Come nacque e come si diffuse la musica carceraria russa?

Russia Beyond (Foto: Dominio pubblico; Foto d'archivio)
Sia Dostoevskij sia Gorkij, e persino Lenin, hanno qualcosa che li lega alle canzoni dette “arestantskie”, cantate per secoli dai detenuti russi, e poi diventate di gran moda a inizio Novecento, quando finirono sui palcoscenici dei grandi teatri e nei dischi più venduti

Sin dai tempi antichi i russi hanno sempre amato cantare in coro. Cantavano anche quando venivano incatenati e portati in prigione. Nel 1860, nel romanzo semi autobiografico “Memorie dalla casa dei morti”, Fjodor Dostoevskij per la prima volta fece conoscere ai lettori la canzone carceraria russa.

“La sosta dei prigionieri”, dipinto del 1861 del pittore Valerij Jakobi (1834-1902)

“Nelle caserme si sentivano canzoni. L’ubriachezza si stava già trasformando in un delirio inebriante e le canzoni stavano per strappare le lacrime. Molti andavano in giro con le loro balalajke, con le rozze pellicce di pecora sulle spalle e pizzicavano le corde con aria ardita. Nella squadra speciale c’era persino un coro di otto persone. Loro erano bravi a cantare con l’accompagnamento di balalajke e chitarre. Si cantavano poche canzoni puramente popolari. La maggior parte delle canzoni cantate erano quelle che chiamiamo ‘carcerarie’” (in russo: “арестантские”; “arestántskie”). Così Dostoevskij descriveva la vita quotidiana dei criminali reclusi in Siberia nella seconda metà del XIX secolo.

Grigorij Machtet (1852-1901), scrittore rivoluzionario poeta e giornalista, noto per aver scritto i versi della canzone “Zamuchen tjazholoj nevolej” (“Torturato da una dura prigionia”)

Nel libro “Siberia e lavori forzati” del 1871, l’etnografo Sergej Maksimov indicò che esistevano canzoni carcerarie antiche e altre “nuovissime”. Le prime provenivano da canzoni dei briganti composte da “persone baldanzose”; cosacchi vaganti, durante la conquista delle distese del Volga e della Siberia. Siccome i briganti venivano catturati dalle autorità e spesso finivano la loro vita nelle carceri siberiane (come la prigione di Omsk, dove scontava la pena Dostoevskij), il folklore dei briganti continuava a vivere proprio nell’ambiente carcerario.

Molte canzoni della seconda metà del XIX secolo, sottolinea Maksimov, “le abbiamo ricevute non di prima mano (dalle prigioni), ma forse addirittura di decima (da antichi villaggi siberiani, dove vivevano gli ex carcerati e i loro discendenti)”.

La canzone preferita di Lenin

“Bassifondi” (pièce di Maksim Gorkij nota in italiano anche come “L’albergo dei poveri”) in scena al Teatro d’Arte di Mosca

Verso la fine del XIX secolo, le canzoni carcerarie erano popolari non solo nei circoli criminali, ma anche in quelli rivoluzionari. Come sottolinea Maksim Kravchinskij in “Storia della chanson russa”, anche Lenin aveva una “canzone del carcerato” preferita.

Si intitolava “Zamuchen tjazholoj nevolej” (“Torturato da una dura prigionia”) ed era dedicata alla memoria dello studente di Samara Pavel Chernyshev, che fu arrestato per “esser passato dalla parte del popolo”. Dopo aver trascorso due anni agli arresti, contrasse la tubercolosi e morì, e il suo funerale a San Pietroburgo nel 1876 si trasformò in un’enorme manifestazione antigovernativa.

“Torturato da una severa prigionia,  

Sei deceduto di una morte gloriosa.

Nella lotta per la causa del popolo

Sei morto sul campo con onestà”

“Замучен тяжёлой неволей, 

Ты славною смертью почил…

 В борьбе за народное дело 

Ты голову честно сложил”

Questa canzone fu scritta da Grigorij Machtet, membro di Narodnaja Volja (Volontà del popolo, un’organizzazione rivoluzionaria russa) nell’anno della morte di Chernyshev, e si diffuse enormemente. 

Gorkij e la canzone carceraria

Il “Quartetto vocale dei vagabondi siberiani”, che ebbe grande successo nei primi anni del Novecento. Qui nel 1912-1913

Nel 1902, una canzone carceraria fu eseguita per la prima volta sul un palco: il 18 dicembre al Teatro d’Arte di Mosca ebbe luogo la prima della pièce teatrale di Maksim Gorkij “Bassifondi”. Lo spettacolo è dedicato alla vita degli abitanti di un dormitorio per poveri e alla fine loro cantano la canzone “Il sole sorge e tramonta” (“Солнце всходит и заходит”), una delle canzoni carcerarie più famose dell’epoca. Il successo dello spettacolo fu incredibile e l’immagine del “bosjak”, come si diceva allora, ossia lo “straccione” si stabilì sui palcoscenici dei baracconi, dei cabaret, e ovunque venissero cantate canzoni popolari.

Nel 1903, il “re dei reporter”, Vlas Doroshevich, pubblicò la sua famosa opera sui lavori forzati di Sakhalin, che includeva un capitolo intero intitolato “Le canzoni dei lavori forzati”. Lì ci leggono queste parole: “Gli incatenati, per noia, cantavano la canzone dei vagabondi siberiani ‘Miloserdnye’ [‘Misericordiosi’]… Ma che razza di canto era quello! Era come se stessero celebrando un funerale, come se un canto funebre provenisse dalla prigione. Era come se questa prigione, guardando nell’oscurità con le sue finestre con le inferriate cantasse una specie di preghiera per un moribondo, un de profundis per le persone sepolte vive al suo interno”.

Un genere di gran moda

Julius Napoleon Wilhelm Harteveld (1859-1927) fu musicologo, direttore d’orchestra, compositore, folklorista e pubblicista. Di origini svedesi fu particolarmente attivo in Russia dove era più noto come Vilgelm Garteveld

E poi arrivò la Rivoluzione del 1905, dopo la quale fu autorizzata la pubblicazione di raccolte di canzoni degli “incatenati”. Nel 1908, il musicista ed etnografo Wilhelm Harteveld pubblicò il libro “Canzoni dei lavori forzati. Canzoni di detenuti siberiani, fuggitivi e vagabondi”, e le canzoni dei detenuti si diffusero tra la gente: ora le poteva eseguire chiunque sapesse leggere i libri di musica. Lo stesso Harteveld eseguiva queste canzoni e le registrazioni venivano pubblicate su dischi per il grammofono.

Nel 1909, Harteveld già eseguiva la canzoni carcerarie nella sala dell’Assemblea dei nobili di Mosca. Ma nel 1910 un tentativo di tenere un’esecuzione aperta sul palco del Teatro dell’Ermitage fallì: il concerto fu proibito personalmente dal sindaco di Mosca.

Copertina del libro del musicologo di origini svedesi Wilhelm Harteveld “Pesni katorgi”; ossia “Canzoni dei lavori forzati”

Tuttavia, nessuno poteva impedire alle star del varietà di eseguire queste canzoni nei loro programmi. Fjodor Shaljapin, grande divo della lirica, cantava “Il sole sorge e tramonta”. I famosi canzonettisti Sergej Sokolskij (Ershov) e Stanislav Sarmatov si esibivano nell’immagine dei bosjak (straccione), e in tutta la Russia si creavano duetti, quartetti e cori di “autentici vagabondi siberiani”. Lo scrittore Nikolaj Nosov ricordò: “Le canzoni eseguite dal quartetto dei “vagabondi siberiani” erano molto in sintonia con l’epoca, riflettevano lo stato d’animo pubblico degli anni pre-rivoluzionari”.

Come scrive Maksim Kravchinskij, dal 1906 al 1914, solo a Mosca e San Pietroburgo furono pubblicate più di cento diverse raccolte di canzoni di briganti, mendicanti, ergastolani, vagabondi e prigionieri.

Sergej Sokolskij (vero cognome: Ershov; 1881-1918) fu uno dei più brillanti rappresentanti dell’ultima generazione della musica di varietà pre-rivoluzionaria. Si esibì con successo nel ruolo del “bosjak”, lo “straccione”

Nel frattempo, nei governatorati russi situati entro la “Chertá osédlosti” (la “Zona di insediamento”), ossia la zona in cui agli ebrei era consentita la residenza permanente, nasceva un nuovo folklore criminale. Limitati nei diritti e nelle possibilità economiche, molti ebrei si associavano ai circoli criminali. Particolarmente ricca di criminali ebrei era la città di Odessa. Gli ebrei portarono con sé nell’ambiente criminale la loro musica, il klezmer, che, mescolato con le canzoni carcerarie russe, diede vita ad un nuovo genere, la “blatnaja pesnja” (“canzone della malavita”), che fiorì in epoca sovietica.

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