Tanto, tanto tempo fa… quando ancora molti russi non sapevano né leggere né scrivere, furono inventate migliaia di storie dal contenuto fiabesco, tramandate poi di generazione in generazione.
Amavano stare ad ascoltarle non solo i bambini, ma anche gli adulti, mentre alla sera lavoravano a intrecciare nuovi lapti o erano impegnati in altre faccende domestiche. Si trattava, a volte, di storie esemplari sulla vita quotidiana con una morale finale, altre di favole con animali o creature fantastiche come protagonisti, che abitavano nelle foreste, nei fiumi, nelle paludi, altre ancora di fiabe magiche su un principe e una principessa (o meglio uno tsarevich e una tsarevna). Ed è proprio su queste storie che si è formato nei secoli il carattere nazionale russo e la sua continuità culturale.
Tutti gli scrittori e i poeti russi sono stati cresciuti da bambini con queste fiabe, e molti le hanno rielaborate o in qualche modo usate nelle loro opere. Molte fiabe d’autore, poi, sono talmente entrate nella coscienza collettiva, che ormai vengono ricordate come tradizionali, senza neanche più distinguere tra quelle realmente popolari e quelle frutto della penna di qualche scrittore.
Un grande impulso alla conservazione dell’eredità del folklore russo è stato dato nel XIX secolo da Aleksandr Afanasjev (1826-1871), che prese nota delle principali fiabe e le pubblicò in un libro intitolato appunto “Fiabe popolari russe” (“Народные русские сказки”).
L’intreccio di questa fiaba è iterativo, il che significa che un evento si ripete molte volte.
E quindi: tanto, tanto tempo fa, vivevano un vecchino e una vecchina (così iniziano molte fiabe). Il vecchietto chiese alla moglie di fare un kolobok (ossia una piccola palla di impasto cotta in forno). La vecchietta raschiò quel poco di farina e di avanzi d’impasto che aveva (in russo si usa l’espressione: “поскребла по сусекам”; “poskreblá po susékam”; letteralmente “grattò in giro per il granaio”; “per la madia”) e in un modo o nell’altro riuscì a impastare qualcosa.
Dopo aver sfornato il kolobok, lo mise a raffreddarsi sulla finestra, ma ecco che quello finì giù e iniziò a rotolare sempre più lontano dalla casa. Mentre rotolava per la strada gli si avvicinarono prima una lepre, poi un lupo, poi un orso. Tutti e tre minacciarono di mangiarlo, ma il furbo kolobok cantò loro una filastrocca: “Я от дедушки ушел, я от бабушки ушел, и от тебя не хитро уйти!”; “Dal nonno son scappato, dalla nonna son scappato, e da te scappare non è certo complicato!”. Tre volte se la cavò, rotolando via dal possibile nemico, ma ecco che incontrò la volpe, più furba di lui, che lo blandì e se lo mangiò.
La fiaba popolare del kolobok è popolarissima in Russia e viene raccontata a ogni bambino. La versione oggi più conosciuta è però d’autore: risale alla penna del pedagogo del XIX secolo, e fondatore della pedagogia scientifica in Russia, Konstantin Ushinskij (1823-1870). Ci sono anche un sacco di cartoni animati a tema “kolobok” e, a quanto pare, questa è anche la fiaba preferita dal presidente Putin.
C’erano una volta un nonno e una nonna. Con loro viveva la Gallinella (“Kurochka”) Rjaba, che un giorno depose un uovo d’oro. Né il nonno né la nonna riuscivano a rompere l’uovo, ma ecco che accorse un topolino, mosse la coda e l’uovo cadde e si ruppe. I due vecchietti ci restarono molto male, ma la gallina promise di fare un altro uovo, normale.
In realtà questa sorta di moderato happy end è stato aggiunto nelle versioni più tarde, per rassicurare i bambini. Nell’originale l’uovo d’oro rotto portava una serie di sventure all’intero villaggio. Questa fiaba è stata ripresa da molti scrittori e studiosi del genere: dai già citati Ushinskij e Afanasjev al grande dizionarista Vladimir Dal (1801-1872), allo scrittore attivo in epoca sovietica Aleksej Tolstoj (1883-1945).
Inoltre, nelle varie regioni della Russia, la fiaba veniva interpretata in modo molto diverso e diversa era la serie di sventure seguite alla rottura dell’uovo.
Un vecchietto semina una rapa (“repka”). La rapa cresce diventando molto grande. Lui la tira e la tira, ma non riesce a farla uscire dalla terra. Allora chiama in aiuto la moglie. Tirano e tirano, ma la rapa non esce. Allora chiamano la nipotina. Tirano e tirano ma niente. Allora chiamano a tirare anche il cane, e poi il gatto, ma nonostante questa catena non riescono a raccoglierla. Per ultimo chiamano anche un topo ad aiutarli a tirare, e solo grazie al contributo di quest’ultimo ce la fanno. La morale della favola è che l’unione fa la forza, e che non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto, nemmeno a quello che è il tuo acerrimo nemico (il cane chiede aiuto al gatto, il gatto al topo…).
L’allegoria con la rapa come protagonista è piaciuta a molti scrittori, che hanno rielaborato più volte questa fiaba, diventata anche motivo di satira politica. Ai tempi della Prima guerra mondiale una celebre caricatura mostrava Francesco Giuseppe nei panni del contadino che aveva seminato la rapa-guerra, chiamando poi le varie potenze europee ad aiutarlo. Nella propaganda sovietica, la rapa rossa del comunismo dava invece una bella lezione al capitalista e a tutti i controrivoluzionari chiamati da lui ad aiutarlo nel tentativo di estirparla.
In un campo c’era un piccolo terem, un tipico palazzo russo. Un topo gli gira attorno chiedendo “Chi è che vive in questo piccolo terem?”. Visto che nessuno risponde, decide di farne la sua casa. Più tardi vanno a vivere con lui una rana, una lepre, una volpe e un lupacchiotto dal pelo bianco… E tutti vissero felici e contenti, finché non arrivò l’orso. Lo invitarono a vivere con loro, ma lui non riusciva a entrare dalla porta troppo piccola del teremok e decise di passare dal tetto, e con il suo peso fece crollare l’intero palazzo. Per fortuna, gli altri animali erano riusciti a scappare in tempo. Dopo si mettono tutti insieme a costruire un nuovo terem, più grande del precedente, dove c’è posto per tutti, anche per l’orso.
Anche questa è una fiaba popolarissima che è stata rielaborata da un gran numero di scrittori russi. E nella versione di Samuil Marshak (1887-1964) è diventata un materiale ottimo per infinite messe in scena nei teatri per l’infanzia e nelle recite scolastiche.
LEGGI ANCHE: Il “terem” russo: il palazzo delle favole che era in realtà una prigione per le donne
Questa è una delle fiabe più archetipiche, perché il suo protagonista, anche se un pigro sempliciotto, è buono e fa affidamento sull’avós, un concetto tipicamente russo. Emélja pesca un luccio magico che gli promette di realizzare tutti i suoi desideri se lo lascerà vivere. Così accade, ed Emelja inizia a utilizzare i desideri magici a sua disposizione per risparmiarsi la fatica di tutte le cose che non ha voglia di fare. Gli basta dire “По щучьему веленью…” (“Po shchúchemu velénju…”), ossia “Per ordine del luccio…”, e come d’incanto l’ascia taglia la legna da sola, i secchi vanno da soli a prendere l’acqua, e così via. E gli fa così fatica alzarsi dall’angolo al calduccio sopra la stufa che inizia ad andare in giro cavalcandola, e schiacciando tutto quello che che c’è intorno. E alla fine finirà per sposare la figlia dello zar!
LEGGI ANCHE: Che ruolo ha giocato la stufa nella vita russa?
Il tema del pesce magico che realizza i desideri sarà ripreso da Aleksandr Pushkin (1799-1837) nella sua “Fiaba del pescatore e del pesciolino”, a volte nota anche come “Il pesciolino d’oro”. Ma in questo caso ci sono un vecchio e una vecchia, e l’avidità di quest’ultima, per la quale è poco tutto quello che il marito ottiene, sia esso un terem o un intero palazzo, porta alla tragedia. Il pesce si stufa e si riprende tutto, e loro rimangono “у разбитого корыта” (“u razbitógo korýta”), ossia “con un trogolo rotto”, espressione che in russo rende l’italiano “restare con un pugno di mosche”.
Il tema di questa fiaba popolare è quello, tipico anche in altre tradizioni, della giovane che ha subito un incantesimo. Tre fratelli, per volontà dello zar loro padre, devono scegliersi la futura sposa, e lo faranno scagliando una freccia in una direzione sconosciuta. Quella del più giovane, lo tsarevich Ivan, finisce in mezzo a una zona paludosa, dove l’unico suo incontro è con una rana. E quindi… dovrà sposarsi con lei!
Ma per sua fortuna, la rana è una principessa che ha subito un incantesimo, e può lasciare il suo aspetto da anfibio e trasformarsi in una bellissima ragazza, chiamata Vasilisa Prekrasnaja (“Bellissima”) o Vasilisa Premudraja (“Intelligentissima”). Ma perché la trasformazione in donna sia definitivo, il principino deve attraversare foreste e paludi e raggiungere il temibilissimo Koshchej Bessmertnyj. Questo arcicattivo è considerato “Immortale” perché la sua morte è nascosta “sulla punta di un ago, e quell’ago è nascosto in un uovo, che è in un’anatra, che è dentro una lepre, e quella lepre siede su un baule di pietra che se ne sta su un’alta quercia”.
In ogni caso, Ivan, grazie anche all’aiuto di tanti animali, salva la sua Vasilisa.
È praticamente la versione russa di Cenerentola. In epoca sovietica ne è stato tratto un film, diventato estremamente popolare, e che in tv non può mancare soprattutto quando si avvicina Capodanno. Una matrigna cattiva non ama la sua figliastra Marfusha (ma nel film diventa Nastenka) e chiede al marito (ossia al padre della poveretta) di portarla a sperdere d’inverno nella foresta. Cosa che lui fa. La ragazza viene ritrovata dal mago Morozko, che le chiede tre volte se abbia abbastanza caldo. La ragazza, con rassegnazione, seppur raggelata e tremante, risponde ogni volta di non avere freddo. Lui, toccato da tanta timidezza la salva e le fa regali preziosi, tra cui una bellissima pelliccia.
Dopo che è tornata a palazzo, la matrigna, invidiando simili doni, ordina di portare nella foresta anche le sue stesse figlie capricciose, credendo che così anche loro otterranno quei regali, ma loro non sono per niente gentili, e Morozko le lascia al freddo e al gelo. La reinterpretazione più celebre della fiaba è quella di Samuil Marshak dal titolo “Dodici mesi”.
Con Baba-Jaga ancora oggi vengono “minacciati” tutti i bambini russi: “Se non fai il bravo, viene Baba-Jaga e…”. Questa vecchia strega vive nella foresta in una piccola isba su zampe di gallina e vola su un mortaio. Una matrigna perfida manda la figliastra come serva da Baba-Jaga. La vecchiaccia la costringe a lavorare, ma questo non sarebbe niente. Presto la giovane capisce che la strega se la vuol pappare! Così inizia a studiare un piano di fuga, e sia gli animali del bosco che alcuni oggetti inanimati la aiutano, perché lei è sempre stata molto buona e gentile con loro. Il padre, dopo aver saputo che la moglie aveva mandato sua figlia incontro a una morte quasi certa, va su tutte le furie e la caccia di casa.
C’è però anche una seconda versione della fiaba, in cui è lo stesso padre a portare la figlia da Baba-Jaga (un po’ come in “Morozko”, obbedendo all’ordine della moglie). E in questa versione la ragazza e la strega fanno persino amicizia. Ma poi il padre va a rapirla, e quando si pente e la riporta di nuovo dalla vecchia, la strega stavolta se la spolpa ben bene, lasciando solo le ossa della malcapitata…
Un certo zar manda i suoi tre figli a dar la caccia a Zhar-ptitsa; il magico Uccello di fuoco dalle piume d’oro. Il più giovane, lo zarevich Ivan, incappa immediatamente in un grosso guaio: durante una sosta il suo cavallo viene mangiato da un lupo. Ma il giovanotto si intristisce talmente tanto che fa pena persino al lupo stesso, che gli offre aiuto. Così Ivan va alla ricerca dell’Uccello di fuoco a cavallo di un lupo grigio. L’animale si rivela molto intelligente e furbo, e grazie a lui lo zarevich trova non solo lo Zhar-ptitsa, ma anche l’amore: Elena Prekrasnaja, che con l’aiuto del furbissimo lupo portano via a un altro zar. In realtà, in seguito i suoi fratelli cercano di fregare il povero Ivan… Ma la bontà e l’onore trionfano sempre nelle fiabe russe.
La storia di origine popolare dell’Uccello di fuoco e di un cavallo magico viene utilizzata anche nella fiaba d’autore del 1834 “Konjók-Gorbunók” (“Il cavallino gobbetto”) di Pjotr Ershov (1815-1869). In epoca sovietica questa era una delle fiabe in assoluto più popolari, stampata con tirature enormi e portata in scena in vari teatri per l’infanzia.
Alla lontana, la trama di questa fiaba ricorda quella di “Hänsel e Gretel” dei fratelli Grimm. Due orfanelli, Aljonushka e Ivanushka, vagano a lungo. Il piccolo Ivan ha una sete terribile, ma a ogni fonte d’acqua c’è qualche animale. La sorella gli vieta di bere e gli spiega che se beve laddove c’è una capra, diventerà un capretto, e dove c’è una vacca, un vitello. Ma lui non ce la fa più a resistere ala sete, beve e si trasforma in un capretto. Aljonushka piange e lo porta con sé. All’improvviso, incontro alla ragazza e al capretto arriva un bellissimo principe. Lui compatisce la povera orfanella e si offre addirittura di prenderla in sposa. Ma qui entra in scena la strega cattiva, che, invidiando la loro felicità, getta Aljona in mare con una grossa pietra legata al collo. Lo zarevich è disperato, ma un capretto (è Ivanushka) gli si avvicina e lo conduce fino al mare. Là ripescano Aljona, che è sana e salva, e puniscono la strega per quello che ha fatto.
LEGGI ANCHE: Le fiabe del folklore russo trasformate in mattoncini Lego: i progetti dell’artista sono geniali
Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email