto, si decise di volare su Venere, in quanto Pianeta più vicino alla Terra. A quel tempo, i sovietici avevano già prodotto la “semjorka” di Sergej Koroljóv (1907-1966), ossia il veicolo di lancio R-7, con il quale venivano mandati in orbita i satelliti artificiali, e successivamente i cosmonauti. Per il volo a lungo raggio, era necessario modificare profondamente l’R-7 e creare qualcosa di completamente nuovo, con caratteristiche uniche, ma il razzo era comunque pienamente adatto allo scopo.

Il diagramma di volo della navicella spaziale

Decisero di agire secondo lo schema già testato: come nel caso del volo attorno alla Luna, avvenuto nel 1959, si prevedeva di far cadere la navicella direttamente sulla superficie del pianeta, con un paracadute. Com’era prevedibile, la prima missione di sbarco era destinata a fallire.

Il fatto è che a quel tempo gli scienziati sovietici credevano seriamente che Venere avesse un’atmosfera simile a quella della Terra, così come che potesse esserci acqua e vita extraterrestre (in tutta onestà, non erano i soli a pensarla così; i rapporti della Nasa di quei tempi contenevano anche disegni con potenziali creature simili ai dinosauri). La missione “Venera-1” partì, nel 1961, per andare in collisione deliberata con la superficie di Venere, ma mancò il bersaglio. A causa della perdita di comunicazione, la sonda non poté correggere il suo percorso e sorvolò il pianeta di 100.000 km, che su scala cosmica non è poi così lontano.

Un modellino della navicella

Poi iniziò tutta una serie di lunghe missioni infruttuose per la “conquista” di Venere, che durarono esattamente un decennio. Le nuove stazioni di ricerca sovietiche partivano per Venere in quasi tutte le finestre di lancio che si aprivano in seguito all’avvicinarsi dei pianeti. Ma in assenza anche di una comprensione quantomeno plausibile del reale stato delle cose sul pianeta, le sonde non avevano la minima possibilità di raggiungere la superficie.

“Venera-4” (lancio: 12 giugno 1967), “Venera-5” (5 gennaio 1969) e “Venera-6” (10 gennaio 1969) andarono a pezzi nell’atmosfera per la pressione (di cui non si aveva un’idea precisa). Ma qualcosa di buono ci fu: tutte quelle sonde riuscirono a trasmettere dati alla Terra sulla composizione dell’atmosfera, sulla sua temperatura e sulla pressione. Quindi, ad esempio, si scoprì che l’atmosfera venusiana è composta al 90% di anidride carbonica e che i valori di pressione e di temperatura sono “altissimi”. Insomma, non c’era alcuna speranza di vita su quel pianeta.

Un momento dei test di collaudo

“Ho visto quanto fossero delusi gli scienziati quando non hanno trovato la vita su Venere. Due di loro hanno anche detto che ora si erano resi conto di aver sprecato invano la loro esistenza, visto che solo per questo sogno avevano studiato tanto in ambito scientifico… A proposito, uno di loro in seguito si fece prete”, ha scritto in un suo libro sulla storia delle esplorazioni spaziali il giornalista Vladimir Gubarev.

Da questo momento in poi, il programma spaziale “Venera” cambiò il suo obiettivo, puntando a scoprire se la vita ci fosse mai stata, almeno nel passato, su Venere.

Il “miracolo” dell’atterraggio

A rigore, la missione “Venera-7”, non era la settima, ma la diciassettesima. Ma l’Unione Sovietica preferiva non rendere noti i fallimenti.

Il lancio di

Dopo un lungo dibattito scientifico, tenendo conto di tutte le nuove conoscenze acquisite, gli ingegneri decisero di andare sul sicuro e di sviluppare un nuovo veicolo da discesa in grado di resistere a 180 atmosfere di pressione e 540 °C di temperatura per almeno 90 minuti. Il suo corpo non era fatto di una lega di alluminio-magnesio, come nella precedente Venera, ma di titanio, il che aumentava la resistenza e il peso. Un tale rover pesava 500 kg.

Per questo motivo fu necessario abbandonare l’installazione di alcuni strumenti scientifici. Le sue capacità erano quindi limitate: misura della temperatura e della pressione sulla superficie, un analizzatore del tipo di superficie e uno strumento per misurare la massima accelerazione nella sezione di frenata; sugli stendardi c’erano poi l’immagine di Lenin e la bandiera dell’Urss; tutto qui.

Venera-7 venne lanciata il 17 agosto 1970 dal cosmodromo di Bajkonur. Per motivi di sicurezza, cinque giorni dopo, venne lanciata una sonda identica, ma non raggiunse Venere. Non riuscì neppure a lasciare l’orbita terrestre, a dire il vero, a causa dell’esplosione del motore. L’altra, invece, dopo 120 giorni di viaggio, giunse nelle vicinanze di Venere, e il 15 dicembre effettuò il primo atterraggio morbido della storia su un altro pianeta.

In effetti, sembrava un miracolo. Le possibilità che qualcosa potesse andare storto durante l’intera missione erano altissime. Venera-7 per poco non aveva seguito il destino dei suoi predecessori: avendo già raggiunto il “target” ed essendo entrato nell’atmosfera, il paracadute esplose, e il modulo scese più velocemente di quanto avrebbe dovuto. Per qualche tempo si credette che, dopo un tale atterraggio, fosse fuori servizio, perché quando entrava nell’atmosfera, l’interruttore della telemetria non funzionava, e la temperatura era l’unico parametro trasmesso alla Terra durante l’intera discesa e la permanenza del dispositivo in superficie. Solo un’analisi successiva dei dati mostrò che per 23 minuti dopo l’atterraggio, la sonda aveva trasmesso i dati direttamente dalla superficie del pianeta.

Un pianeta dimenticato

Dopo Venera-7, una nuova generazione di veicoli venne inviata sul pianeta, grazie ai quali l’Urss riuscì a stabilire un’assoluta leadership nello studio di Venere, compreso l’ottenimento della prima immagine dalla sua superficie. Questa fu scattata meno di sei mesi dopo da “Venera-8” (lancio: 27 marzo 1972). Queste sono state, tra le altre cose, le prime fotografie in assoluto dalla superficie di un altro pianeta.

Immagine panoramica a colori della superficie di Venere

In totale, 27 veicoli spaziali sovietici furono lanciati dalla Terra in direzione di Venere. L’ultimo fu il “Venera-16” (lancio: 7 giugno 1983), dopo di che, venne lanciato un nuovo programma spaziale: “Vega”. Nel 1984-1986, le sonde Vega condussero con successo uno studio con palloni sonda dell’atmosfera venusiana e trasmisero dati più accurati del pianeta.

Lancio della missione spaziale

Ma queste conoscenze sono ancora una goccia nel mare. Finora non si conoscono tutte le sostanze che compongono il fitto strato di nubi di Venere, così come non è chiaro il meccanismo della loro formazione. Tali dati potrebbero essere raccolti da una stazione interplanetaria a tutti gli effetti nell’atmosfera di Venere, ma questo è un “giocattolo” molto costoso. Pertanto, per molti anni, Venere è stata effettivamente dimenticata dai ricercatori.

Hanno iniziato a parlarne di nuovo nell’ottobre 2020, a causa della fosfina. È una sostanza che, secondo alcune ricerche, potrebbe essere indicativa di vita. La fosfina si troverebbe nell’atmosfera venusiana (anche se altri studi di questi mesi lo mettono in dubbio), nel suo strato di nubi, e la sua possibile presenza ha sollevato nuovo interesse per il pianeta. La prima missione dopo molti anni è pianificata da Roscosmos per il 2029, ma è probabile che sarà possibile effettuarla anche prima, nel 2027.


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