Cinque capolavori della letteratura russa che furono duramente criticati dai loro contemporanei

David Lean/Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Carlo Ponti Production, Sostar S.A., 1965
Oggi queste opere sono considerate dei classici. Eppure, quando furono scritte, ebbero problemi a essere pubblicate o vennero stroncate dai critici

1 / Aleksandr Pushkin, “I racconti di Belkin”

Pushkin, affermatosi innanzitutto come grande poeta, scrisse anche alcune opere di prosa che fanno parte del patrimonio d’oro della letteratura russa classica. Nell’Urss, i critici esaltavano “I racconti di Belkin” come esempio di storie realistiche, raccontate da Pushkin a nome di un uomo di cui egli, Pushkin, avrebbe ritrovato un manoscritto. Tuttavia, i contemporanei del poeta accolsero questi racconti piuttosto freddamente. 

Pur riconoscendo lo stile “fluido” delle novelle, i critici rimproveravano a Pushkin la mancanza di un’idea di fondo. Alcuni dei racconti furono definiti “aneddoti”, per di più troppo lunghi. “I racconti di Belkin” sono facili da leggere, perché non fanno pensare”, scrisse il giornale pietroburghese “Severnaja pchelá”, mentre la rivista “Moskovskij telegraf” recensiva: “Farse, assottigliate dal corsetto della semplicità senza alcuna pietà”.

Che “I racconti di Belkin” fossero stati accolti freddamente dal pubblico e dalle riviste, lo scrisse anche Vissarion Belinskij, forse il più importante critico dell’Ottocento. Nel suo ciclo di articoli su Pushkin, Belinskij lodava il classico e ne esaltava il talento. Allo stesso tempo, però, osservava: “Anche se non possiamo dire che non vi sia proprio nulla di buono, questi racconti non sono comunque degni né del talento, né del nome di Pushkin. […] Particolarmente meschino tra di essi è “La signorina-contadina”, inverosimile e da vaudeville, che descrive la vita del proprietario terriero in chiave idilliaca…”

Secondo alcuni ricercatori, tutti i racconti di questa raccolta furono scritti da Pushkin come parodia di aneddoti della vita quotidiana con finale a sorpresa. Tuttavia, l’umorismo di Pushkin (se ce n’era) rimase incompreso. 

Più tardi, negli anni Sessanta dell’Ottocento, l’atteggiamento dei critici subì un’importante evoluzione. Quello che cambiò fu innanzitutto la visione dello stesso Ivan Petrovich Belkin, a nome del quale le storie vengono raccontate, che adesso era esaltato come portatore del carattere russo, umile e rassegnato. Dostoevskij scrisse che tutto quello che c’è di bello nella nostra letteratura, “tutto fu preso dal popolo, a cominciare da Belkin, tipo umile e ingenuo”.

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2 / Nikolaj Gogol, “L’ispettore generale”

Fu lo stesso Gogol a dare la prima lettura pubblica della sua commedia, nel 1836, nella casa del poeta Vasilij Zhukovskij, in presenza del fior fiore degli autori russi. Mentre Gogol leggeva, molte persone ridevano, lo stesso Pushkin (che tra l’altro suggerì a Gogol il soggetto) “moriva dal ridere”. Tuttavia, ci fu anche chi condannò subito la commedia come “una farsa offensiva per l’arte”. Alcuni definirono la commedia “grossolana” e “piatta”. Ci fu poi chi criticava Gogol per l’approccio cervellotico, sostenendo che un sindaco non poteva scambiare un impostore per un ispettore di Stato. “Non avrebbe dovuto denigrare la Russia”, scrisse il conservatore Faddej Bulgarin, rimproverando a Gogol anche l’assenza di personaggi positivi. 

Per caso, fu lo stesso imperatore Nicola I ad autorizzare la pubblicazione e la messa in scena della commedia. Dopo aver assistito alla prima teatrale, l’imperatore commentò: “Che commedia! Tutti sono stati stigmatizzati, e io più degli altri!”

Il successo al teatro fu enorme, ma Gogol lo prese come un fiasco: gli sembrava che gli attori avessero recitato male, in quanto non avevano capito i suoi intenti. Disperato, l’autore partì per l’estero, dove rimase per un certo tempo.

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3 / Fjodor Dostoevskij, “Povera gente”

Uno dei primi romanzi psicologici della letteratura russa, che vede come protagonista un piccolo funzionario del tutto insignificante. Dopo aver letto il manoscritto, il critico Belinskij definì l’autore “un nuovo Gogol”. Già prima che il libro venisse pubblicato, Belinskij strombazzò a Pietroburgo l’avvento di un nuovo scrittore di talento. Per il romanzo di Dostoevskij ciò ebbe un duplice effetto. Da un lato, l’apprezzamento datogli dal famoso critico fu un trampolino di lancio. Dall’altra, però, il libro fu accolto da molti critici con diffidenza e persino con scetticismo. Ci fu addirittura chi accusò Dostoevskij di aver subito troppa influenza da parte di Belinskij. 

In parte, era vero. Sotto l’influenza di Belinskij, il giovane autore aderì ai rivoluzionari del circolo Petrashevskij, ai quali in seguito lesse anche la lettera, censurata dal regime, di Belinskij a Gogol, piena di critiche alla Russia. Di conseguenza, fu condannato all’impiccagione, ma all’ultimo momento la pena di morte fu commutata in lavori forzati.

“Povera gente” fu criticato come un romanzo “informe” e “quasi privo del contenuto”: “Dal nulla ha deciso di costruire un poema, un dramma, ma il risultato è nullo, malgrado tutte le pretese di aver creato un qualcosa di molto profondo”, scrisse il giornale “Severnaja pchelá”. Furono in molti a criticare la lunghezza del romanzo e l’abbondanza, estenuante, dei dettagli superflui (più tardi lo stesso Belinskij riconobbe che il romanzo era troppo lungo).

Il critico Apollon Grigorjev definì falsa la sentimentalità dell’autore, in quanto non credeva che Dostoevskij “ammirasse” sinceramente delle persone così meschine come il suo personaggio. Altri accusarono Dostoevskij di aver plagiato Gogol e i suoi “Racconti di Pietroburgo”. A proposito, Nikolaj Gogol, dopo aver letto il romanzo, esaltò il talento dello scrittore, rilevando tuttavia che l’autore era ancora molto giovane e troppo prolisso: “Tutto avrebbe potuto essere molto più vivace e molto più forte, se fosse stato più conciso”.

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4 / Boris Pasternak, “Il dottor Zhivago”

Oggi, questo romanzo sulla Guerra civile è considerato una delle migliori opere della letteratura russa del XX secolo. Per questo libro Pasternak ricevette il premio Nobel. In Urss, però, il romanzo fu pubblicato soltanto ai tempi della Perestrojka, dopo anni di persecuzioni.

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La redazione della rivista “Novyj mir”, che pubblicava le novità letterarie, diffuse una lettera aperta in cui dichiarò che il libro di Pasternak era una calunnia che denigrava la Rivoluzione d’Ottobre e il popolo “che ha fatto questa rivoluzione e ha edificato il socialismo in Unione Sovietica”. L’assegnazione allo scrittore del Premio Nobel fu definita un “atto politico”. Secondo i critici “veramente sovietici”, il Nobel di Pasternak fu frutto della “campagna antisovietica associata al romanzo” e quindi non comprovava in alcun modo “le doti letterarie di Pasternak”.

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5 / Vladimir Nabokov, “Lolita”

Negli Usa ben quattro case editrici si rifiutarono di pubblicare il romanzo “esplicitamente erotico” di Nabokov. 

Molti temevano le conseguenze che ciò avrebbe potuto avere per la loro reputazione, nonché gli eventuali ricorsi. È curioso che pur rifiutando a Nabokov, con formale gentilezza, la pubblicazione del libro, molti editori lo commentassero positivamente. Soltanto in Francia ebbero il coraggio di pubblicare “Lolita”. Il capo della casa editrice francese ammirò la capacità dell’autore di “portare avanti la tradizione letteraria russa nella moderna narrativa anglosassone”.

Il libro avrebbe potuto passare inosservato, se non ci fosse stata un’accesa polemica sulla stampa britannica. Sulle pagine del “Times”, Graham Green indicò “Lolita” come uno dei migliori libri del 1955, mentre il direttore del Sunday Express, John Gordon, ribatté, dichiarando che era un libraccio “sporco” e “spudoratamente pornografico”.

In molti Paesi questa storia sulla relazione tra un uomo adulto e una ragazzina minorenne rimase vietata per anni. La diffusione del libro in cui la pedofilia assumeva un valore estetico, era considerata nociva e addirittura pericolosa. Anche in Francia, dopo la prima edizione, il libro fu vietato, ma più tardi la casa editrice riuscì a riavere il diritto di pubblicarlo. 

In Urss, naturalmente, il libro era vietato. Ironizzando, Nabokov diceva che gli era difficile immaginare, quale regime e quale censura “della mia patria” avrebbe potuto autorizzare la pubblicazione del romanzo. 

Tuttavia, in Urss, il romanzo ebbe un’ampia diffusione tramite il samizdat, tanto che anche nei versi di Andrej Voznesenskij e Evgenij Evtushenko, poeti apprezzati dal regime, c’erano parecchie allusioni al libro. La stampa sovietica criticava Nabokov per il “testo pieno di snobismo e appellante alla curiosità del piccolo borghese”. Nel 1970, sulla “Literaturnaja Gazeta” fu pubblicato un articolo, nel quale “Lolita” fu definita opera dell’emigrante che “ha tradito e venduto la patria”. La redazione ricevette moltissime lettere dei “cittadini indignati” che avevano letto il “romanzuccio dell’emigrante bianco Nabokov” e invocavano per lui un “mandato di arresto internazionale”.  

Poi, nel 1989, “Lolita” fu pubblicato in Urss e divenne subito un enorme successo.

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