Questo schizzo, realizzato quando Ivan Shishkin (1831-1898) era ancora studente della Scuola di pittura e scultura di Mosca, è stato poi acquisito dal Museo Russo, il principale museo di arte russa di San Pietroburgo. Shishkin in seguito si trasferì a San Pietroburgo e continuò i suoi studi all’Accademia delle Arti.
Da studente, Shishkin viaggiò all’infinito nelle foreste rocciose della Carelia per dipingerne la splendida natura. Per questo dipinto nel 1860 ricevette una medaglia d’oro dell’Accademia e una “pensione” (oggi diremmo “borsa di studio”) per un viaggio in Europa.
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Shishkin realizzò questo quadro in Germania su commissione del collezionista Nikolaj Bykov. Per la tela, l’alma mater di San Pietroburgo gli conferì il titolo di accademico. Presto, provando nostalgia i suoi paesaggi del Paese natale, l’artista tornò in Russia.
Su uno degli schizzi per la tela, l’autore ha scritto: “Vastità, prostór, territorio. Segale. La grazia di Dio. La ricchezza russa”. In effetti, è difficile immaginare un paesaggio più familiare e caro a un russo. Shishkin osservò la natura nella sua città natale, Elàbuga (ora Repubblica del Tatarstan). Il dipinto prese parte a una mostra degli artisti “Peredvizhniki” (gli “Itineranti”) e Pavel Tretjakov lo acquistò immediatamente.
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Shishkin ebbe molte relazioni con gli artisti del gruppo dei “Peredvizhniki”, aderenti al realismo e ai soggetti popolari nella pittura e spesso partecipò alle loro mostre. Il suo caro amico Ivan Kramskoj, che dipinse diversi ritratti di Shishkin, disse che il suo collega, come pittore di paesaggi, era “incommensurabilmente superiore a tutti quelli che lo hanno preceduto messi insieme”.
Alla scuola di pittura di Düsseldorf, venne instillato in Shishkin un amore speciale per il mondo della natura nel suo aspetto più basico, e non solo esteticamente lussureggiante. Pertanto, schizzi che assomigliano a frammenti di dipinti diventarono opere indipendenti, realizzati con grande attenzione per i dettagli.
Shishkin era un vero maniaco del lavoro, ma circostanze tristi lo costrinsero a immergersi sempre di più nella pittura: in primo luogo, la morte della sua prima moglie e madre dei suoi figli. Poi, quando dopo essersi sposato una seconda volta provò di nuovo lo stesso lutto.
Nei dipinti degli anni Ottanta dell’Ottocento, si può vedere come l’abilità di Shishkin stesse progressivamente aumentando. L’artista, già affermato, non smise mai di studiare la natura. “Nell’attività artistica, nello studio della natura, non c’è mai una fine, non si può dire di averla appresa completamente, a fondo, e che non c’è bisogno di saperne di più”, scrisse.
Questo è di gran lunga il suo dipinto più famoso. L’opera venne accolta calorosamente dai contemporanei e il famoso collezionista Pavel Tretjakov la acquisì per la sua galleria di Mosca. In Urss, l’immagine venne replicata in milioni di copie, visto che era sulla carta dei cioccolatini “Mishka Kosolapy”.
Shishkin raramente dipinse temi invernali, preferendo il tripudio della natura in verde. Ma anche su questa tela quasi monocromatica, che sembra cupa, uno dei dettagli principali è l’azzurro del cielo.
Questa immagine è letteralmente l’incarnazione del romanticismo letterario russo nella pittura. Prende il nome da una poesia del poeta Mikhail Lermontov (1814-1841), per la quale servì da illustrazione, che inizia così:
“На севере диком стоит одиноко
На голой вершине сосна”
“Nel selvaggio nord s’erge solitario
su una cima spoglia, un pino”
Nel 1892, il già professore onorario, Shishkin fu invitato a condurre un laboratorio di paesaggi presso l’Accademia delle Arti.
E sei anni dopo morì, proprio dietro al cavalletto. Questa è una delle ultime tele di Shishkin, dove usa la sua tecnica preferita: “tagliare” le cime degli alberi. Pertanto, la foresta sembra ancora più voluminosa e lo spettatore può sentirsi più vicino alla natura. La “Korabelnaja Roshcha” (alla lettera: “Boschetto navale”) era un tipo degli appezzamento boschivo che, fin dai tempi di Pietro il Grande, veniva protetto dallo Stato, in quanto vi venivano lasciati crescere gli alberi, dal fusto alto e dritto, per la costruzione di navi.
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