La bandiera russa ha sventolato su un villaggio di una delle isole della Papua Nuova Guinea nel 2019. È così che i nativi locali hanno salutato la spedizione guidata dal pronipote e omonimo del famoso antropologo Nikolaj Miklukho-Maklaj (1846-1888). Nel punto in cui è stata issata la bandiera, 150 anni fa c’era la capanna del suo trisavolo, grande esploratore russo del XIX secolo. “Qui ricordano bene la Russia e ‘l’Uomo venuto dalla luna’ come i papuani chiamavano Miklukho-Maklaj per il colore bianco della pelle”, racconta Nikolaj. Dopo quella visita, il villaggio fu ribattezzato “villaggio di Maklaj” in onore del suo antenato.
Insieme agli scienziati di Mosca e San Pietroburgo, Nikolaj Miklukho-Maklaj Jr., che è uno specialista di spicco dell’Istituto di Studi orientali dell’Accademia russa delle scienze, ha compilato una tabella con i nomi esatti e le coordinate dei luoghi geografici scoperti dagli esploratori e dai navigatori russi in Oceania.
Durante le spedizioni sul campo, nel 2017 e nel 2019 sulle isole della Nuova Guinea e collaborando con gli archivi australiani, i ricercatori hanno identificato 71 toponimi, di cui meno di dieci hanno mantenuto i nomi originali dati dai russi. Il resto è stato rinominato nel tempo. Ora i ricercatori russi vogliono preservare il ricordo delle scoperte dei loro antenati, almeno sulle mappe russe.
La Costa Maklaj (in russo: Bereg Maklaja), ossia la costa nord-orientale della Nuova Guinea, nella Provincia di Madang, fu ribattezzata Rai Coast dal nome del villaggio più vicino, Rai, all’inizio del XX secolo, durante il dominio coloniale tedesco. Un destino simile ebbero altri 50 luoghi, che avevano originariamente avuto un nome da Miklukho-Maklaj e dai marinai russi che lo accompagnavano. Altre modifiche sono avvenute durante il periodo dell’amministrazione australiana. Ecco un elenco dei nomi geografici dell’Oceania, dati dai marinai russi, che sono ancora conservati sulle mappe internazionali:
La Russia e l’Oceania hanno forti legami storici da oltre due secoli. Navigatori russi del XIX secolo, spedizioni sovietiche degli anni Trenta e Settanta e russe nel 2017 e 2019 hanno contribuito in modo significativo allo studio delle popolazioni indigene della regione e allo sviluppo della conoscenza della loro cultura.
Gli abitanti di diversi villaggi trasmettono di generazione in generazione racconti su come Nikolaj Miklukho-Maklaj abbia portato nella loro vita gli strumenti in ferro. E alcune parole russe sono entrate nella lingua Bongu (una lingua diffusa nella provincia di Madang e parlata, secondo il censimento del 2000, da circa 850 persone), tra cui “topór (“ascia”), “kukurùza” (“mais”) e “arbùz” (“anguria”).
Miklukho-Maklaj ha condotto ricerche antropologiche sugli aborigeni in Australia e ha fondato la prima stazione biologica nell’emisfero meridionale. Ma, a parte le sue ricerche, tutti i viaggi dei russi in Oceania nel XIX secolo erano solo fermate di transito. I marinai mostravano la bandiera russa ai residenti locali, si rifornivano di cibo e carburanti, scambiandoli con armi di metallo, e andando in giro nel tempo libero raccoglievano informazioni sulle colonie australiane d’Inghilterra. Mettendo insieme i loro contributi, il capitano russo Ivan Krusenstern nel 1823 pubblicò l’“Atlante del Mare del Sud” (“Atlas Juzhnogo Morja”), un’accurata mappa del Pacifico meridionale, che fu utilizzata dai marittimi di tutto il mondo fino alla fine dell’Ottocento. Oggi, il ricordo delle scoperte e delle conquiste dei russi in Oceania è conservato, tra le altre cose, grazie alla Fondazione Miklukho-Maklaj, fondata e diretta da Nikolaj Miklukho-Maklaj Jr.
“I russi erano impegnati nelle ricerche in quella regione, non avevano finalità di espansione. Trovando un’isola sconosciuta, i capitani la aggiravano lungo la costa per mapparla, e durante il soggiorno ne scoprivano il nome dalla gente del posto, e se non ce l’aveva o l’isola era disabitata, gliene davano uno loro, inserendo le coordinate e il nome in un diario speciale”, spiega Sofija Pale, specialista del Centro per gli studi sull’Asia del Pacifico dell’Istituto di studi orientali presso l’Accademia russa delle scienze. “Inviavano queste informazioni al Dipartimento navale, dove venivano secretate. Al contrario, gli inglesi, essendo allora una superpotenza marittima, in ogni porto lasciavano delle loro navi”.
I reperti d’archivio conservati nella Biblioteca Mitchell (parte della State Library of New South Wales) di Sydney e le annotazioni di diario dei marinai russi hanno permesso di trovare i nomi originali di molti luoghi. Gli scienziati hanno creato una tabella con i nomi russi e quelli moderni, le coordinate geografiche, le circostanze della scoperta, nonché a chi appartengono ora quelle terre a livello di geografia politica. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati nel popolare libro scientifico “Rossija i Okeanija. Issledovanija i puteshestvija rossijan v XIX-XXI vv.” (“Russia e Oceania. Ricerche e viaggi dei russi nei secoli XIX-XXI”) e vengono mostrati anche nel cortometraggio “Russkie geograficheskie nazvanija v Okeanii” “I toponimi russi in Oceania”.
Questi dati vengono anche utilizzati per la creazione di un nuovo Atlante del mondo, un lavoro che è stato avviato nel 2018 su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin. Secondo lui, numerosi sostituti di ex toponimi russi sono stati identificati sulla mappa del mondo. “Non imponiamo nulla a nessuno, […] ma non abbiamo il diritto di non reagire alla distorsione della verità storica e geografica, e della giustizia, in questo caso”, ha detto il presidente ad aprile 2018 in una riunione del Consiglio della Società geografica russa, che dirige. Il progetto è stato affidato a Rosreestr (il Registro di Stato; che si occupa anche di catasto e cartografia), al Ministero della Difesa e alla Società geografica russa (Russkoe geograficheskoe obshchestvo).
“Ogni Paese ha il diritto di dare ai luoghi i nomi che ritiene necessari”, afferma Nikolaj Miklukho-Maklaj Jr. “Ma rinominare i luoghi o indicare i vecchi nomi tra parentesi per preservare la memoria storica possiamo farlo solo sulle nostre mappe”.
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