La Cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa, uno dei simboli principali della Russia, prende il nome da una persona malata di mente. Un “blazhennyj” (“beato”), o più precisamente uno “jurodivyj” (“Stolto in Cristo”), era una persona con problemi mentali che viveva presso chiese e monasteri, chiedendo l’elemosina e spesso facendosi notare per l’aspetto o i comportamenti bizzarri.
Prima dell’avvento della medicina come scienza, in Russia, nella seconda metà del XVIII secolo, il problema dei pazzi era trattato allo stesso modo delle società antiche, vale a dire, era interamente di competenza della religione. Persino le parole con cui venivano chiamati i pazzi erano collegate etimologicamente a Dio (“Bog” in russo): “bozhj”; “bozhebolnye”, “bozhedurnye”; “bozhegnevnye”…
Certo, non tutti gli “jurodivye” erano dei folli completi, specialmente visto il ruolo sociale che alcuni di loro hanno ricoperto. Quando morì San Basilio il Benedetto, rispettato a Mosca in quanto “nestjazhatel” (traducibile come “non possessore”; cioè senza nemmeno la minima proprietà materiale), dopo una vita da vero asceta, fu lo zar Ivan il Terribile in persona a portare la sua bara fino alla sepoltura. Tra gli “stolti in Cristo” c’erano anche molti falsi profeti e imbroglioni che usavano l’immagine da jurodivyj per i loro scopi mercantili. E c’erano veri e propri ossessionati dalla fede, di cui spesso si diceva che soffrissero di “chjórnaja némoshch” “debolezza nera”.
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Si credeva che un tale stato si verificasse a causa di una maledizione, del malocchio e, infine, della possessione demoniaca. Quei malati di mente che potevano essere utili in agricoltura o che erano innocui e simpatici venivano lasciati nelle comunità rurali. Sull’indemoniato si poteva tenere un rito di esorcismo (la cosiddetta “otchitka”), che nell’Ortodossia consiste nel recitare alcune preghiere sui “posseduti”, cospargendoli di acqua santa, ungendoli con olio, ecc. Le autorità secolari per lungo tempo non fecero invece nulla di speciale nei confronti dei malati di mente.
L’infermità mentale e la legge
Gli studiosi contemporanei che si sono occupati del tema dei malati di mente in Russia, Sergej Shaljapin e Andrej Plotnikov, giustamente notano che fino al XVIII secolo non esisteva una legislazione speciale sui malati di mente in Russia. Lo psichiatra sovietico Jurij Kannabikh (1872-1939) scrisse nel suo libro “Storia della Psichiatria” (1928) che durante il Concilio ecclesiastico dei Cento Capitoli del 1551 (noto anche con il nome russo di “Stoglav”; uno dei sinodi più importanti della Russia medievale) si era discusso della questione della reclusione dei pazzi nei monasteri. Ma non era vero. Nel testo delle decisioni del concilio non vi è traccia di questioni del genere. Nello “Stoglav” si diceva invece (domanda 21, comma 41) che “i falsi profeti… che sono nudi e scalzi, e con barbe e capelli lunghi, e tremano e si dannano”, dovevano essere allontanati. Naturalmente tra questi falsi profeti c’erano anche dei semplici malati. Nella Russia antica e medievale, in effetti, chi aveva problemi mentali era atteso da una vita di prigionia nei monasteri, o in case povere, insieme ad altri miserabili, o in grotte fredde scavate sotto terra, e pure in catene, se si comportavano in modo aggressivo.
E se una persona ricca e istruita fosse impazzita e la sua follia avesse portato a conseguenze pericolose? Ci sono molti casi del genere. In primo luogo, nel XVII secolo, quando per blasfemia e offesa alle autorità era prevista la pena di morte, molti cercarono di giustificare le loro parole con la temporanea infermità di mente. Nel 1640, uno starets del monastero della Trinità di Borshchevskij (vicino a Voronezh), un certo Avraam, denunziò per iscritto un altro starets, Seliverst. La denuncia si rivelò una calunnia. Difendendosi, Avraam, affermò di aver agito “in un momento di assenza della sua mente”, e di “essere uscito di testa”. Fu ferocemente torturato e poi rimandato al monastero di Borshchev, ma non fu riconosciuto come pazzo.
Ma i casi reali di pazzia certo non mancavano. Nel 1647, finì alla sbarra un sagrestano del monastero di Mosca che diceva di vedere gli angeli e di parlare con loro. Nel 1631 a Mosca, un contadino della zona del Lago Onega, Dorofej Ivanov, che aveva pubblicamente insultato il sovrano, fu catturato e portato davanti alla Legge, ma venne rilasciato su ordine del governatore: “Perché la punizione non porterebbe alcuna correzione al comportamento del contadino, perché è semplice, non risponde delle sue azioni”. Fu ordinato di rispedirlo a vivere da dove veniva. Insomma, i giudici sapevano riconoscere le turbe mentali, e, alla fine del XVII secolo, la questione psichiatrica venne introdotta ufficialmente nella legislazione.
Un nuovo complesso di leggi del 1669 introdusse il termine “besnyj” (“anormale”; ma l’etimologia continuava a pescare nel registro religioso, suonando come “indemoniato”). Le persone riconosciute come “besnyj” non potevano essere chiamate come testimoni nei processi, e non potevano essere punite con la pena di morte in caso di omicidio. Inoltre, in altri nuovi articoli di legge del 1676 “Sulle proprietà”, lo zar Fjodor III ordinò: “se le persone che sono folli, sorde, cieche e mute decidono di donare il proprio patrimonio a qualcuno, e i parenti sono contrari, non siano accolte le pretese dei parenti: concedere la propria proprietà liberamente è un diritto di tutti”. Si può presumere che con questa legge le autorità statali abbiano aiutato la Chiesa ad acquisire la proprietà di persone fisicamente e mentalmente menomate, che erano rimaste sotto la cura dei monasteri. Ma in che condizioni vivevano queste persone?
“Ha rosicchiato il muro a morsi”
Nel 1645, un residente nella città di Kashin, Dementij Lazarev presentò una petizione contro un uomo alle sue dipendenze, un certo Mishka (Mikhail): “Ha avuto un crollo mentale, ha iniziato a picchiare e uccidere gli animali, a provocare le persone, e poi è scappato nella foresta, ed è andato in molti villaggi, facendo un sacco di danni a persone, animali e cose”. Quando Mishka fu messo in una segreta incatenato, “spezzò la catena e a morsi danneggiò le pareti di legno, e gridò continuamente dalla prigione”. Secondo i protocolli degli interrogatori, lo stesso Mishka ammise di avere il ”mal caduco”, cioè di soffrire di epilessia. Fu bastonato ben bene e fu restituito a Dementij Lazarev. Ma in generale, in questi casi, quando né i proprietari terrieri né i concittadini potevano controllare i folli, le autorità secolari (Mosca o i governatori locali) o le autorità della Chiesa ordinavano la reclusione in un monastero.
Il succitato contadino Dorofej Ivanov, che fu mandato a casa sua nella zona del Lago Onega, non poteva essere tenuto nel villaggio, perché a quanto pare si comportava male. Fu quindi assegnato al monastero Kozheozerskij, sotto la guida di un “buon [affidabile] starets” che avrebbe monitorato il suo comportamento. Cercarono per lui un lavoro “leggero”, in base alle sue capacità.
Anche sacerdoti, boiardi e persino abati furono imprigionati nei monasteri come pazzi, spesso a causa dell’alcolismo. Nel 1695, Filipp, che era un ex igumeno del Monastero Ferapontov “entrò” nel monastero Kirillo-Beloserskij, dopo aver perso del tutto il discernimento per le sbornie continue. Picchiava continuamente i suoi confratelli e “una volta per strada, scese dalla slitta e vagò per tutta la notte nella foresta, dopo essersi tolto di dosso la tonaca.” I servi lo catturarono e lo riportarono al monastero.
Nei monasteri, i malati di mente vivevano e lavoravano insieme ad altri monaci, se erano in grado di farlo. Chi aveva più problemi era usato come manodopera nelle fattorie; infine, i completamente folli erano tenuti in catene. Come “medicine” si usavano la preghiera, l’osservanza delle regole monastiche e il lavoro. I malati di alto rango, specialmente quelli sostenuti da parenti benestanti, non erano certamente coinvolti nel lavoro. Ad alcuni di loro era persino permesso di mantenere i propri servitori.
Se i pazzi o gli ubriaconi si riprendevano, loro (o i loro eventuali parenti) scrivevano petizioni alle autorità della Chiesa, confermando la loro sanità mentale, e dopo un attento esame potevano essere rilasciati “in libertà”. Molti, tuttavia, anche dopo aver iniziato a star meglio, rimasero nei monasteri, dove erano ormai abituati a vivere.
Il numero di malati di mente in Russia crebbe con l’aumentare della popolazione e della sua attività. Nella seconda metà del XVII secolo, il popolo dello Zarato di Mosca conobbe diverse crisi e disgrazie contemporaneamente: le guerre erano continue, e il carico delle tasse di conseguenza insopportabile. Avvenne poi lo scisma della Chiesa ortodossa, con l’uscita dei Vecchi Credenti; e fu un momento di profonda crisi spirituale per i fedeli. Inoltre, ci fu un’epidemia di peste (1654-1655), l’eclissi solare del 1654, l’apparizione di una cometa gigante del 1680… Con tutto ciò, si poteva davvero impazzire.
Le riforme di Pietro il Grande, che volle europeizzare i costumi dei russi, aggiunsero altra benzina sul fuoco del malessere. Durante il suo regno, i monasteri iniziarono poi a fare forti resistenze contro l’invio di persone malate di mente, anche perché tra loro c’erano un numero crescente di criminali, alcolisti e semplici sbandati. Ma questa è già la storia della Russia imperiale, in cui i pazzi iniziarono a essere curati dallo Stato e non solo isolati dalla società nelle istituzioni della Chiesa.
Le cure e le medicine più strane usate tradizionalmente dai contadini russi